Portineria MilanoSul pratone la paura della Lega: è l’ultima Pontida?

Frizioni, smottamenti, voci su nuovi partiti, il sacro prato non è più quello di una volta

Sono diverse le fotografie che restano di questa Pontida 2013. Di sicuro c’è che dopo due anni, tra scandali e vittorie inaspettate in Lombardia, la Lega Nord torna sul sacro prato di Alberto Da Giussano, da dove Umberto Bossi la fece nascere più di vent’anni fa e da dove anche questa volta ha annunciato che la farà sopravvivere. Ma fino a quando?

Se c’è un’istantanea a tinte fosche della Pontida 2013 è proprio questa: lo spettro che la Lega Nord sia un partito destinato a scomparire. La domanda che molti leghisti si fanno è una: è stata l’ultima Pontida? A dirlo non sono soltanto i militanti arrivati nella bergamasca, comunque entusiasti e «vivi»persino nelle divisioni, quanto lo stato delle cose, il caos degli interventi, i fischi, le voci di scissione, la debolezza di una linea politica comune che al momento non è ancora chiara agli occhi dell’elettorato. Ma sono soprattutto i vecchi riti, dalla battaglia di Legnano inscenata sul palco fino alle cornamuse, a sapere ormai di «antico» per un movimento che deve confrontarsi con l’Europa e con nuove sfide economico sociali. 

Quest’anno di applausi e boati ce ne sono stati di meno. Di gente pure. Anche se Roberto Calderoli e Roberto Maroni hanno parlato di 25 mila presenze («I gufi sono stati smentiti, siamo più vivi che mai»). Ma fuori dai microfoni tutti i dirigenti lo confermano un poco alla volta: il pubblico è diminuito e se lo aspettavano un po’ tutti. Il Carroccio «vivacchia» come sostiene qualcuno. «Io non ci sto capendo più niente» rivela uno storico militante. Matteo Salvini, segretario nazionale lombardo, da sempre noto per l’insulto facile questa volta ha parlato un’altra lingua. «Non possiamo sempre qui a lamentarci, dobbiamo fare qualcosa» ha detto dal palco.

Il Carroccio si rintana nel nord, prova a lanciare un’azione costruttiva, propone la macroregione con Veneto-Lombardia-Piemonte, si lamenta del Sud e della pressione fiscale, ma si divide pure nelle piccole cose, talmente lampanti da imbarazzare. Se c’è Bobo che dice di Roma non gli importa più niente, poi arriva al Senatùr a rettificare. E infine la presenza di Roberto Cota sul palco è la rappresentazione plastica di questa grande contraddizione: presidente della regione Piemonte e parlamentare allo stesso tempo.

Se c’è una seconda foto è proprio quella della situazione di instabilità dentro al movimento. Bossi ha dichiarato di non voler rompere la Lega, mentre sul pratone i militanti se le davano di santa ragione e si minacciavano di morte, bossiani e maroniani, tosiani e zaiani e chi più ne ha più ne metta. C’è chi, come Paola Goisis o altri veneti, vorrebbe spaccare e coinvolgere anche il presidente della regione Veneto Luca Zaia in questa operazione. Ma al momento non sembra esserci altra strada che quella di restare. A confermarlo sono gli interventi di Maroni e soprattutto quello di Bossi.

Dice il Senatùr: «È sbagliato dire che tutto va bene. Non è vero che ci spaccheremo, anche se c’è il rischio che si litighi. Chi ha detto che nella Lega va tutto bene è un leccaculo, però si può ancora rimediare». Ma come si può rimediare? Cosa può davvero cambiare le cose per un partito che vive nel paradosso di contare appena il 4% a livello nazionale ma di avere in mano (al momento) le regioni più importanti dal punto di vista economico in Italia?

A quanto pare Bossi non sarebbe solo strattonato dai «fischietti» del pratone per costruire una nuova realtà politica. Ci sarebbe anche Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia, ora senatore con il suo partito le 3L, che gli avrebbe chiesto di fondare un nuovo movimento, che potrebbe chiamarsi Lega -Lavoro e Libertà. Al momento non se ne è fatto nulla. Forse mancano i soldi, forse non è ancora il tempo, forse non ci sono le idee e la voglia. E il tributarista di Sondrio in questo periodo è tornato a lavorare nel suo studio. 

Ma allo stesso tempo c’è pure Maroni che vorrebbe rivoluzionare la Lega. Ha già lanciato lo slogan Prima il Nord e non sembra così appassionato di sacri raduni o ampolle sul Po: si mormora persino che Silvio Berlusconi vorrebbe organizzare «qualcosa» con lui. Del resto, il Carroccio è ormai un partito più simile a quello della prima repubblica, in giacca e cravatta, che a quello di protesta dei Cinque Stelle di Beppe Grillo. E tra i saggi scelti dal presidente della Repubblica c’è Giancarlo Giorgetti, la mente economica, uomo simbolo della Lega che ha fatto breccia nel tessuto economico politico italiano.

La terza fotografia è quella di Flavio Tosi, il sindaco di Verona, che sta creando smottamenti e commissariamenti in tutto il Veneto. Il segretario della Liga pare ormai più apprezzato all’esterno del movimento che all’interno. Martedì incontrerà nella sua città Matteo Renzi, l’altro rottamatore del Partito Democratico. Cosa si diranno i due? Entrambi vivono la stessa situazione: aspettano il loro momento dentro partiti che non li tollerano. Ma il futuro, a quanto si dice fuori e sul pratone, dovrebbe essere tutto nelle loro mani.  

La quarta fotografia riguarda i militanti. Il Carroccio, seppur nelle divisioni, dimostra di esserci e di esistere. Il partito c’è, anche nelle divisioni e nei problemi di soldi per le sezioni. I giovani padani hanno festeggiato sabato sera e hanno organizzato ancora una volta una festa che ha coinvolto migliaia di persone. Ma tanti vecchi elettori, anche giovani, sono già passati con Grillo e in queste ultime settimane appaiono disorientati, come testimoniano le frizioni tra Marco Reguzzoni e lo stesso Maroni. 

Qui sta la sfida del futuro della Lega. «Se serve siamo pronti a fare la guerra a Roma e al Governo. Abbiamo tempo fino al 31 dicembrefino ad allora siamo pronti a trattare. Se pero’ il Governo ci dice di no, noi ci impegneremo a superare autonomamente i vincoli posti da Roma» avverte Maroni insultando qua e là i giornalisti di «regime». Ma dopo vent’anni di promesse e minacce, di Padania e secessione, le cose sono cambiate. «Bisogna fare qualcosa» ha detto Salvini. Si ma «cosa» esattamente si domandano i leghisti. E con tutta probabilità a sciogliere il nodo non basteranno i diamanti dell’ex tesoriere Francesco Belsito.

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