Non sappiamo chi sarà il prossimo Papa. E non possiamo sapere, una volta eletto, come si svilupperà la sua azione. Ma potremo capire da subito i valori che lo orienteranno osservando lo stemma che sceglierà. Forse non ci facciamo più tanto caso, ma le insegne papali sono ancora parte integrante della comunicazione pontificia. Possono sembrare un residuo del medioevo, eppure la loro centralità non può stupire in una realtà millenaria come la Chiesa (nello Stato vaticano, peraltro, la nobiltà è ancora vigente).
Lo stemma papale ha una storia lunga oltre ottocento anni. Il primo papa a farne uso è stato Innocenzo III (1198-1216). Nel tempo, i suoi elementi hanno subito pochissimi cambiamenti, mentre lo stile grafico è stato influenzato da varie epoche dell’arte italiana. Le chiavi, simbolo di S.Pietro (e del potere temporale), sono state aggiunte verso la metà del Trecento. Da Bonifacio VIII (1295-1303) in poi, ogni stemma è stato sormontato dalla tiara, ovvero la corona poi diventata triregno. Fino all’innovazione portata a sorpresa da Ratzinger nel 2005, con la scelta della mitria vescovile. Fu Benedetto XVI in persona a volere il cambio e l’aggiunta del pallio con le croci rosse. A realizzare il disegno ufficiale fu l’allora monsignor Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, poi cardinale nel 2006, chiamato poche ore dopo l’elezione.
Nunzio apostolico di lungo corso (lavorò, tra l’altro, all’allaccio dei rapporti diplomatici tra Israele e Santa Sede, negli anni Novanta), il cardinal Montezemolo è anche un esperto di araldistica. È possibile che venga incaricato dell’ideazione dello stemma anche dal prossimo papa. «Sono di formazione architetto, e prima di quello papale avevo disegnato diverse centinaia di stemmi», ricorda a Linkiesta. Per papa Ratzinger preparò otto bozzetti, tutti rigorosamente realizzati a mano, con un metodo preciso: «Per prima cosa vanno raccolti i desideri dell’interessato, poi occorre conoscere bene l’araldica per dare una corretta interpretazione dei simboli».
Particolare dello stemma del papa emerito Benedetto XVI
Così il cardinale ha ripreso alcuni simbolismi che Ratzinger già usava nelle insegne da arcivescovo di Monaco e Frisinga: la conchiglia (presente in una leggenda attribuita a Sant’Agostino, simbolo del pellegrinaggio, è anche nello stemma del monastero di Schotten), la testa di moro e l’orso (entrambi di tradizione bavarese). E su di essi ha posto la mitria. Sulla quale non è mancato il dibattito, nonostante ogni tanto fosse comparsa nella comunicazione pontificia già negli ultimi anni di Giovanni Paolo II. È stata letta come un segno di maggiore vicinanza ai vescovi, quindi una professione d’umiltà, di semplicità. E, allo stesso tempo, come un distacco dall’idea del potere temporale. Del resto, la cerimonia d’inaugurazione del pontificato non si chiama più «incoronazione».
Ma qualcuno vide la mitria come una scelta dirompente. «Fu la stessa Segreteria di Stato a specificare che non erano implicati cambiamenti istituzionali. Il triregno, fateci caso, è ancora presente nel resto della comunicazione papale», ricorda l’araldista Marco Foppoli. Studioso e artista per autorità civili ed ecclesiastiche, Foppoli fu contattato dal Vaticano per un parere informale sulla questione. ««Volevano visionare dei bozzetti alternativi (ora visibili sul sito www.marcofoppoli.com, ndr). Hanno riflettuto molto sulla scelta della mitria, peraltro importante nell’araldica protestante. Forse l’intento era dare un messaggio di modernità, sul quale però i media fecero molta confusione: il triregno non ha soltanto un significato temporale, ha anche grandissima valenza spirituale».
