Letta: così supereremo insieme la seconda Repubblica

Il primo intervento in aula del premier: lavoro e reddito minimo. Un filo democristiano

L’omaggio al presidente Giorgio Napolitano e quello all’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani. Le aperture al Pdl, alla Lega Nord e persino al Movimento Cinque Stelle. Il severo monito alla politica e la richiesta ai partiti di partecipare assieme alla nuova fase istituzionale. Il presidente del Consiglio Enrico Letta interviene a Montecitorio per chiedere la fiducia del Parlamento. Un intervento di poco meno di un’ora in cui il premier vola alto, traccia un ambizioso programma di governo, annuncia un po’ a sorpresa i primi impegni per il contenimento dei costi della politica.

Un discorso apprezzato dai più, anche se un po’ «democristiano», sorridono in tanti al termine. Certo, l’entusiasmo di Montecitorio non è quello tributato pochi giorni fa al presidente Napolitano. Le parole di Letta vengono interrotte più volte da applausi, tanto frequenti quanto spesso poco convinti. Quasi un obbligo istituzionale per i deputati presenti, che salutano così la nascita del governo delle larghe intese. I primi passi dell’esecutivo che nelle intenzioni del premier dovrà chiudere l’esperienza della seconda Repubblica.

Prima di tutto la lealtà al partito. Il presidente del Consiglio si rifiuta di passare per un frondista. Lui, vicesegretario del Pd, che interviene dallo scranno da cui avrebbe dovuto parlare Pier Luigi Bersani. E così all’inizio del suo intervento Letta rivolge un accorato pensiero proprio all’ex leader del partito: «Non potrei iniziare questo discorso, in un passaggio così impegnativo, senza un accenno personale ed esprimere un senso di gratitudine profonda verso chi, con generosità e senso antico della parola lealtà, mi ha sostenuto anche in questo difficile passaggio». Seduto sui banchi del Partito democratico, Bersani commosso si prende l’applauso dei suoi.

Dopo aver annunciato il viaggio che da domani lo porterà a Berlino, Bruxelles e Parigi – naturale esordio per un governo che si dichiara convintamente «europeista» – Enrico Letta si rivolge ai partiti. A ognuno il giusto riconoscimento. Si parte dagli inediti alleati del Popolo della libertà. In piedi vicino al titolare del Viminale Angelino Alfano, il premier assicura di voler procedere a una riduzione delle tasse. Poi l’annuncio tanto atteso sull’abolizione dell’Imu. «Bisogna superare l’attuale sistema di tassazione della prima casa. Intanto con lo stop ai pagamenti di giugno per dare il tempo al governo e al Parlamento di elaborare insieme e applicare rapidamente una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti». I berlusconiani esultano.

Pdl, ma anche Partito democratico. Letta insiste sul tema della giustizia. Parla di «moralizzazione della vita pubblica e lotta alla corruzione». Si cerca un compromesso tra le promesse elettorali dei due partiti. La «ferrea lotta all’evasione» deve essere accompagnata da «un fisco amico dei cittadini. Senza che la parola Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata». Nel riconoscimento ai programmi di centrodestra e centrosinistra non mancano altre aperture. Persino al Movimento Cinque Stelle. A un certo punto Letta si dice pronto a valutare il discusso progetto avanzato da Beppe Grillo in campagna elettorale: «Si potranno studiare forme di reddito minimo per le famiglie in difficoltà».

Le aperture più attese nel centrodestra sono indirizzate alla Lega Nord di Roberto Maroni. Il presidente del Consiglio assicura che durante la legislatura avvierà la creazione del Senato delle regioni e delle autonomie, tema caro ai lumbard. Ma propone anche di «chiudere rapidamente la partita del federalismo fiscale rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia, salvaguardando la centralità dei territori delle regioni e valorizzando le autonomie speciali». Una citazione di Papa Francesco, una di Nino Andreatta. Letta elenca la lunga lista degli impegni dell’esecutivo. Istruzione, ricerca e sviluppo, difesa del made in Italy, tutela del turismo, ambiente, pari opportunità, occupazione femminile. Soprattutto lavoro. «Sarà la prima priorità del mio governo. Solo con il lavoro si può uscire dall’impoverimento per una crescita non fine a se stessa ma in grado di portare benessere». Impegni spesso ambiziosi. Come la promessa di riportare in Italia i due fucilieri di marina detenuti in India. D’altronde «Non ho intenzione di sopravvivere e vivacchiare» ricorda più tardi Letta durante la replica in Aula.

Inevitabile, a un certo punto arriva anche la reprimenda ai partiti. Il premier chiede ai protagonisti del Palazzo «un esercizio autentico, non simulato, di autocritica». La politica «ha commesso troppi errori». È l’ideale prosecuzione del duro attacco di Giorgio Napolitano, andato in scena alcuni giorni fa davanti al Parlamento in seduta comune. A un certo punto l’annuncio a sorpresa. Se ognuno deve fare la sua parte, i primi a dare l’esempio devono essere gli esponenti di governo. «A questo fine, e dico al Parlamento una cosa che nemmeno i miei ministri sanno ancora, il primo atto del governo sarà quello di eliminare con una norma d’urgenza lo stipendio dei ministri parlamentari, che esiste da sempre in aggiunta alla loro indennità». Sui banchi dell’esecutivo ci si guarda sorpresi.

Ma non saranno solo i ministri a tirare la cinghia. Letta annuncia l’abolizione della legge sui rimborsi elettorali (un «finanziamento mascherato»). Era quello che chiedevano Pdl e grillini. L’intervento dovrà essere accompagnato da un provvedimento per garantire la democrazia interna ai partiti e la piena attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Esattamente quello che proponeva il Partito democratico. Ancora una volta si cerca di trovare un compromesso tra centrodestra e centrosinistra. Più arduo sembra il progetto di abolizione delle province.

Alla fine Letta non risparmia una difesa d’ufficio al suo governo. Un’esperienza limitata nel tempo, ma necessaria. «Credo che non sia facile votare insieme da posizioni così eterogenee, ma proprio per questo credo che questa sia una scelta che meriti rispetto anche da chi non la condivide, perché non è motivata dall’interesse particolare, ma da principi più alti di coesione nazionale». Dopotutto «come italiani o si vince o si perde tutti insieme». Fondamentale resta però il ruolo del Parlamento. Saranno i partiti, impegnati nella nuova Convenzione, a dar vita alle riforme da tempo attese. A partire dalla nuova legge elettorale. Una sola la promessa del presidente del Consiglio: non sarà un’altra perdita di tempo. «Tra diciotto mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l’ennesima volta, non avrei esitazione a trarne immediatamente le conseguenze». Il premier pensa già alle dimissioni?
 

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