“Economia” e “casa” sono strettamente legate, fin dall’etimologia. Oἱκονομία, la parola greca, è composta da οἶκος (oikos; casa, intesa anche come “beni di famiglia”), e νόμος (nomos), “norma” o “legge”. Quindi “economia”, in fondo in fondo, significa “regole della casa”.
Non dimentichiamo come la crisi di debito degli Stati europei sia l’eco della crisi delle “case americane” collegata ai titoli subprime. Una crisi del debito, originata dal fatto che le banche prestavano denaro (gestendo le sofferenze) mentre il debitore (le famiglie) ipotecava lo stesso bene che comprava (la casa) pagando interessi. Dopo aver concesso mutui non ripagabili a soggetti privi di denaro, attraverso la cartolarizzazione, cioè la trasformazione dei mutui in titoli finanziari, i titoli-mutui subprime venivano scambiati liberamente in tutti i mercati mondiali. Le banche, sapendo della pericolosità di questi titoli-mutui (perché sapevano che aveno prestato denaro a persone senza garanzia), diedero inizio al gioco della sedia (alla rovescia): si vendono subito i titoli e si incassa il denaro, finché l’ultimo allocco rimane seduto sull’ultima sedia con milioni di titoli (pagati una fortuna) senza alcun valore, perché il mutuatario non era in grado di onorare il suo debito.
Il Fondo Monetario in un recente studio (Global Housing Cycles di Deniz Igan e Prakash Loungani) ha analizzato le caratteristiche dell’ultima bolla speculativa. Il report indaga sul fair value delle case, prestando particolare attenzione ai cambiamenti ciclici dei prezzi delle abitazioni e alle loro conseguenze a livello macroeconomico.
I risultati dimostrano che i prezzi delle case nel lungo periodo sono influenzati dal valore dei cosiddetti fondamentali, come reddito familiare e crescita della popolazione, mentre nel breve periodo il prezzo d’equilibrio delle case è influenzato dal mercato del credito. Le differenze da Paese a Paese del prezzo della casa dipendono essenzialmente dall’housing finance systems, cioè dalla facilità con cui le famiglie possono accendere un mutuo. Lo studio del Fondo monetario inoltre esplicita come la casa sia un bene con particolarità tutte sue. Infatti le caratteristiche distintive del mercato della casa sono: offerta rigida, infrequenti scambi, mercato opaco caratterizzato da finanziamenti a breve termine per la costruzione accompagnati da finanziamenti a lungo termine per occupazione. Un bene che a causa di queste sue caratteristiche è soggetto, con maggior probabilità rispetto ai beni normali, ai cosiddetti Boom-bust cycles.
La caratteristica più importante dell’Housing cycle (la ciclicità del prezzo della casa) è che il prezzo e la quantità si muovono nella stessa direzione. Un movimento strano rispetto ai beni normali che conosciamo (un esempio fra tanti: la benzina). Solitamente, per la maggior parte dei beni, domanda e offerta hanno una correlazione negativa: più benzina c’è, meno costa; meno benzina c’è, più costa.
Come mai il mercato della casa reagisce in questa maniera al classico movimento tra domanda e offerta? Secondo gli studiosi Deniz Igan e Prakash Loungani, che hanno analizzato il mercato delle case americano dal 1960 ad oggi, dimostrando un correlazione positiva dello 0.61 tra prezzo casa e quantità, ciò accade perché molte case vengono costruite quando gli imprenditori “osservano o anticipano” un aumento di prezzo. In questo caso il ruolo delle aspettative può spiegare il perché assistiamo a bolle speculative nel mercato delle case. Le aspettative fanno costruire (e ciclicamente lasciano vuote) le case, con fluttuazioni del 23% dal prezzo di equilibrio con cicli di 4 – 4.5 anni. Oltre ad analizzare l’andamento ciclico del prezzo della casa lo studio si concentra anche sulle conseguenze macroeconomiche del mercato della casa. Tre studiosi Claessens, Kose e Terrones hanno evidenziato come le recessioni, nelle economie avanzate, coincidano con i crolli dei prezzi delle case e come la negazione all’accesso al credito tenda a essere più lunga e profonda in quei Paesi che registrano cicli altalenanti del mercato della casa.
Un altro fattore che può giocare un ruolo nello spiegare l’ampiezza del ciclo economico dei prezzi delle case è l’esposizione delle banche rispetto al settore immobiliare, che varia sia tra i Paesi, sia tra gli istituti di credito all’interno dei singoli Stati. Il valore dei mutui ipotecari detenuti dalle banche, espresso come multiplo della loro complessiva capitalizzazione di mercato, dà un’indicazione della capacità del settore bancario a resistere al deterioramento dei loro portafogli composti dai crediti immobiliari. Le differenze tra i vari Paesi negli investimenti immobiliari durante una specifica fase economica, sono più alte laddove le banche sono maggiormente esposte nella concessione di debiti. Tuttavia, nella congiuntura attuale, con i bilanci delle banche sotto stress e con i prezzi delle case bassi, l’esposizione del sistema bancario al credito ipotecario è forse maggiore che in passato. Ma quali sono le conseguenze (sociali) dovute alla mancanza di un bene primario come la casa?
Una delle conseguenze è l’occupazione delle case. La Torre di David, il palazzo occupato più grande del mondo, ha vinto pochi mesi fa il leone d’oro per l’architettura come miglior progetto rappresentante il “Common Ground”. La Biennale di Venezia ha premiato il progetto della torre di Caracas come modello di “spazio comune”, esempio di un “abitare collettivo e informale”. La giuria della tredicesima Biennale di Architettura di Venezia ha elogiato sia il progetto ideato da Urban Think tank (Alfredo Brillenbourg, Hubert Klumpner e Justin McGuirk) perché «ha riconosciuto la potenza di questo progetto trasformazionale», sia le famiglie che vivono all’interno della torre occupata, perché «hanno creato una nuova comunità e una casa a partire da un edificio abbandonato e incompiuto».
L’idea di Common Ground nasce dall’idea di squatting inteso come la gestione comune di spazi comuni: «una comunità spontanea ha creato una nuova casa e una nuova identità occupando Torre David, e lo ha fatto con talento e determinazione. Questa iniziativa può essere intesa come un modello ispiratore che riconosce la forza delle associazioni informali». La torre di David, costruzione risalente ai primi anni Novanta e costituita da 48 piani, si trova nel cuore di Caracas e i primi 28 piani sono occupati da circa 2.500 squatter che hanno fatto di quella torre, una volta destinata ad appartamenti di lusso, uffici e sede di banche venezuelane, la loro casa.
Lo squatting consiste nell’occupare terre o edifici abbandonati per riappropriarsi di quel diritto fondamentale (anche per l’economia) della casa. Secondo il giornalista del New York Times Robert Neuwirth, nel suo libro “Shadow Cities: A Billion Squatters, A New Urban World” nel mondo ci sono circa un miliardo di persone che vivono occupando: circa un individuo ogni sette (il 14% della popolazione globale). Un movimento, quello per il diritto alla casa, che emerge soprattutto dalla seconda metà del novecento e che secondo il sociologo olandese Hans Pruijt (autore di The logic of urban squatting) può essere classificato in diverse categorie: l’occupazione dovuta a la mancanza effettiva di una casa (come può essere il caso degli homeless), occupazione come un strategia alternativa di abitare (persone che non possono aspettare le liste per l’affidamento di un casa e intraprendono un azione diretta di occupazione), un’occupazione definita di “imprenditorialità” basata sulla volontà di offrire beni e servizi a basso prezzo per la comunità, un’occupazione definita di conservazione, dove gli occupanti si prendono l’onere della cura di monumenti dimenticati dalle autorità e un’occupazione politica dove lo squatt diventa il centro della protesta e dell’agire sociale.
L’occupazione anche come rivendicazione di un diritto sociale inalienabile come sostiene la dottoressa Kesia Reeve esperta in Housing research nel suo libro Squatting Since 1945: The enduring relevance of material need: «Nel contesto di circostanze avverse caratterizzato da opportunità abitative limitate e da aspettative di frustrazione, lo squatting rimuove gli ostacoli presenti nei tradizionali canali di consumo nel mercato degli alloggi e i conseguenti rapporti di potere dovuti al possesso di questo bene, bypassando così le normali ’regole’ di fornitura del welfare».
Negli Stati Uniti (Florida), un ragazzo di 23 anni, Andre Barbosa, attraverso un azione di adverse possesion è riuscito a occupare per mesi un villa dal valore di due milioni di euro appartenente a Bank of America (video). Con un cartellone appeso in una finestra di casa che recitava «living beneficiary to the Divine Estate being superior of commerce and usury», riuscì ad occupare lo stabile, rinominato il tempio di Kamisamar, per più di un anno prima di essere arrestato.
