Il sogno è finito da anni. La terra delle miniere e delle grandi industrie continua ad essere in ginocchio. Si chiama Sulcis Iglesiente ma si legge ‘provincia più povera d’Italia’, la fetta terra nella Sardegna sud occidentale nota per gli operai asserragliati a mezzo chilometro sotto terra o arroccati a 60 metri d’altezza. ‘Il sogno tecnologico industriale’ si è esaurito e gli abitanti, 130mila, si sono svegliati in mezzo a una crisi senza precedenti.
«Negli anni 80 le miniere e le industrie garantivano più di trentamila buste paga – spiega Marco Grecu, oggi segretario dello Spi Cgil, il sindacato dei pensionati, e in passato leader per otto anni della Camera del lavoro del Sulcis Iglesiente – progressivamente abbiamo assistito alla chiusura e dismissione di tutte le più importanti attività produttive». Cita un altro dato il sindacalista: «Industrie e miniere, tra diretto e indotto, garantiscono quasi cinquemila buste paga, troppo poco per un territorio come questo».
Perché nel Sulcis Iglesiente la città più popolosa non è né Iglesias con i suoi 27mila abitanti né Carbonia che di residenti ne ha 29mila, ma quella dei disoccupati: oltre trentamila per una popolazione complessiva di 130mila persone. «Il fatto vero è che l’economia di questa parte di Sardegna è tenuta in piedi dai pensionati – aggiunge ancora Grecu – e si tratta di 40 mila persone che con la loro pensione, in molti casi accompagnata dal vitalizio legato alle malattie professionali come la silicosi o altre patologie respiratorie, aiutano figli e nipoti ad andare avanti».
La lotta per la sopravvivenza comprende anche le seimila persone «che si salvano» grazie agli ammortizzatori sociali. Tra questi ci sono anche i lavoratori delle industrie che negli tempi hanno spento gli impianti: Alcoa che si è fermata il 31 dicembre, Eurallumina e altre piccole realtà. L’analisi sulla parabola economica e industriale è severa: «Ho sempre detto che questo tipo di industria ha portato buste paga e un certo tipo di benessere -spiega Grecu – perché non ha innescato il processo economico legato alla ricchezza di un territorio». Basti un esempio: «Pensiamo al processo di verticalizzazione dell’alluminio, non è mai partito». Con il risultato che «chi resta sopravvive grazie agli aiuti dei parenti più anziani mentre i giovani vanno via e non tornano più».
Una tesi che sposa anche Salvatore Cherchi, un passato da parlamentare e sindaco di Carbonia e oggi presidente della Provincia di Carbonia Iglesias. «I limiti del modello industriale vengono da lontano – argomenta -. In sintesi: si è sviluppata solo la produzione metallurgica di base quella a più alta intensità di capitale, a maggiore consumo energetico e ambientale e a minore impatto occupazionale. Non è cresciuta la manifattura dei prodotti finiti, quella a più alta occupazione e maggiore valore aggiunto. I tentativi, numerosi, per correggere quel modello non hanno dato i risultati attesi nonostante l’impegno ingente di capitali. Molti dei risultati negativi vengono da una gestione politico-clientelare di quei programmi».
Nel Sulcis Iglesiente poi la parola industria deve fare i conti anche con la parola bonifica e con un mito ricorrente: il turismo, considerato strumento alternativo alla chiusura delle fabbriche. «La tradizione industriale è un valore – spiega ancora Cherchi – . L’UE ha assunto l’obiettivo di aumentare sensibilmente il peso dell’industria. E’ un obiettivo da perseguire innovando produzioni e prodotti. Le bonifiche sono necessarie per ambiente sano e riutilizzo del territorio. Sono un passaggio non l’approdo. Il turismo ha un rilevante potenziale di crescita. Il piano strategico provinciale valuta in 1300 posizioni di lavoro equivalenti anno un traguardo realistico. Al Sulcis servono almeno 8000 nuove occasioni di lavoro. Nessun comparto da solo risolve».
Fabio Enne, segretario generale della Cisl del Sulcis Iglesiente ha il piglio di chi non si vuole arrendere. «Negli ultimi trent’anni c’è stato un vero e proprio tracollo – spiega – oggi non solo l’industria assicura poco meno di cinquemila posti di lavoro ma la crisi colpisce anche piccole realtà che operano nel sociale perché la pubblica amministrazione, magari a causa del cosiddetto patto di stabilità, non paga quanto dovuto. E’ chiaro che ci deve essere un’inversione di tendenza perché si questo passo si finisce per scoppiare».
E mentre le cronache locali raccontano le diverse sfumature della disperazione quotidiana, dai furti di alimenti nei supermercati alle processioni di nuovi poveri nelle mense della Caritas, c’è chi guarda con molta attenzione alla politica. «Il Sulcis Iglesiente, per sopravvivere ha bisogno di un governo – spiega Manolo Mureddu, operaio di un’impresa d’appalto dell’Alcoa di Portovesme e delegato Cisl – altrimenti senza una guida qui si rischia davvero di esplodere perché di speranze ormai non ce ne sono più».