Ma nessuno sa se ritornerà nelle insegne del prossimo Papa. Foppoli, di origine valtellinese, era tra gli allievi prediletti di monsignor Bruno B. Heim, arcivescovo svizzero, autore degli stemmi di Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. Heim, che Foppoli descrive come «una persona spiritosa, di compagnia, acuta e attenta ai giovani araldisti», è stato forse il massimo esperto di araldica ecclesiastica del secolo scorso. «Lui era davvero un collega», ricorda Foppoli. «Aveva una mano superba e l’occhio giusto per le proporzioni, oltre alla competenza dello studioso. Non a caso, fin dal primo incarico, a fine anni Cinquanta, Heim ha ripreso gli stilemi altomedievali. Al contrario di quelli barocchi, erano molto semplici. Quindi più moderni».
Foppoli segue l’insegnamento di Heim nelle commissioni che gli arrivano da tutto il mondo, perché l’araldica va avanti anche con cardinali, vescovi e semplici prelati. Una committenza varia. «Non tutti ci tengono allo stesso modo. Ma in genere sono consapevoli. Spesso danno indicazioni, una strada da seguire». Un cliente illustre di Foppoli è il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, da molti indicato come papabile. Il suo stemma è indicativo della complessità del lavoro araldico. A parte l’insegna dell’arcidiocesi newyorkese (sulla sinistra), c’è il simbolo della sua diocesi natale, St. Louis (la corona rossa), tra due pergamene che alludono alle epistole di San Paolo ricevute dal suo patrono, San Timoteo. I crescenti d’oro vengono dallo stemma dei Dolan; quello d’argento allude alla Vergine Maria, patrona degli Stati Uniti. «In fondo, è come comporre il logo di una ditta: l’araldica è la grafica pubblicitaria ante litteram», scherza Foppoli. «Ma è un’arte, quindi dev’essere sempre una cosa bella».
Il bozzetto dello stemma del cardinale Timothy Dolan realizzato da Marco Foppoli
Anche lui, come Heim e Montezemolo, parte esclusivamente dal lavoro a mano: usa tempere e inchiostri per disegnare e dipingere “a regola d’arte” su fogli che di solito sono poco più grandi della dimensione A4. Una procedura confermata da un altro araldista, Enzo Parrino, di Monterotondo (Roma), collaboratore della raccolta di insegne www.araldicavaticana.com. Insieme allo studioso Giorgio Aldrighetti, ha ideato lo stemma del cardinale Angelo Scola. Al centro c’è una barca, simbolo dell’animo forte, trainata dalle bandiere della Trinità sul mare della clemenza, della generosità, della Grazia. Insieme, barca e mare rimandano a Venezia, dove Scola è stato Patriarca. In cielo una stella: l’astro del mattino, ovvero la Madre di Dio e le beatitudini evangeliche, nonché Cristo stesso, che quando è venuto sulla Terra, secondo Sant’Ambrogio, «ne ha pienamente illuminato il volto».
L’araldista Enzo Parrino disegna lo stemma del cardinale Angelo Scola
Lo scrivania dell’araldista Enzo Parrino
Lo stemma del cardinale Angelo Scola
Nella parte superiore c’è la bandiera milanese, simbolo tra l’altro di resistenza alla prepotenza. Ma se il vescovo di Milano diventasse Papa, che cambiamenti farebbe allo stemma? «Su due piedi, dico che mi limiterei a rimuovere solamente il capo di Milano. Ma ci dovrei pensare sopra». Parrino si schermisce, non pensa che sarà lui ad avere «l’onore e il privilegio» di realizzare la nuova insegna pontificia. Come detto, l’artista più accreditato è il cardinal Montezemolo. Ma la scelta, sempre ricaduta su personalità ecclesiastiche negli ultimi cinquant’anni, non segue alcun protocollo ufficiale. Ne sapremo di più quando lo stendardo del nuovo Papa sarà svelato, davanti ai fedeli, dalla Loggia delle Benedizioni di San Pietro.