Da Wikipedia: «con l’espressione Sindrome di Stoccolma ci si riferisce ad uno stato psicologico particolare che si manifesta in seguito ad un episodio estremamente violento o traumatico, ad esempio un sequestro di persona o un abuso ripetuto. Il soggetto affetto da Sindrome di Stoccolma durante l’abuso o la prigionia, prova un sentimento positivo, fino all’amore, nei confronti del proprio aguzzino. Si crea una sorta di alleanza e solidarietà tra la vittima e il carnefice».
A leggere in questi giorni i commenti sulle pagine Facebook e sui profili Twitter dei parlamentari Pd, viene proprio da pensare che una forma assai simile alla sindrome di Stoccolma, abbia improvvisamente colpito buona parte del gruppo dirigente allargato del Partito Democratico, quei militanti e iscritti che abitualmente frequentano l’agorà digitale.
Nelle drammatiche giornate (e serate) in cui si è giocata la complessa partita dell’elezione del Presidente della Repubblica, i grandi elettori Pd sono stati sottoposti a un pressing senza precedenti sui social network al grido Rodotà Rodotà, il tutto condito con le accuse di tradimento della volontà degli elettori, fino ai casi limiti delle minacce (virtuali …) che era meglio che non tornassero a casa; in ultimo anche l’occupazione delle sedi periferiche del partito a seguito di una mobilitazione e un passaparola tramite la Rete.
I Grandi Elettori democratici non si sono salvati neppure quando hanno orgogliosamente difeso sui loro profili il voto a favore della riconferma di Napolitano. Per il popolo Pd del web bisognava votare Rodotà punto, tutte le giustificazioni e gli inviti alla riflessione erano (e prevedo) saranno inutili. A loro non importava che quella fosse stata la terza scelta della burletta delle Quirinarie (quale valore può avere una consultazione in cui si sono astenuti il 41% degli aventi diritto?), perché prima dell’illustre giurista nella graduatoria del M5s si erano classificati Milena Gabanelli e Gino Strada e quindi Grillo era passato a sostenere Rodotà soltanto dopo la rinuncia dei primi due.
In una sorta di blackout della memoria breve – tipico anch’esso della sindrome di Stoccolma – la piazza democratica Facebook-Twitter si è magicamente dimenticata anche dei passaggi fondamentali degli ultimi 50 giorni post voto, con l’apertura di Bersani verso il governo del cambiamento, il rifiuto di Grillo anche solo di trattare con il Pd e, non ultima, l’umiliazione a cui era stato sottoposto il segretario democratico con la triste (sia dal punto di vista politico sia da quello personale) vicenda della diretta streaming dell’incontro con i due capigruppo a 5 Stelle.
A Grillo – che per parte sua non ha mai nascosto uno dei suoi obiettivi principali: distruggere il Pd meno elle – in questa fase tutto pare magicamente essere consentito. Far deliberatamente deragliare il treno del governo del cambiamento, trasformare Rodotà in una icona che pare uscita dalla vasca rigeneratrice del web sul modello di quando accadeva agli anziani nel famoso film americano Cocoon, dettare le sue condizioni senza accettare lo straccio di un incontro o di una telefonata con i suoi interlocutori e alla fine annunciare la sua marcia Roma, salvo poi fare precipitosamente retromarcia con una figuraccia storica.
Alla maggioranza del popolo web Pd pare non interessare neppure discutere su di un dato oggettivo: se Grillo avesse realmente voluto portare Rodotà al Quirinale avrebbe trovato il modo di aprire al governo del cambiamento (astensione ecc.) e iniziato così un dialogo con i vertici del Pd avendo dalla sua una proposta di candidatura assolutamente “compatibile” con i democratici.
Il leader del M5S invece, ha fatto esattamente il contrario, cercando per mezzo della candidatura dell’ex Presidente del PdS di produrre disordine tra le fila democratiche. Eppure sui social network ha continuato a circolare un solo grido: votate Rodotà! E neppure è valsa a far ragionare l’obiezione di molti grandi elettori Pd che hanno tentato di ricordare che così come il Pd non votava Rodotà, allo stesso modo il Movimento 5 Stelle si era rifiutato di far convergere i suoi voti su Prodi, anch’esso uscito nella rosa della Quirinarie.
No. Per il popolo della rete, il Pd era tenuto a sostenere senza se e senza ma Rodotà e chi seguiva quella linea era un reprobo, un traditore delle aspettative degli elettori del centro-sinistra: un caso esemplare di sindrome di Stoccolma appunto, quando la vittima finisce per non riconoscere più chi sia il suo vero carnefice, tra virgolette, ma pur sempre carnefice.
*senatore del Partito democratico