Basta con «il narcisismo teologico» e «la chiesa autoreferenziale»: servono cambiamenti e riforme a partire da una riscoperta dell’evangelizzazione, c’è bisogno, urgente, di una Chiesa che vada verso le «periferie esistenziali» oltre che quelle geografiche. E ancora: la mondanità spirituale è il frutto di un eccesso di autoreferenzialità, significa vivere «per darsi gloria gli uni con gli altri». È utilizzando questi concetti il cardinale Jorge Mario Bergoglio ha convinto i 115 “grandi elettori” del sacro collegio della necessità di eleggere un papa che portasse la Chiesa fuori dalle secche dell’irrilevanza e dell’autocompiacimento. Con un colpo a sorpresa, infatti, il cardinale cubano Jaime Ortega, ha pubblicato l’intervento che Bergoglio ha fatto durante una delle congregazioni generali, cioè le riunioni fra i cardinali nella fase del pre-conclave.
Ortega è uomo d’esperienza, sia all’interno della Chiesa che nei negoziati politici con il regime castrista, la sua insomma non è stata una scelta dettata dall’euforia o dall’ingenuità. La decisione di pubblicare il testo, e anzi di commentarlo pubblicamente durante una messa alla presenza di vescovi, fedeli, del nunzio apostolico Bruno Munarò, è il frutto di una strategia precisa concordata con Roma. Se l’idea di fondo seguita fino ad oggi dal Papa è quella della trasparenza e della vicinanza con le persone “normali” – il contrario quindi della “fuga di documenti”, dei complotti a corte – quello proposto attraverso la diocesi cubana è un passo che conferma tale prospettiva di governo. Lo stesso Ortega, del resto, ha spiegato di aver chiesto l’autorizzazione di pubblicare il testo a Bergoglio, permesso che gli fu accordato due volte: la prima quando ancora non era stato eletto come Pontefice e la seconda quando l’arcivescovo di Buenos Aires era diventato già Francesco.
«La Chiesa – scriveva Bergoglio nei suoi appunti – è chiamata a uscire da sé stessa per andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche le periferie esistenziali: quelle del mistero del peccato, quelle del dolore, delle ingiustizie, dell’ignoranza religiosa». «Quando la Chiesa non esce da sé per evangelizzare – proseguiva il cardinale Bergoglio di frotne ai suoi confratelli – diventa autoreferenziale e si ammala». E i «mali che nel corso del tempo si riscontrano nelle istituzioni ecclesiali hanno radici nell’autoreferenzialità, una sorta di narcisismo teologico». È dunque la chiesa evangelizzatrice, affermava il futuro Papa, che può dare «luce ai possibili cambiamenti e alle riforme necessari per la salvezza delle anime». Bergoglio citava poi Paolo VI – il Papa che ha concluso il Concilio Vaticano II – e ripeteva che il successore di Ratzinger doveva portare la Chiesa verso le periferie esistenziali uscendo dalla concentrazione unicamente su sé stessa.
Evidentemente Jorge Mario Bergoglio, ha così convinto definitivamente gli altri cardinali che la persona giusta a compiere quel lavoro era proprio lui. E certo non può passare inosservato il fatto che il Papa, anche dal punto di vista comunicativo, sta cambiando radicalmente il modo d’essere della Chiesa. In questo senso fare leggere il suo intervento all’Avana – una periferia o un centro del mondo a seconda dei punti di vista – da un altro cardinale, ha un significato preciso. È l’esatto contrario, infatti, di quegli interventi relativi al pre-conclave usciti a pezzetti e in modo strumentale su alcune testate, pratica di cui si è lamentato in questi giorni l’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schoenborn, il quale ha sostenuto, proprio in forza di tali ulteriori fughe di notizie che violavano il giuramento del segreto di quei giorni, che Vatileaks non era ancora finito. Un grido d’allarme lanciato da uno dei più autorevoli cardinali del sacro collegio rimbalzato fino a Roma.
