“I funerali di Stato per la Thatcher? Privatizziamoli!”

La provocazione viene da una petizione nel Regno Unito

Margaret Thatcher non poteva sopportare alcun ruolo dello Stato nella società. Voleva che il Mercato dominasse ogni aspetto della vita pubblica e privata. Allora perché non accontentarla anche dopo la morte? Questo ha pensato, provocatoriamente, il suddito di Sua Maestà Scott Morgan e ha proposto sul tema una e-petition (la petizione online prevista dall’ordinamento britannico che, in caso di raggiungimento di 100mila firme entro un anno dalla presentazione, diventa oggetto di dibattito alla House of Commons). Lo aveva fatto tempo addietro, tanto che la petizione risulta chiusa alle 9.25 del 10 ottobre 2012.

Scriveva, con tono pungente: 

Thatcher state funeral to be privatised

Responsible department: Cabinet Office

In keeping with the great lady’s legacy, Margaret Thatcher’s state funeral should be funded and managed by the private sector to offer the best value and choice for end users and other stakeholders.

The undersigned believe that the legacy of the former PM deserves nothing less and that offering this unique opportunity is an ideal way to cut government expense and further prove the merits of liberalised economics Baroness Thatcher spearheaded.

Insomma, chiedeva all’Ufficio di Gabinetto, con humour britannico, che, in linea con l’eredità ideale della Lady di Ferro, i suoi funerali di Stato fossero finanziati e gestiti dai privati per offrire il miglior rapporto qualità prezzo e la miglior scelta per gli utenti finali e per le altre parti interessate. «Un’opportunità unica», concludeva Scott Morgan, «per tagliare le spese del governo e in seguito poter dimostrare i benefici e i meriti dell’economia liberalizzata». Le firme ottenute dalla e-petition in questione si sono fermate a quota 33.818.

I giornalisti inglesi scorrono sempre le e-petition (non di rado bizzarre) in cerca di qualche chicca. In questa si era imbattuto Sunny Hundal che l’aveva proposta nel dicembre 2011 sul Guardian, con il titolo: «Privatising Margaret Thatcher’s funeral would be a fitting tribute to her legacy»; «privatizzare i funerali di Margaret Thatcher sarebbe un giusto tributo alla sua eredità». E il catenaccio, sardonico, recitava: «La Lady di Ferro sarebbe sicuramente d’accordo che i poveri contribuenti non debbano essere ulteriormente tartassati in questi tempi di austerità».

Sunny Hundal ci metteva del suo: «In fondo come potrebbe la Thatcher accettare quel sussidio di Stato?». «Potremmo vendere i biglietti, magari via internet, con una apposita azienda privata creata per l’evento». «Certo, se finisce come per la privatizzazione delle ferrovie, nessuno arriverà in orario alla cerimonia funebre o in cinquecento saranno stipati in una chiesa da duecento posti, ma sempre meglio del carrozzone statale…». «Un’altra linea di business potrebbe essere quella del merchandising: “Vuole una foto della Thatcher con Pinochet, signore?». E «sempre nell’interesse dell’equilibrio di bilancio», concludeva velenoso il giornalista, «è giusto dire che sarei felice di ripetere la cosa quando arriverà il momento di Tony Blair».

Comunque, anche dopo che ieri Margaret Thatcher è morta per davvero, è stata presentata (da un certo Niall McCabe) una e-petition per negarle i funerali di Stato. Il testo è conciso:

No state funeral for Maggie Thatcher

Responsible department: Cabinet Office

Say no to a state funeral for Maggie Thatcher

Nel momento in cui scriviamo ha ottenuto circa 23mila firme. Questo e molto altro è successo nel Regno Unito dopo la scomparsa della Thatcher. I commenti in rete non sono stati esattamente contenuti nei toni. E a qualcuno potrebbe sembrare un abbandono delle buone maniere. Ma, come ha riflettuto sul Guardian il columnist Glenn Greenwald, «l’etichetta secondo cui “non si può parlar male dei morti” non è applicabile ai personaggi pubblici». La ex parlamentare Tory Louise Mensch era andata giù dura su Twitter nel mettere le mani avanti: «Cari Pigmei della sinistra, siete imbarazzanti, come era prevedibile. Ma ricordate: nessuno dei vostri leader sarà pianto in tutto il mondo come lei». E anche un altro parlamentare conservatore, Tom Watson si era augurato: «Spero che le persone di sinistra oggi rispettino una famiglia in lutto».

Ma Greenwald spazza via il tabù della correttezza politica post portem: «Questa richiesta di rispettoso silenzio a seguito della scomparsa di un personaggio pubblico non è solo sbagliata, ma pericolosa. Che non si debba parlare male dei morti è probabilmente una etichetta appropriata quando muore un privato cittadino, ma è profondamente inappropriata per la morte di una figura pubblica controversa, in particolare se ha esercitato una influenza notevole e il potere politico. “Rispettare il dolore” dei membri della famiglia Thatcher è appropriato se si è loro amici o se si partecipa alla veglia funebre che organizzano, ma il protocollo è fondamentalmente differente quando si tratta del discorso pubblico sulla vita della persona e dei giudizi sui suoi suoi atti politici».

Margaret Thatcher non era una donna conciliante. Il suo modo di intendere la politica e la società ha stravolto la vita di milioni di persone. Del resto, lei lo diceva: «Economics are the method; the object is to change the heart and soul» («L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima»; intervista al Sunday Times del1° maggio 1981). Aveva idee e parole limpide. Non si nascondeva dietro ipocrisie interclassiste. Era la voce dei ricchi e dei forti e non ne aveva imbarazzo, come quando – era il 6 gennaio 1980 – nell’intervista alla London Weekend Television dichiarò: «No-one would remember the Good Samaritan if he’d only had good intentions; he had money as well»; («Nessuno ricorderebbe il Buon Samaritano se avesse avuto solo buone intenzioni. Aveva anche soldi»). E il 19 luglio 1984, parlando al 1922 Commitee, avrebbe per la prima volta parlato “degli altri”, cioè degli operai, dei minatori sindacalizzati contro cui stava combattendo la grande battaglia di una vita (poi vinta con 20mila licenziamenti non concertabili), come di «nemici»: «At the time of the Falklands conflict we had had to fight the enemy without; but the enemy within, much more difficult to fight, is just as dangerous to liberty»;  (All’epoca del conflitto delle Falkland – due anni prima, ndr – abbiamo dovuto combattere il nemico esterno; ma il nemico interno, molto più difficile da combattere, è altrettanto pericoloso per la libertà»).

Eppure ieri, quando Romano Prodi, in morte della Lady di Ferro, l’ha criticata, non è mancato chi ha sostenuto che il Professore avesse perso una buona occasione per star zitto. «La Thatcher», ha detto Prodi «ha cambiato il mondo. È stata lei a intuire che tutto si debba sviluppare senza alcuna regola e senza alcun controllo. A inventare il Vangelo del “tutto mercato”. Reagan si è poi limitato a diffondere e applicare quell’idea ovunque. La nostra economia si deve sì fondare sul mercato, ma se è “tutto mercato” diventa irregolare. Il risultato infatti è stato un aumento delle differenze tra ricchi e poveri e la stessa crisi economica è stata certamente aiutata e forse provocata da questa enorme disparità. Viviamo in un mondo in cui pretendiamo che crescano i consumi ma paghiamo sempre di meno coloro che operano in questo mercato: i lavoratori, la gente…».

 https://www.youtube.com/embed/Wqsw5lWu894/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Ancora uno stralcio della riflessione di Glenn Greenwald sul Guardian: «Non c’è assolutamente niente di sbagliato nel provare disprezzo nei confronti di Margaret Thatcher, o di qualsiasi altra persona con pari influenza politica e potere, se si basa sulla percezione di loro azioni ostili nei nostri confronti. E questo disprezzo non può cambiare solo perché queste persone muoiono».

Vale la pena ricordare qui una massima scolpita da Ottiero Ottieri ne La linea gotica: «Il marxismo è un incitamento all’odio. Il capitalismo non è però un incitamento all’amore». La battaglia di Margaret Thatcher contro «i rossi» e i «nemici interni» è stata totale. L’ha vinta, senza tentennamenti. E senza chiedere di essere amata. Non può esserlo nemmeno ora che è morta. E nessuno di buon senso si stupirà quando le migliaia di tifosi del Liverpool (che mai hanno dimenticato quei licenziamenti che cambiarono la faccia della loro città né gli insabbiamenti dopo la strage di Hillsborough) anche alla prossima partita intoneranno a piena voce il loro coro: «We’re gonna have a party when Maggie Thatcher dies! We’re gonna have a party when Maggie Thatcher dies!».