Gorky ParkLa madre Russia di Putin dagli oligarchi ai siloviki

Concessa la grazia a Khodorkovski

MOSCA, 19 dicembre 2013 – L’ex patron di Yukos Mikhail Khodorkovski ha chiesto la grazia e Putin la firmerà presto: lo ha annunciato lo stesso presidente russo, che ha spiegato: «Ha passato in prigione oltre dieci anni, è un periodo serio, ritengo che bisogna prendere la decisione sulla grazia e presto soddisferò questa sua richiesta». Vi riproponiamo la nostra analisi.

Oligarchia, ossia il governo di pochi. Sono passati oltre due millenni dai tempi di Platone – che vedeva in questa forma costituzionale una degenerazione dell’aristocrazia, il governo dei ricchi – alla Russia di Vladimir Putin. La sostanza è cambiata di poco. Il Paese più vasto del mondo, ex superpotenza planetaria convertitasi dopo il crollo dell’Urss a player regionale e promotrice per forza di cose di un nuovo ordine multipolare, è retta in fondo da un’oligarchia.

Formalmente la Russia è da oltre vent’anni una democrazia, in realtà è in una fase di transizione verso un modello pseudo democratico o pseudo dittatoriale (è questione di punti di vista), dove sia i processi decisionali politici che le leve dell’economia sono nelle mani di un esiguo gruppo di persone. C’è chi la chiama democratura (democrazia+dittatura) facendo pesare più la valenza politica, chi invece aborre i neologismi può definirla appunto oligarchia, accentuando il fatto che i pochi che comandano sono pure ricchi sfondati. E così come è oligarchica la Russia putiniana di oggi, con i protagonisti più conosciuti presenti nelle cronache anche dei media occidentali (Boris Berezovsky, Roman Abramovich gli ultimi due nomi saliti alla ribalta in questi giorni), la Russia di ieri, quella di Boris Eltsin, lo è stata ancor di più.

L’elezione al Cremlino di Vladimir Vladimirovich nel 2000 ha fatto da spartiacque tra due ere in cui il ruolo degli oligarchi è essenzialmente cambiato. Il primo decennio della Russia indipendente (1991-2000) – quello in cui l’élite al vertice ha dovuto affrontare il tracollo economico postsovietico e ha forgiato tramite le privatizzazioni selvagge la classe rapace turbocapitalista – è stato caratterizzato dalla sostanziale alleanza tra attori politici e attori economici: l’oligarchia eltsiniana, costituita dalla Famiglia allargata e dai “magnifici sette”, ha retto le sorti del Paese badando più agli interessi personali che al bene comune, come avrebbe detto Platone. Il presidente e il manipolo affiatato di robber barons (Beresovsky, Vladimir Gusinsky, Mikhail Khodorkovsky, Vladimir Potanin, Mikhail Friedman, Pyotr Aven, Alexander Smolensky) hanno gestito la Russia allo stesso tavolo, con gli oligarchi che dietro le fette di torta generosamente distribuite dal Cremlino hanno assicurato a Corvo Bianco la permanenza nelle stanze del potere per due mandati. Clamorosa la situazione delle elezioni del 1996, quando Eltsin è riuscito a tener testa al comunista Gennady Zyuganov solo perché Berezosvky e Gusinsky hanno pilotato le loro televisioni al servizio del malandato capo di Stato che tra una vodka di troppo e qualche bypass rischiava di dover cedere inaspettatamente lo scettro.

I capitani d’industria postsovietici, allora pochi, agguerriti e smaniosi si affondare le mani nella politica (l’oggi defunto Berezovsky è finito addirittura alla presidenza del Consiglio di sicurezza della Federazione) si sono poi trovati di fronte al momento in cui scegliere il successore di Eltsin. I passaggi di potere in Russia avvengono sempre dall’alto: l’ascesa di Putin – già nel 1999 capo dei servizi segreti e primo ministro, la notte di capodanno del 2000 nominato in diretta televisiva da Boris Nikolaevich come suo erede favorito – è avvenuta con il consenso dei “magnifici sette” e la spinta decisiva proprio di Berezovsky. Il problema per gli oligarchi è arrivato non appena hanno capito che il nuovo inquilino del Cremlino avrebbe cambiato le regole del gioco. Con Putin nella stanza dei bottoni i meccanismi di fondo sono mutati perché il presidente, giunto a Mosca con una squadra proveniente in larga parte dall’intelligence, ha dato sostanzialmente un ultimatum: basta intromissioni oligarchiche nelle vicende politiche. Gli anni successivi sono stati quindi destinati a isolare chi non si è attenuto al patto: Khodorkovsky è finito in Siberia, Berezosvky e Gusinsky se la sono data a gambe – il primo alla corte di Sua Maestà, il secondo in Israele – altri pesci piccoli, pochi in verità, sono stati presi nella rete della giustizia selettiva che ha ostacolato i nemici di Putin e li ha costretti a scendere a patti o all’esilio, di solito dorato.

La gran parte dell’oligarchia, i superstiti del gruppo iniziale e i nuovi che hanno beneficiato del cambiamento, continua però a sostenere oggi il potere politico ricevendone sempre i dividendi. Sotto Vladimir Vladimirovich le competenze di questa èlite a due facce sono comunque ben definite e più efficienti. La Russia cresce di peso sulla scacchiera internazionale e si scrolla di dosso il complesso di debolezza interno causato dal disastroso decennio eltsiniano (tra due colpi di stato, 1991 e 1993, due guerre in Cecenia, 1994-1996 e 1999-2000, e il default del 1998). I deficit democratici sono considerati a Mosca errori di cosmesi per un Paese che non vuole accettare lezioni dall’Occidente, sempre pronto a bacchettare il Cremlino, ma anche sempre pronto ad accogliere nelle proprie banche il capitale degli oligarchi. La nuova razza padrona russa, i nuovi magnati che sono veri global player dell’economia mondiale avendo investito ovunque, non sono certo in declino. Si sono trasformati: il defunto Berezovsky e lo stesso Abramovich, hanno rappresentato e rappresentano un modello un po’ invecchiato, tra teorie del complotto e gossip.

Il centinaio di miliardari russi presente nella lista di Forbes (il più ricco d Russia è Alisher Usmanov con un patrimonio personale di 17,6 miliardi di dollari) incarna una classe diversa da quella dei “magnifici sette”, più moderna e globalizzata da un lato, più attenta a non pestare i piedi a nessuno dall’altro, pronta al compromesso per non perdere i privilegi e disposta a ridistribuire parte, seppur minima, della ricchezza attraverso meccanismi spesso imposti dall’alto. Non solo. Gli oligarchi puri, cioè quelli provenienti direttamente dai settori dell’economia e della finanza, sono stati affiancati dagli oligarchi di stato, i silogarchi (siloviki+oligarchi), ossia i siloviki – gli uomini che Putin nel corso di un decennio ha cooptato dall’apparato di sicurezza e inserito nei gangli dell’amministrazione, della burocrazia e delle aziende statali (Gazprom e non solo) – diventati parte integrante del gruppo centrale di potere. Silogarchia, insomma, il governo dei siloviki e degli oligarchi: è questa la vera Russia di oggi. Chissà cosa avrebbe detto Platone.
 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter