L’ultima proposta politica di Beppe Grillo? Roba da socialismo reale. Senza banalizzare troppo l’attacco del leader Cinque Stelle all’articolo 67 della Costituzione italiana, nelle ultime ore il pensiero di molti politologi è andato alle costituzioni sovietiche e alle democrazie popolari. «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione – così recita la nostra Carta – ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Un principio da cui ieri l’ex comico genovese ha preso le distanze. «Insomma – si leggeva sul suo blog – l’eletto può fare, usando un eufemismo, il cazzo che gli pare senza rispondere a nessuno».
Una posizione che nel Paese trova una certa condivisione. Non è un mistero che durante i recenti tentativi di riforme costituzionali più di un parlamentare abbia sollevato la questione in Aula. Eppure il tema continua a lasciare interdetto più di un esperto in materia. Non è necessario scomodare Edmund Burke, il filosofo britannico che teorizzò il principio del libero mandato. Basta tornare alla “clausola cecoslovacca”. Il principio inserito nella Costituzione del paese europeo del 1920 che prevedeva la decadenza dal mandato parlamentare del deputato che, eletto in una lista, avesse preso le distanze dal proprio partito. Una formula divenuta tipica dei paesi sovietici.
«Ma l’assenza del vincolo di mandato è un principio fondamentale di tutte le democrazie liberali» spiega il professore di Scienza politica all’Università di Bologna Salvatore Vassallo, deputato Pd. Una garanzia per gli eletti, liberi di votare secondo la propria coscienza. Nell’interesse primario del Paese. E se non c’è nulla di male a ipotizzare un vincolo interno al partito, è più delicato immaginare una modifica in questo senso della costituzione italiana. «Deputati e senatori sarebbero in mano alle segreterie dei partiti e a gruppi di pressione – spiegava stamattina il costituzionalista Augusto Barbera al Corriere – Non sarebbero liberi di votare quello che ritengono più giusto».
In Italia il tema è sentito. Tanto che, per tradizione, ogni volta che un parlamentare si dimette, le Camere sono solite respingere con un voto la prima richiesta. L’obiettivo è quello di evitare che qualche eletto sia costretto a firmare una lettera di dimissioni in bianco dal proprio gruppo parlamentare. «Solo una volta accadde il contrario – ricorda Fulco Lanchester, professore ordinario di diritto costituzionale italiano e comparato all’Università La Sapienza – A metà degli anni Ottanta Marco Pannella si dimise e le sua richiesta venne approvata dalla Camera al primo colpo. Lui si trovò fuori dal Parlamento e si arrabbiò moltissimo».
A sentire gli esperti, la proposta di Grillo sembra irrealizzabile. L’assenza di un vincolo di mandato «rientra tra i fondamenti delle democrazie in tutto l’Occidente liberal-democratico» spiegava ancora Barbera. Qualche eccezione ancora resiste. È il caso della costituzione serba. «Quel testo – spiega Lanchester – prevede che se un deputato cambia partito perde il seggio». Un principio basato sulla vecchia impostazione titina. Fino agli anni Novanta la costituzione sudafricana prevedeva l’impossibilità per un deputato di passare da un gruppo parlamentare all’altro. «I gruppi erano bloccati per due anni, poi si apriva un piccola finestra temporale in cui si era liberi di cambiare». E poi c’è il caso portoghese. «Oggi – spiega Stefano Ceccanti, costituzionalista e senatore Pd – L’unica vera reminiscenza della clausola cecoslovacca esiste in Portogallo. Qui i parlamentari che si iscrivono a un partito diverso da quello di elezione, decadono». Un finto problema. «La questione è facilmente aggirabile: basta non iscriversi al nuovo partito».
Eppure Grillo solleva un tema giusto e attualissimo. Come evitare il rischio di trasformismo che, anche recentemente, ha spesso gettato discredito sulla classe politica italiana? Come prevenire quei passaggi da un gruppo parlamentare all’altro, talvolta motivati da questioni tutt’altro che ideali? Insomma, quella che il leader del M5S chiama “circonvenzione di elettore”: «Una pratica molto comune nel Parlamento Italiano, adottata da voltagabbana, opportunisti, corruttibili, cambiacasacca».
«Il problema esiste – racconta Francesco Clementi, professore di diritto pubblico comparato all’Università di Perugia – ma la risposta non è nel vincolo di mandato. Piuttosto bisognerebbe fare una legge sui partiti. Attuare l’articolo 49 della Costituzione. Creare un legame tra eletto ed elettore, e rafforzare un meccanismo di punizione per gli eletti che decidono di cambiare casacca». È d’accordo Stefano Ceccanti: «Per ovviare a rischi oligarchici e di trasformismo non è necessario cambiare la Costituzione. È sufficiente una modifica ai regolamenti parlamentari». Perché in quasi tutti i Paesi democratici la libertà dei parlamentari è sacra. «Ma nelle democrazie avanzate sono già stati introdotti dei limiti alla formazione di nuovi gruppi. In alcune realtà, ad esempio, non esiste il gruppo misto. Tutti modi più sensati per evitare il trasformismo».