Per ora, dunque, la riforma di Bergoglio, passa attraverso una serie di parole e di atti che modificano il modo d’essere della Chiesa e, allo stesso tempo, mettono in seria difficoltà una Curia abituata a tradizioni rassicuranti e immutabili. Così la scelta di proseguire ad abitare nell’appartamento di Santa Marta – la residenza per religiosi interna al Vaticano e utilizzata come alloggio dai cardinali durante il conclave – destruttura due anni di complotti intorno all’appartamento papale, rende di fatto inutile la presenza di un “maggiordomo” come Paolo Gabriele, per non parlare di figure quali le “memores domini”, cioè le quattro suore laiche di comunione e liberazione che oggi si trovano con il Papa a Castel Gandolfo. Anche per questo Francesco frequenta le messe della mattina con il personale di Santa Marta, si mischia agli altri, cerca appunto di andare incontro al mondo e di non rinchiudersi nella più classica delle turris eburnae, quella vaticana.
Da giorni poi si attendono nomine importanti che prima o poi arriveranno di certo. Si vedrà chi sarà il nuovo Segretario di Stato e come cambierà la Curia. Ma l’idea già messa in pratica sembra quella di un ridimensionamento degli uffici vaticani per un potenziamento delle chiese locali. Più collegialità quindi e meno apparati. Il tutto, certo, dovrà essere messo in pratica con indicazioni precise. Per questo servirà una Segreteria di Stato forte e capace sotto il profilo del governo e della diplomazia anche per rilanciare la presenza autorevole della Chiesa nel mondo.
Chi sono i candidati? Si fanno diversi nomi, fra questi quello dell’ex nunzio in Brasile Lorenzo Baldisseri, e poi di monsignor Luigi Ventura, ambasciatore della Santa Sede a Parigi, o ancora di monsignor Celestino Migliore, nunzio in Polonia. Sono diverse le ipotesi che circolano in queste ore, compresa quella di una conferma di qualcuno che si trova già in curia come il sostituto per gli affari generali, monsignor Angelo Becciu che è stato nunzio a Cuba.
Un ruolo particolare potrebbe poi avere l’attuale presidente del Governatorato – lo Stato vaticano – il cardinale Giuseppe Bertello, in passato nunzio in Messico, personalità stimata e considerata al di sopra delle parti anche se fa parte della cordata Bertone. Se il governatorato diventerà una sorta di centro di coordinamento dei vari dicasteri, Bertello svolgerà una funzione importante.
In uscita ovviamente il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, criticato anche da molti cardinali, quindi il ministro degli esteri vaticano monsignor Dominique Mamberti; del resto proprio la diplomazia internazionale è stato uno dei punti deboli della gestione Ratzinger. Al suo posto potrebbe arrivare monsignor Pietro Parolin, oggi nunzio in Venezuela e in passato già sottosegretario agli esteri della Segreteria di Stato, personalità fra le più preparate dal punto di vista diplomatico. Anche l’attuale capo di Propaganda fide, il cardinale Fernando Filoni è dato fra i possibili candidati post-Bertone alla Segreteria di Stato. Pure in partenza, infine, è dato il prefetto della Casa Pontificia e Segretario del Papa emerito, monsignor Georg Ganeswein. Ma soprattutto sarà importante vedere se il Papa procederà a quella riduzione del numero dei dicasteri vaticani, al loro accorpamento – per esempio per quelli economici o sociali – e in alcuni casi alla loro abolizione.
Lavoro complesso dunque, che divide le varie componenti della stessa Curia, una parte dei cardinali “romani” – per esempio Jean Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, Walter Kasper, ex responsabile dell’ecumenismo, Joao Braz de Aviz, attuale prefetto dela Congregazione per gli istituti di vita religiosa – hanno sostenuto in conclave Bergoglio, altri no. Dunque la battaglia è appena iniziata.