In Europa si contano edifici occupati quasi ovunque: Germania, Inghilterra, Francia; Danimarca, Olanda. Italia, Spagna. Proprio in Spagna, come conseguenza della bolla immobiliare scoppiata nel 2008, è nato un esperimento di occupazione degno di nota. In una delle regioni spagnole più povere, l’Andalusia, si può usufruire di una casa di 90 mq con terrazza per soli 15 euro al mese. A Marinaleda l’unica condizione per usufruire di queste agevolazioni è partecipare alla costruzione della casa. In questa piccola cittadina-comunità, dove la disoccupazione giovanile raggiunge lo 0%, uno dei primi obiettivi è quello di assicurare una casa per ogni famiglia. Misura che, secondo il sindaco Juan Manuel Sánchez Gordillo, «assicura un diritto fondamentale ed evita la speculazione finanziaria sulle case vuote e senza vita».
Una lotta quella degli squatter che si propaga anche attraverso la rete. Planet.squat.net è la piattaforma internazionale dove è possibile capire quanto questa rivendicazioni di diritti sulla casa siano diffuse. Tradotto in 15 lingue (tra cui arabo, russo, italiano…) il sito propone news, forum, libri tutti incentrati sull’esigenza dell’occupazione.
Ma quali sono le conseguenze economiche dovute all’occupazione? O meglio: l’occupazione di case,cioè di beni non utilizzati (che rappresentano allocazioni non efficienti delle risorse) è economicamente e socialmente utile? Secondo lo studio della ricercatrice Erica Field, sembrerebbe di no.
L’occupazione ha diverse ripercussioni sociali. Uno dei maggiori problemi correlati all’occupazione di case riguarda il mercato del lavoro con diverse conseguenze per le famiglie: secondo la studiosa, la garanzia da parte delle istituzioni del diritto di proprietà può aumentare il welfare economico. Nella sua ricerca in Perù (Entitled to work: Urban property rights and labor supply in Perù) vengono studiate circa un milione di famiglie dividendo il campione tra famiglie squatter e famiglie non squatter. Tra il 1993 e il 2003 il governo peruviano implementò un programma di titling o meglio di assegnazioni di proprietà alle famiglie, il primo programma al mondo per il riconoscimento dei diritti di proprietà nei Paesi in via di sviluppo. Uno dei più grandi problemi dell’occupazione abusiva, secondo la studiosa è l’aumento del costo opportunità del lavoro poiché la protezione della case implica una redistribuzione poco efficiente delle ore lavorative per i diversi tipi di lavori.
L’obiettivo di questo piano governativo era proprio quello di garantire una sicurezza abitativa alle famiglie delle aree periferiche della città di Lima, cercando di combattere il fenomeno dell’occupazione abusiva. Sfruttando questo piano governativo, la Field voleva valutare se i diritti di proprietà possono in qualche modo aumentare il benessere economico: «Lo scopo di questo paper è analizzare i possibili effetti tra l’aumento della sicurezza abitativa delle famiglie e l’offerta di lavoro». Perché proprio sull’offerta di lavoro? Perché se si occupa si è costretti a sorvegliare l’abitazione contro possibili invasori (altre famiglie in cerca di casa) o contro interventi governativi di sfratto. I dati mostrano che le famiglie prive di riconoscimento della proprietà passano in media 13,4 ore a settimana per assicurarsi questa “sicurezza informale” della casa. Sorvegliare la casa coincide con una riduzione del 14% delle ore lavorative per le famiglie occupanti. Inoltre, queste famiglie che vivono occupando hanno il 40% di probabilità in più di lavorare in casa. Un altro effetto dell’occupazione riguarda il lavoro minorile: in un nucleo con meno di quattro individui, le ora lavorative dai bambini sono molto alte, perché i genitori sono costretti a rimanere a casa per difendere la proprietà, abusivamente occupata.
Uno dei risultati più importanti derivante dal riconoscimento della proprietà, riguarda la riduzione delle ore passate a casa dedicate al lavoro: le famiglie che usufruirono del programma diminuirono del 30,3% le ore dedicate al business casalingo con un conseguente aumento delle ore lavorative fuori casa (+23,33%). Un aumento considerevole molto importante, visto che sia il mercato del lavoro in città, sia le attività agricole imprenditoriali sono particolarmente sensibili al grado di formalizzazione degli immobili, a causa dei grandi costi d’opportunità legati a un lavoro non agricolo in casa. Le opportunità di attività lavorative all’interno delle case rimangono molto limitate. Non solo le ore lavorate fuori, casa ma anche il numero totale delle ore lavorative aumenta (+ 14%) come conseguenza del riconoscimento dei diritti di proprietà.
