Gli svedesi gli hanno dato il premio Nobel nel 2001 per il suo lavoro sulle asimmetrie informative che rendono i mercati imperfetti. E se lo è meritato. La grande crisi in cui viviamo lo dimostra.
Poi Joseph Stiglitz ha cominciato a fare il tuttologo. Ha criticato con grande acutezza le contraddizioni della globalizzazione. E si è trasformato nell’avvocato di mille cause, alcune delle quali decisamente perse. Dopo i no global, ha sposato Occupy. Ed è arrivato a sostenere che il movimento ha vinto, contro ogni evidenza. I nuovi Robber Barons stanno tutti lì, vivi, vegeti e ben pasciuti. Adesso mostra simpatia per i grillini e, in una intervista a la Repubblica, spezza la sua lancia a favore di un referendum contro l’euro.
Stiglitz proclama con sussiego: o più euro o meno euro, non si può restare in mezzo. Ma va? Non gli varrà un altro premio, però ha senso. Molto meno quando dice che l’Italia ha bisogno di una nuova politica industriale. In realtà, l’abbiamo avuta per mezzo secolo: aiuti, sostegni, incentivi, finanziamenti a fondo perduto, crediti agevolati, protezionismo, dazi, tariffe, ostacoli all’ingresso, neo-corporativismo (i patti leonini tra Confindustria e sindacati). E siamo ridotti come siamo. Stiglitz probabilmente non lo sa. Anche questa è una asimmetria informativa.
Magari glielo avrebbe potuto ricordare Federico Rampini che ha raccolto tutte le affermazioni dell’economista senza contraddittorio. Chiamiamola pure asimmetria giornalistica. Ma l’intervista è una clamorosa dimostrazione di quante banalità possano uscire da un cervellone ridotto a propinare pareri à la carte.