L’anno in cui i cattolici sparirono dal Parlamento

Sono sempre di meno e poco influenti

Nella bonaccia parlamentare e politica di queste settimane, in attesa che venga eletto il prossimo presidente della Repubblica, il nuovo Parlamento mostra un volto che in ogni caso va indagato più da vicino perché è in grado di raccontare più di una mutazione in corso nella società italiana. Per la prima volta gli esponenti cattolici eletti a Camera e Senato sono estremamente ridotti nei numeri. Meglio: non è assente, in effetti, una presenza che fa riferimento al cattolicesimo come sistema di valori, ma sembra ormai decisamente minoritaria, anche perché frammentata fra i diversi gruppi presenti in Parlamento. L’appartenenza di partito sembra prevalere di gran lunga su eventuali azione lobbistiche trasversali – per esempio sui temi eticamente sensibili – che vedrebbero il confluire su una stessa posizione, solo di una parte dei “cattolici” eletti.

D’altro canto un certo smottamento su questo fronte era cominciato già prima delle elezioni, quando alcuni esponenti laici delle organizzazioni cattoliche avevano fatto capire di essere disponibili a una legge che riconosca i diritti delle coppie di fatto omosessuali ed etero. Poi, a dare un segnale in questo senso, era stato addirittura il presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, monsignor Vincenzo Paglia, vescovo appartenente al gruppo di Sant’Egidio. E la novità di oggi è che su questi temi esiste ormai in Parlamento una maggioranza alternativa che, con ogni probabilità, comprende anche alcuni credenti.

Una recentissima indagine condotta dall’Istituto Ipsos, ha mostrato che in pochi mesi il Movimento 5 Stelle è riuscito a raccogliere il voto di circa il 20% dei cattolici (da intendersi come praticanti), a Pd e Pdl è andato il 24% circa delle preferenze dei credenti. Il Pdl ha perso il consenso in quell’area a partire dal 2011, cioè con l’inizio del declino del berlusconismo, il Pd, che era di gran lunga il partito preferito nei mesi scorsi dai cattolici, in un anno ha perso 10 punti percentuali. L’11% infine ha optato per Scelta civica, il raggruppamento centrista guidato da Monti. Il voto cattolico rispecchia ormai in pieno quello del Paese, non sembra esserci nessuna differenza. Il che dimostra, fra l’altro, come in un momento di grave crisi sociale, le indicazioni provenienti dal Vaticano e dall’episcopato – un pronunciamento a favore di Monti abbastanza netto, più chiaro nei sacri palazzi meno deciso fra i vescovi – non siano state prese in considerazione.

Nemmeno la presenza di Andrea Riccardi come ministro e di altri esponenti della Comunità di Sant’Egidio – storicamente impegnata sui temi della solidarietà, dell’impegno sociale e con una forte vocazione internazionale nel campo della pace e della cooperazione – hanno influito più di tanto. Del resto la presenza santegidina è molto romana, mentre una crisi profonda contornata di scandali ha colpito un’organizzazione come Comunione e liberazione che per molti anni ha rappresentato la punta di diamante del cattolicesimo impegnato, fortemente legato, però, all’asse Formigoni-Berlusconi. Quel modello è andato in frantumi da tempo e dentro Cl si è aperta una discussione critica sul cammino compiuto, il “patto” politico non scritto fra le gerarchie ecclesiastiche e il Cavaliere si è spezzato e la crisi in cui è entrata la società italiana ha trovato anche la Chiesa senza una risposta adeguata e forse con una carenza di classe dirigente speculare a quella della politica.

Esiste ancora una pattuglia del centrodestra – da Maurizio Gasparri a Maurizio Lupi, da Gaetano Quagliariello a Eugenia Roccella (che però non è più in Parlamento) – che prova a mobilitare la vecchia guardia “teocon”; in pratica la filiazione italiana della grande ondata neoconservatrice statunitense in grado a suo tempo di dare gambe e ideologia all’era Bush. Così, a lungo, Silvio Berlusconi ha alimentato con abilità strategica l’equivoco di una destra italiana ancorata a un cattolicesimo identitario e intransigente sul piano etico. La battaglia sul caso Englaro fu l’apice di questa deriva che aveva nel potente cardinale Camillo Ruini il suo uomo di riferimento nella Chiesa italiana. Da quando la conferenza episcopale ha dovuto rompere con il filone di potere berlusconiano attraversato da scandali indifendibili sotto il profilo etico privato e pubblico, le cose sono cambiate. Sarà infatti ora ben difficile che uomini come Fabrizio Cicchitto, Brunetta o Denis Verdini, per non parlare di Mara Carfagna o Stefania Prestigiacomo si prestino a votare per disciplina di partito leggi che già non condividevano in passato, dalla fecondazione assistita ai diritti dei gay.

