Stare sempre in maggioranza. Il comandamento doroteo, espresso per bocca dell’apostolo Toni Bisaglia, è a conti fatti inossidabile. E’ un concetto che sopravvive ai tempi e che sembra attagliarsi all’odierna situazione. Nella quale almeno due terzi del parlamento in fondo auspicano esattamente questo: stare in maggioranza, in qualche modo, ma in maggioranza.
La legge dorotea si applica a tutti, una volta varcato il Palazzo e preso confidenza col potere. Contrassegna per esempio la Lega che vent’anni prese forza sulle macerie fumanti della Balena bianca e del quadro partitico storico. Identica la mistica del territorio, e conseguente occupazione del mercato locale del bisogno: col risultato che, stando a quanto dice un alto esponente leghista di terre storicamente dorotee come il sindaco veronese Flavio Tosi, il Carroccio è oggi una Balena Verde. E sta sempre in maggioranza (vorrebbe esserlo anche a Roma oggi, come il segretario Maroni sostiene dal pomeriggio del 25 febbraio in qua). Le legislature passano, il doroteismo resta, come ormai acquisita componente psicologica del Palazzo che non avrà fatica a palesarsi nella giacobina ideologia della Rete e nelle dinamiche del Movimento 5 stelle. I fracassoni grillini entrano in Parlamento con gli apriscatole della rivoluzione, ma intanto i lavori del Senato sul più alto scranno li inaugura Emilio Colombo, l’abramitico doroteo di Potenza. Il segnale è stato chiaro: noi ci siamo, sempre e comunque.
A tratteggiare un profilo antropologico dell’Homo doroteo giunge un libro firmato dal giornalista rodigino Giuliano Ramazzina, “Muoia Sansone ma non i dorotei”, e curiosamente pubblicato dalla Marcianum Press, la casa editrice del Patriarcato di Venezia. Si è a lungo parlato del Veneto come bianca Vandea democristiana, laboratorio permanente del doroteismo e delle sue mutazioni genetiche nel succedersi delle epoche. Seguendo un istinto quasi vocazionale di rappresentare in sé il partito e, col partito che fu partito-Stato, l’intero Paese: “Nel bene e nel male, i dorotei sono stati il centro direttivo, ad un tempo promozionale e moderatore, della politica democratico cristiana. Per un verso un grippo (blocco, tappo, ndr) quasi deteriore di potere e di mera gestione di esso, per l’altro una componente politica insopprimibile della Dc, un suo modo d’essere”. Autobiografia di una Balena, e di una Nazione, nelle parole del padre fondatore dei dorotei, il vicentino Mariano Rumor, che indicava con chiarezza la fatica di interpretare nel bisogno anche il male come un martirio per il bene.
D’altronde evocativo in tal senso è già il nome, tratto dal convento gianicolense di Santa Dorotea, dove la corrente nacque. Santa Dorotea, martire di Cappadocia, ma soprattutto santa dell’amicizia, sentimento democristiano per eccellenza. Amici, sodali, complici: sempre in maggioranza. Con la presenza nelle più alte cariche dello Stato – dalla presidenza della Repubblica con Segni, in giù – e a scalare con la gestione militare del potere territoriale. La dura legge della maggioranza, che vige senza deroga: per la quale poter essere allo stesso tempo consiglieri regionali col centrosinistra e sindaci col centrodestra. Essere il braccio destro per decenni di un big a destra e poi andare a fare l’assessore a sinistra. Passare dal consiglio provinciale col Pci al diventare confidente e ideologo del volto emergente del Carroccio. Sopravvivere a Tangentopoli e tornare in pista, da fuoriclasse delle campagne elettorali, in veste di king maker a tutto campo, ricchi e spietati come il conte di Dumas: parabole montecristiane. Insomma, coniugare Cristo e Machiavelli, secondo il binomio indicato dal grande “antitaliano” Prezzolini. Tracciare tra le rette parallele un percorso che le taglia, trasversale.
L’obliquità. Un radicale tira dritto nella sua ideologia. Come un integralista cattolico, o un ateo-marxista. Il doroteo li attraversa, e li tiene assieme. Crea una massa critica, anzi una fedeltà di massa: imprenditori, manager, liberi professionisti, colletti bianchi, direttori dell’ufficio imposte, dirigenti della Bonifica e della Coldiretti, primari, parroci, impiegati, docenti, banchieri e bancari, giornalisti, casalinghe, dipendenti del settore pubblico e privato. Il popolo. Perché la quantità è sempre popolare, è consenso, è calcolo. Al contrario della qualità che è politicamente sterile, una macchina che esalta le diversità e la concorrenza: il merito. Un pericolo, per il doroteo, che ragiona per proporzioni ed è dunque proporzionalista anti-maggioritario, che lavora sull’alta resa e la bassa definizione, che ha per scopo un universo statico dove sostituire al criterio mercatista della produttività quello confessionale dell’indulgere, troncare e sopire.
In Italia, negli ultimi anni, a lungo e da più parti s’è parlato di ricette e progetti liberali, eppure le stimmate antiche dorotee non sembrano aver abbandonato la struttura statica del potere italiano. E anzi promettono di sopravvivere in questo passaggio incerto tra repubblica seconda e terza.