Per la seconda volta in queste prime settimane di pontificato, il Papa è tornato sul tema dei rapporti con il mondo islamico. Bergoglio ha del resto rivolto fin da subito un’attenzione forte sia alle comunità ebraiche che ai rappresentanti musulmani, entrambe le fedi erano in effetti ben rappresentante, attraverso le rispettive e nutrite delegazioni, all’insediamento in piazza San Pietro.
Nel corso della via Crucis di venerdì sera al Colosseo, il Papa ha dunque toccato il tema dei rapporti fra cristiani e musulmani pronunciando poche parole semplici di estrema chiarezza. Anche perché le meditazioni della serata – per la cui composizione ogni anno il Pontefice sceglie qualche personalità o gruppo che rappresenta un‘esperienza di fede o una realtà nazionale specifica – erano state da Benedetto XVI assegnate al patriarca libanese Bechara Boutros Rai insieme ad alcuni giovani di Beirut. Il viaggio del settembre scorso compiuto da Ratzinger in Libano faceva da sfondo alla decisione. E sebbene le posizioni fra le diverse comunità cristiane dell’area siano tutt’altro che univoche circa i rivolgimenti in corso nella regione, Bergoglio ha fatto proprio il tema e ne ha dato una sua interpretazione. D’altro canto gli stesi testi delle meditazioni suggerivano alcuni temi importanti, sono state ricordate infatti le donne del Medio Oriente e dell’Asia “violentate dalle discriminazioni, dall’ingiustizia e dalla sofferenza” e i “figli delle Chiese orientali” spogliati e indeboliti “da varie difficoltà”, come la persecuzione e l’emigrazione, per i quali è stato invocato “il coraggio di restare nei loro Paesi e comunicare la Buona Novella”. Francesco ha poi commentato: “i cristiani devono rispondere al male con il bene, prendendo su di sé la croce, come Gesù”. E ancora ha aggiunto: “Quando il Papa Benedetto è andato in Libano abbiamo visto la bellezza e la forza della comunione dei cristiani di quella terra e dell’amicizia di tanti fratelli musulmani e di molti altri. È stato un segno per il Medio Oriente e per il mondo intero: un segno di speranza”.
«Assumere la croce e rispondere al male con il bene», questa l’affermazione chiave del Papa che di fatto rappresenta il contrario della strategia perseguita da alcuni vescovi e patriarchi locali di allearsi con regimi cadenti (in particolare è il caso della Siria) o di diventare fazione armata o énclave chiusa. Da questo punto di vista il riferimento alla convivenza fra cristiani e musulmani, dunque fra comunità che hanno pari diritti e cittadinanza, è un segnale importante che costituisce una prima indicazione per le chiese d’oriente in gravi difficoltà.
Di fronte al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, poi, Bergoglio già lo scorso 22 marzo affermò: “È importante intensificare il dialogo tra le varie religioni, penso anzitutto a quello con l’Islam e ho molto apprezzato la presenza durante la messa d’inizio del mio ministero di tante autorità civili e religiose del mondo islamico”. Parallelamente il Papa ha inviato diversi messaggi alle comunità ebraiche, a quella romana in primo luogo, e poi alla comunità di Buenos Aires con la quale aveva del resto stabilito da tempo un rapporto intenso. Ne è testimonianza il libro scritto a quattro mani con il rabbino Abraham Skorka dal titolo “Tra cielo e terra”, nel quale i due leader religiosi si affrontano molti dei temi critici del mondo contemporaneo. Ma certamente l’apertura al mondo islamico da parte del vescovo di Roma era molto attesa; nei giorni scorsi sono arrivate subito risposte incoraggianti da istituzioni e gruppi islamici molti diversi fra di loro, in primo luogo si è fatto sentire Al Azhar, il celebre centro di studi sunnita del Cairo, che da tempo sta promuovendo un cammino di modernizzazione dell’Islam. Sulla stessa lunghezza d’onda i più tradizionalisti Fratelli musulmani pronti anch’essi al dialogo con il nuovo pontefice.
Il messaggio di felicitazioni inviato a Francesco nei giorni scorsi dal grande imam di al Azhar, Ahmed el Tayyeb, ha però un particolare peso specifico; el Tayyeb auspicava fra l’altro “un mondo pieno di cooperazione e amore per assicurare valori comuni e mettere fine alla cultura dell’odio e della diseguaglianza”. Successivamente da Al Azhar trapelava la disponibilità a far ripartire il dialogo con la Santa Sede. In effetti i rapporti fra il Vaticano e la prestigiosa istituzione sunnita egiziana erano stati interrotti da tempo e sul banco degli accusati era finito proprio Benedetto XVI. A determinare la crisi alcuni fatti specifici: innanzitutto il celebre discorso di Ratisbona risalente ormai al 2006, quando il Papa-teologo pronunciò un discorso sul rapporto fra fede e ragione nel quale attribuiva a Maometto intenzioni bellicose e violente sia pure all’interno di un riferimento storico. Le proteste che si levarono dal mondo islamico furono immediate e diffuse, fra l’altro gli interlocutori del Vaticano, vale a dire i leader musulmani favorevoli all’incontro fra le due religioni e all’apertura dell’Islam, furono messi sotto assedio dai fondamentalisti che invece approfittarono dell’occasione per infiammare lo scontro interreligioso.
Ma la crisi più grave risale al capodanno del 2011 quando un attentato devastò la chiesa copta di Alessandria d’Egitto dove morirono più di venti persone. Il Papa, nell’occasione, chiese protezione per i cristiani d’Egitto e, davanti al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, invocò l’intervento della comunità internazionale. Si aprì una crisi diplomatica con l’Egitto e poi con la stessa Al Azhar che accusò d’ingerenza negli affari interni del Paese Ratzinger. Per altro successivamente venne alla luce un’altra realtà: l’attentato di Alessandria, infatti, era stato messo in atto dai servizi segreti legati a Hosni Mubarak il quale tentò di creare scontri interreligiosi alla vigilia di quella rivoluzione che l’avrebbe defenestrato. Storie e vicende complesse, equivoci e incomprensioni che si sono accumulati. Fino a quanto alla fine di ottobre del 2011 Ratzinger ad Assisi promosse un nuovo incontro fra i leader religiosi di tutto il mondo, ma all’appuntamento mancarono quasi totalmente i rappresentanti dell’Islam, compresi quelli che pure, nel corso del pontificato, avevano provato a riaprire una linea di dialogo con la Santa Sede.
Le dimissioni di Ratzinger sembrano dunque aver chiuso una stagione non facile nei rapporti fra le due grandi religioni, ora si stanno ricreando i presupposti per una nova stagione di incontro, anche se entrambe le parti dovranno tenere conto di formidabili novità intervenute nel frattempo. La faticosa battaglia per l’emancipazione di diverse popolazioni arabe sta mettendo in discussione anche i tratti più tradizionalisti dell’Islam, d’altro canto la Santa Sede dovrà trovare nuove strade che tengano conto dei cambiamenti in corso per delineare il ruolo nuovo che i cristiani possono avere nel mondo arabo e musulmano.