Altri risultati interessanti emergono se si analizzano gli effetti del riconoscimento dei diritti di proprietà sulla distribuzione delle ore lavorative all’interno delle famiglie. L’assegnazione di una casa aumenta di 11 ore (a settimana) il tempo trascorso al lavoro per i membri adulti maschi e di 13,8 ore lavorative per i membri adulti femmine. Considerando i bambini di età compresa tra i cinque e i sedici anni, invece, le ore lavorative diminuiscono di quattro ore. La riduzione del lavoro minorile è in linea con l’aumento del 23,3% delle ore lavorative lavorate fuori casa: se le famiglie non sono costrette a mantenere la sorveglianza per la casa non ci sono incentivi a mandare i figli al lavoro al posto dei genitori che mantengono la sorveglianza della casa. È importante però notare come non sia ben chiaro come il meccanismo di assegnazione della proprietà possa aver effetto sul lavoro minorile: se il tempo dei bambini viene considerato come un bene normale, si potrebbe giungere agli stessi risultati (riduzione del lavoro minorile) conseguente a un aumento del reddito delle famiglie dovuto all’aumento delle ore lavorate (di uomini e donne all’interno della famiglia).
L’analisi costi-benefici della Field dimostra come l’occupazione di edifici (considerando il caso del Perù, Paese in via di sviluppo) non è economicamente vantaggiosa. Molte famiglie squatter impiegano molto tempo nelle attività di sicurezza privata e comunitaria (delle altre famiglie squatter; i vicini di casa), togliendolo al lavoro.
Anche le Nazioni Unite si stanno muovendo in questa direzione con degli studi approfonditi che hanno portato alla realizzazione del report Monitoring security of tenure in cities. Nel report viene riconosciuta l’importanza di assicurare i diritti di proprietà, di una casa per ogni famiglia, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo dove difficilmente sono riconosciuti diritti di possesso. Vengono sottolineati i maggiori costi supportati da queste famiglie a causa del non riconoscimento dei diritti di possesso della terra: diminuzione negli investimenti legati al lavoro agricolo, diminuzione del valore della terra e della sua contrattazione, diminuzione dell’accesso al credito e aumento delle dispute e dei fenomeni di sfratto dovuti all’occupazione.
Garantire un continuum di diritti per le Nazione Unite è possibile solo attraverso un continuo processo di registrazione dei possedimenti di terreni attraverso l’integrazione della popolazione rurale. Un sistema dei riconoscimenti dei diritti sulla terra per le popolazioni più povere (pro-poor land recordation system) che coinvolge i leader delle comunità rurali e gli addetti governativi alla registrazione della terreno permettendo la condivisione e la comprensione delle necessità legate alla terra della comunità, evitando così abusi contro la comunità stessa.
Lo studio delle Nazioni Unite dimostra come l’occupazione delle case sia un step necessario nel riconoscimento dei diritti di proprietà nei Paesi in via di sviluppo.Ma qual è l’effetto reale dell’occupazione nelle nostre città? Uno degli effetti più immediati derivante dall’occupazione è quello di creare comunità creative in un processo di riqualificazione pubblica, coinvolgendo spazi lasciati in eredità dal nostro sistema economico capitalista. Ma è possibile inserire creatività all’interno delle nostre città attraverso l’occupazione?
Tino Buchholz nel suo documentario Creativity and the Capitalist City, analizza il fenomeno della “classe sociale creativa” durante il processo di “rigenerazione urbana”. Ambientato ad Amsterdam, il film analizza l’importanza del diritto alla casa a prezzi accessibili per tutti i membri della società in una città che negli ultimi anni ha affrontato problemi di occupazione abusiva. Una classe sociale ricreativa che cerca di creare “luoghi di allevamento” attraverso l’assegnazione e la locazione di magazzini e spazi agli artisti, al fine di creare una comunità creativa, appunto. Questo film è molto più di un documentario locale sulle politiche urbane di Amsterdam, perché cerca di esplorare l’ultimo modello di sviluppo urbano nelle città occidentali plasmate dal capitalismo.
L’idea di città creativa inizia una decina di anni fa , dopo l’autorevole libro di Richard Florida L’ascesa della nuova classe creativa (2002) dove l’autore definiva la creatività del modello di rigenerazione urbana come “il nuovo sogno americano”. Uno dei punti di forza di questo film è anche l’analisi sulla lotta tra persone normali ma occupanti e le esigenze degli urbanisti. Una duplice visione di come viene visto e affrontato il problema del diritto della casa da questi due schieramenti. Un diritto di possedere e abitare che sta mutando, aggiungendo al concetto di valore di proprietà anche il valore di occupazione. La domanda degli autori però rimane aperta: Housing as a job or the Right to the City?