Nel Pd, nel frattempo, Rosy Bindi non gode più della popolarità di un tempo: ormai è vista da una parte del suo stesso elettorato come esponente di quella “casta” che non vuole mollare il potere. Di Beppe Fioroni, forse il più fedele alle direttive del cardinale Angelo Bagnasco in materia di bioetica, si sono perse per ora le tracce: dopo il voto il suo peso specifico nel Pd sembra notevolmente diminuito. Va detto che anche il cattolicesimo sociale non gode in questo momento di buonissima salute: dalla cittadinanza agli immigrati, ai temi dell’emarginazione sociale a quelli della sussidiarietà, dal progetto di una nuova governance mondiale dell’economia che tenga conto anche del fattore umano e di quello ambientale a nuove forme di redistribuzione delle ricchezze alla critica del capitalismo finanziario, non sembra che nessuno di questi temi oggi riesca ad entrare veramente nell’agenda politica italiana impigliata in una crisi istituzionale di difficile soluzione.

Il Segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, ha lanciato lo scorso 6 aprile un allarme di carattere generale nel corso di un convegno dedicato alla presenza dei cattolici nella vita pubblica. «Dobbiamo riflettere attentamente sui limiti di una presenza sociale e politica dei cattolici oggi da più parti stigmatizzata». E che «Non può essere il vortice disordinato delle opinioni, più o meno interessate e indirizzate a bella posta – aggiungeva Crociata – a dettare l’agenda e i criteri dei nostri giudizi sulla rilevanza sociale e politica del cattolicesimo nel momento attuale; ma è certo che il deficit di incidenza diventa un indice anch’esso significativo quando è carente la capacità di mobilitazione, l’elaborazione di un progetto ispirato, l’assenza di strumenti socialmente e politicamente significativi per testimoniare e trasmettere il senso cristiano della vita sociale nelle sue varie articolazioni». E però nelle parole dell’arcivescovo non si andava molto oltre la constatazione preoccupata del problema; l’elaborazione, insomma, langue, o meglio: oggi i cattolici si ritrovano a dover ripartire quasi da zero dopo decenni di ‘principi non negoziabili’ che, terminata la lunga fase della rendita di posizione, rischia di consegnarli all’immobilismo.

Se quindi la Chiesa italiana con l’elezione del primo papa americano, sembra uscire definitivamente – almeno in tempi storici di media durata – da un ruolo di centralità negli equilibri di potere interni al mondo ecclesiale, sul piano del laicato si vive pure un senso di smarrimento. D’altro canto è anche possibile che, ancora una volta, sia un papa, in questo caso Francesco, a indicare le nuove priorità del tempo presente, considerato il suo magistero degli scorsi decenni proiettato in gran parte sui grandi temi sociali e politici del suo Paese e dell’America Latina. L’ultimo tentativo compiuto dalla Chiesa di dire qualcosa sulla gobalizzazione dell’economia, dei processi migratori, della trasformazione delle democrazie, è stato fatto con l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, che però – pur contenendo alcune importanti novità sul piano della critica all’economia finanziaria – aveva al suo interno un po’ tutto e il contrario di tutto, tali e tante erano le correnti di pensiero di cui si è voluto tenere conto nella sua stesura. Così il testo, forse comunque il più progressivo del pontificato ratzingeriano, resta un fatto abbastanza isolato, sia pure molto citato, nel percorso recente della Chiesa. Ora per i cattolici italiani si può aprire la stagione della maturità, della riconquista dell’indipendenza dalla gerarchia, cioè dall’episcopato in un rapporto di ascolto reciproco e qualche volta anche dialettico.  

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