Goldman Sachs, per favore, comprati Pompei ed Ercolano

Degrado & finanza

Cara Goldman Sachs, tu che hai messo soldi a palate sulla super mostra londinese su Pompei ed Ercolano, non ti fermare, non ora, ma scendi piuttosto fin qui sotto il Vesuvio, e goditi il Golfo e infine fallo, lo sforzo: comprateli tu ’sti benedetti scavi… Può essere che nelle tue mani, tra gli artigli affilati del capitalismo, quel che è teoricamente un tesoro lo diventi davvero, piantandola così con questo presente cialtrone da incompiuti, da furbi fessi, da campioni delle occasioni perse.

Almeno, volendo comprare qualche libro o cartolina sulle meraviglie romane, un usciere sconsolato potrebbe non indicarti col dito le bancarelle fuoristanti, roba da fiera di strapaese, che mischiano le magliette di Cavani alla madonna del Santuario fino al fallo di Bacco, in manufatti di quarta specie. E potresti camminare per le antiche strade senza ritrovarti in una specie di labirinto di Shining, dove i percorsi non si chiudono con le siepi ma con i cartelli che intimano “vietato l’accesso”. Perché ormai Pompei è questo: un patrimonio gonfio di vuoti, di assenze.

Ogni volta che piove si rischia una mezza crisi di governo perché il ministro della Cultura deve precipitarsi qui e verificare l’ennesimo crollo, e prendersi per intero sulle spalle la figura di merda di mondiale, e al limite minacciare le dimissioni pur di avere in cassa qualche soldo in più: perché qui tutto cade a pezzi. Ci sono dei cartelli con la scritta PompeiViva sopra tanti, troppi ingressi con lucchetti tipici da capannone serrato: straordinario umorismo straordinariamente involontario, che invoca la vita culturale dove tutto è mezzo morto. Che impressione davanti alla “casa dei pittori al lavoro” e “dei casti amanti”: altro che perla archeologica, sembrano qualche eterno cantiere di una metropolitana o di una bocciofila, con le lamiere, i tubi dell’impalcatura che corrono in una prospettiva inquietante, il cemento a coprire precariamente qualche falla fino al momento in cui l’acqua piovana lo creperà e verrà giù tutto. Un’altra volta ancora.

La Palestra grande è una costruzione che sta accanto all’anfiteatro: insieme sarebbero uno spot visivo unico della civiltà umana. Soltanto che la prima è chiusa da tempo immemore: il cartello informa che ci sono lavori di allestimento espositivo, poi guardi bene è la consegna definitiva doveva essere il 15 febbraio 2010 (il tutto a un costo di oltre 1 milione di euro): è tutto fermo, qualche pennello impolverato è appeso al nulla, l’abbandono ti fa ciao. Ti consoli con l’anfiteatro, ti sconsoli con la palestra. Va così.

Come in una città dopo che è caduto un regime o scoppiata qualche bomba di guerra, per le strade ci sono cani, cani che girano, cani che scodinzolano, cani che dormono: non il vispo cagnetto del mosaico col “cave canem”, ma qualche bastardo contemporaneo più grosso e fiaccato e pieno di prurito, abitante dell’inerzia di Pompei, stanco elemento mobile del paesaggio archeologico, dove incappi in qualche comico cartello che invita a non toccarli, quei cani, per la tua sicurezza: morsi o pulci, dipende dalla ruota della fortuna.

Cara Goldman Sachs, mettici tu i soldi e prenditeli, questi scavi: forse i mille cartelli vicino ai mille vuoti di questa antica splendida città la smetteranno di comunicare il nulla, riferendosi a progetti di recupero che non finiranno mai. Metticeli ’sti soldi e forse anche la comunità internazionale dei turisti di questo sito, gente di tutti i paesi, di tutte le lingue, smetterà di ridere amara per i cessi chiusi e per il folclore di quest’Italietta che non avrà un futuro e che ha chiaramente deciso di non avere nemmeno un passato: in un’area c’è un deposito di materiale trovato nelle ricerche, calchi delle persone uccise dall’eruzione, gli oggetti della loro vita: in teoria materiale per un allestimento delle meraviglie, che da solo sarebbe richiamo di folle. Macché: mezzi abbandonati, in una fontana c’hanno preso a buttare pure le monetine, hai visto mai che porti fortuna…

Cara Goldman Sachs, pensaci tu, qui dove la politica italiana, nazionale e locale, fa mostra permanente del proprio fallimento. Portaci qui la tua bandiera, unendola al tricolore italiano e al giallo-bianco del Vaticano, che sventola perché il santuario (in ristrutturazione) è pontificio. Aspettano Papa Francesco. Intanto ci è arrivato pure il McDonald’s, sotto l’ombra del campanile che si vede a chilometri lungo questa strada dritta e lunga e trafficata come nemmeno a Shanghai. Perché tu no?

Non ti chiediamo nemmeno di rilanciare la cultura, ormai, ma almeno il turismo, perché sia un po’ meno piccino di così. Cara Goldman Sachs, nel pacchetto ci mettiamo pure la villa di Poppea in Oplonti. Sai cosè? È la più bella villa dell’aristocrazia romana, ma quasi nessuno lo sa. Sta nella vicinissima Torre Annunziata, mezz’affogata tra orrende palazzine coi muri scrostati e il tipico stile da bucanieri dell’edilizia. Forse con te si riesce ad abbattere a cannonate questa stupidissima organizzazione che qui fa chiudere le porte alle 15.30 e anche se ci sono i custodi, non possono fare biglietti, perché è tutto informatizzato e dopo una cert’ora emette ticket solo Pompei. Boh. Non ci chiedere la ragione, prova a chiedere tu in qualche stanza del ministero. E fagli vedere il soldo. Comprateli, ’sti scavi. Così forse non sarà più una storia a perdere. Baci da Pompei.

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