Tre film di genere diverso, di ambientazione differente, con ambizioni e personaggi per niente omogenei, eppure intimamente legati da identico tema, la maternità, su cui offrono da punti sparsi una riflessione profonda e forte. Le tre storie sono “La madre”, “Il figlio dell’altra” e “Tutto parla di te”. Tre sguardi su persone e fette di mondo lontane, ma che restituiscono lo stesso identico travaglio, perfino la violenza, di un ruolo istintivo, imprescindibile, per niente pacifico, come quello di madre.
“La madre” è un horror di produzione ispano-canadese, diretta dall’argentino Andres Muschietti a partire da un suo cortometraggio, con la produzione di Guillermo del Toro. Due bambine rimangono senza genitori. Perdute in un bosco, vengono allevate da una creatura misteriosa, che loro chiamano Madre e che non si sa se sia un fantasma o frutto della mente distorta delle due dopo anni di isolamento dal mondo. Le due piccole vengono ritrovate e riportate in società, affidate a una coppia di loro parenti.
Una terza madre (con le fattezze della strepitosa Jessica Chastain), dopo quella morta e la Madre fantasma dei loro racconti, entra dunque nella loro vita, producendo reazioni diverse nelle due: una è educata e pronta alla vita sociale (e quindi a sua volta depositaria di un istinto materno), l’altra è rimasta a uno stato selvaggio, istintuale. Il film mischia psicologismo e tratti tipici della ghost story, e trova il suo centro di interesse proprio sul gioco conflittuale delle Madri: l’una come prevalenza del sangue, come violenza degli istinti, l’altra come richiamo alla civiltà, alla vita tra gli uomini, come ordine sociale. Nel doppio carattere delle Madri e delle figlie si rispecchia il conflitto tra natura e civiltà, all’incrocio del quale si gioca la durezza, continuamente affrontata e continuamente risolta (se risolta), dell’essere Madre.
Sull’incidente che fa divergere l’ordine biologico dall’ordine sociale è invece impostato “Il figlio dell’altra” della regista francese Lorraine Levy. La quale ambienta il conflitto israelo-palestinese in un conflitto familiare che deriva da una situazione drammatica piuttosto classica: lo scambio delle culle. Giunti alla maggiore età, due ragazzi, l’uno franco-israeliano orgogliosamente ebreo, l’altro arabo palestinese, scoprono che hanno vissuto a ruoli invertiti: in un ospedale sotto le bombe, subito dopo le nascite, sono stati affidati alla famiglia sbagliata. Tutto è ribaltato: convinzioni, modi di essere.
L’equivoco iniziale nell’evolversi della storia viene arricchito di sempre nuove elementi di disagio reciproco e di reciproca comprensione. E appena sotto il rapporto tra i due ragazzi, si svolge quello di compensazione delle due madri (interpretate in modo eccellente da Emmanuelle Devos e Areen Omari), dalla cui iniziativa dipende lo smussamento degli angoli che una tale situazione comporta, soprattutto negli elementi maschili delle due famiglie, accese ulteriormente dal conflitto politico-militare. “Il figlio dell’altra” trova una bella chiave non solo per affrontare una delle più delicate questioni internazionali, ma anche per legarla a una riflessione sul consorzio familiare: che è questione sostanzialmente di figli e di madri (come peraltro già il titolo indica).
La regista milanese Alina Marazzi è forte di una propria riconoscibilità autoriale strettamente legata alla riflessione sulla maternità, che ha avuto un episodio cinematografico struggente, insieme violento e tenero, col documentario che l’ha resa celebre, “Un’ora sola ti vorrei”, straordinaria scoperta biografica della propria madre suicida attraverso vecchi filmini familiari, realizzati dal nonno, l’editore e libraio meneghino Ulrico Hoepli. La figura delle madri ritorna nella sua nuova pellicola “Tutto parla di te” (in uscita l’11 aprile), che contamina il documentario con la fiction e che vede la presenza come protagonista di Charlotte Rampling. L’attrice inglese interpreta Pauline, che ritorna a Torino dopo tanti anni, ed entra in contatto con un centro che si occupa di sostegno psicologico alle donne in attesa e a quelle entrate in depressione dopo il parto. Quest’esperienza porterà Pauline ad affrontare finalmente un dramma del proprio passato. Il film di Marazzi è un’opera coraggiosa, perché si cala, anche a rischio di inabissarsi, nella dolcezza e nelle oscurità dell’identità femminile nella condizione di genitrice: non gli incubi horror della “Madre”, ma per esempio l’orrore dell’infanticidio. Un film importante, dal respiro internazionale, rigoroso e non conciliante, piuttosto raro in un cinema italiano che tende a rischiare sempre meno nello stile e nelle storie.