Adesso sì, la lobby britannica della birra ha di che brindare. Boccali in alto alla salute del ministro delle Finanze George Osborne, l’artefice di uno storico taglio di tasse sulla bevanda nazionale. L’esponente del governo Cameron ha introdotto nella Finanziaria 2013 un aumento delle imposte su tutti gli alcolici, ad eccezione delle birre. Una decisione mascherata dal motto “bere responsabile” e dalla necessità di combattere i fenomeni di alcolismo. Una tassa sul vizio, che il governo applica solo a vino, whisky, sidro e sigarette. Ma le birre, il patrimonio nazionale, non si toccano.
La misura presentata pochi giorni fa al Parlamento nasconde il reale obiettivo: offrire un forte aiuto all’industria birraia, che dà lavoro a circa un milione di persone, muove un giro d’affari di 19 miliardi di euro l’anno e che negli ultimi anni ha visto ridurre il suo appeal nei confronti dei bevitori. Se i maschi inglesi continuano a preferire le bionde – le birre, si intende -, sempre più donne scelgono un elegante calice di vino, anche a costo di profanare il tempio sacro dei pub. Su dieci bicchieri ordinati in un pub di Piccadilly o di Liverpool, sette contengono birra, uno vino, uno sidro e uno whisky o altri liquori. Gli inglesi producono sull’isola l’85% di tutta la birra che consumano. Sul loro mercato c’è poco spazio per le birre estere, ma ce n’è, eccome, per le bollicine italiane. Il valore dell’export di spumante nel Regno Unito è stato di 88 milioni di euro nel 2012, circa il doppio rispetto ai 45 milioni di euro del 2009.
E’ alla luce di questi dati che Oltremanica si parla di trattamento di favore nei confronti della birra rispetto alle altre bevande alcoliche. La prima mossa di Osborne è stata la cancellazione della scala mobile, che legava l’aumento delle imposte sulla birra all’inflazione. Già solo questo intervento ha evitato un aggravio di 6 penny sul costo di una pinta per il 2013. Ma il ministro conservatore ha fatto di più: ha tagliato un altro penny di tasse sulle bionde. I motivi della scelta risiedono nelle forti pressioni delle associazioni di birrai e pub, in particolare la British Beer & Pub Association, una lobby che nel Regno Unito rappresenta il 96% dei brewers britannici e ha voce in capitolo, in virtù del fatto che ogni anno versa 10 miliardi di sterline in tasse nelle casse dell’erario. L’appello della Camra (Campaign for Real Ale) ad abbattere le tasse aveva ricevuto oltre 100mila firme e ottenuto il sostegno di 105 membri del Parlamento. Per questo l’annuncio di Osborne è stato accolto con un coro di acclamazione dalla Camera dei Comuni. Lo stesso primo ministro Cameron, seduto al suo fianco, non ha potuto nascondere la sua soddisfazione con una eloquente smorfia.
Osborne nuovo salvatore della patria? Salvatore della pinta, visto che negli ultimi cinque anni il consumo di birra è crollato del 17%. Queste misure hanno frenato una costante crescita dei prezzi, che a causa della scala mobile introdotta dai Labour nel 2008 erano lievitati di oltre il 40%. Oggi il prezzo medio di una pinta nel Regno Unito è di 3,10 sterline, di cui circa un terzo se ne va in tasse, tra imposta sulla birra e Vat, quella sul valore aggiunto. Il Regno Unito è tra i Paesi europei con le tasse più alte sulle birre, secondo solo alla Finlandia. La seconda mossa di Osborne è stata l’aumento delle tasse sul vino. Ogni bottiglia da 750ml costerà 10 penny in più. L’aumento sarà di 37 penny per i superalcolici, come la vodka. L’associazione dei produttori di vini e alcolici del Regno Unito non l’ha presa bene e ha invitato il governo a fare dietrofront, ricordando un precedente contenzioso legale, risalente al 1983. Un richiamo che ha le sembianze di un avvertimento.
La Corte di Giustizia Europea sanzionò il Regno Unito per aver gravato «i vini leggeri di uve fresche di un’accisa relativamente più elevata di quella gravante sulla birra». Una misura che violava l’articolo 95, comma 2 del Trattato Cee «in quanto ha l’effetto di sottoporre i vini importanti ad un sovraccarico fiscale atto a proteggere la birra di produzione nazionale». A distanza di trent’anni la sfida angloitaliana tra schiuma e bollicine è destinata a ripetersi. E quelle foto di Mario Monti e Pierluigi Bersani con un boccale di birra in mano sembreranno ancor più imbarazzanti.