Il cardinale Angelo Bagnasco appoggia, come era prevedibile, il governo delle larghe intese guidato da Enrico Letta, una scelta quasi obbligata per la presidenza della Cei, visto che, almeno in una certa misura, l’attuale soluzione politica corrisponde a quell’appello ripetuto negli ultimi anni dai vertici della Chiesa italiana affinché le maggiori forze politiche trovassero un’intesa sui problemi più urgenti del Paese mettendo da parte divisioni e contrapposizioni. Bagnasco però non dice come all’interno di un simile quadro possano convivere differenze e conflittualità, che pure sono destinate a sussistere come insegna la storia di queste prime settimane. Ma ai vescovi, certo «sta a cuore non una formula specifica, ma i princìpi che devono ispirare la vita politica e, più in generale, il vivere sociale».
L’arcivescovo di Genova ha aperto oggi pomeriggio la tradizionale assemblea generale della Cei di maggio che si svolge in Vaticano. Un appuntamento atteso per la chiesa italiana che si trova a dover affrontare non solo il delicato frangente sociale e politico che vive il Paese, ma anche la straordinaria mutazione al vertice della Chiesa universale. E forse in questa occasione, per la prima volta da diverso tempo, la parte della prolusione relativa alla situazione interna dell’episcopato e della Chiesa era attesa con maggiore curiosità rispetto ai classici riferimenti al quadro politico. Questi ultimi, peraltro, non riservano sorprese: c’è un trasparente riconoscimento del ruolo svolto dal Napolitano, una critica altrettanto chiara dei «populismi», con implicito riferimento al grillismo, e un’apertura inevitabile alle larghe intese. Del fenomeno Grillo e del suo successo elettorale per altro, nella prolusione di Bagnasco non c’è traccia, quasi che la Chiesa nel suo vertice, di fronte al terremoto politico e sociale in corso nel Paese, non avesse ancora affinato gli strumenti per interpretarli.
E poi di nuovo emergono fra i temi l’attenzione alla famiglia e la difesa della vita, quindi non mancano i riferimenti ad alcuni elementi tratti dalla cronaca di questo periodo, dai femminicidi alla criminalità organizzata che nella locride minaccia anche la Chiesa e i suoi rappresentanti. E poi naturalmente il tema del lavoro anche se, nel recente passato, lo stesso Bagnasco sulla crisi sociale aveva svolto analisi più complesse. I toni, insomma, non sono eccessivi ma i riferimenti chiari. Del resto l’intervento dei vescovi italiani non appare in questa occasione determinante nel definire gli equilibri politici nazionali. Diversi esponenti cattolici di vario orientamento sono al governo, tutto sommato abbastanza mescolati con rappresentanti di altre culture e sensibilità, mentre il Parlamento può contare al suo interno su una lobby cattolica in grado di organizzarsi che non sembra però essere maggioritaria. E per altro la crisi-mutazione attraversata dalla Chiesa incide pure sulla conferenza episcopale. Le parole del cardinale presidente verranno dunque ascoltate dal mondo politico, eppure l’opinione pubblica in generale sembra in questo momento più attenta a capire quali segnali arrivano dai sacri palazzi circa i cambiamenti che interesseranno la Chiesa nei prossimi mesi.
Sulla situazione politica, Bagnasco afferma fra le altre cose: «In questi tempi abbiamo visto, ad alti livelli, gesti e disponibilità esemplari che devono ispirare tutti. Ma anche situazioni intricate e personalismi che hanno assorbito energie e tempo degni di ben altro impiego, vista la mole e la complessità dei problemi che assillano famiglie, giovani e anziani». «Dopo il responso delle urne – ha aggiunto il presidente della Cei – i cittadini hanno il diritto che quanti sono stati investiti di responsabilità e onore per servire il Paese, pensino al Paese senza distrazioni, tattiche o strategiche che siano». Da qui l’apertura al governo attuale costruita da Bagnasco senza mai nominare direttamente l’esecutivo: «pensare alla gente: questa è l’unica cosa seria. Pensarci con grandissimo senso di responsabilità, senza populismi inconcludenti e dannosi, mettendo sul tavolo ognuno le migliori risorse di intelletto, di competenza e di cuore. Allora insieme è possibile». Per questo, secondo il presidente dei vescovi, «non bisogna perdere l’opportunità, né disperdere il duro cammino fatto dagli italiani. L’ora è talmente urgente che qualunque intoppo o impuntatura, da qualunque parte provenga, resteranno scritti nella storia». Quindi il lavoro, definito priorità urgente e «lama» che ferisce la società.
E però la prolusione, che pure si apre con un ringraziamento a Benedetto XVI ed è percorsa da citazioni del nuovo Papa, sembra eludere alcune questioni di fondo forse rimandate al dibattito in assemblea. Non vi è alcun riferimento al tema della corruzione nella vita pubblica, e anche alle sue implicazioni etiche e sociali, mentre gli aspetti relativi ai problemi derivati dalla crisi della finanza sono toccati solo superficialmente. Come del resto sparisce ogni riferimento all’otto per mille, e questo è assai particolare, anche perché è il periodo in cui gli italiani fanno la loro scelta. Del resto il tema della «Chiesa povera per i poveri» evocato dal Papa sembra per ora rinviato ad altra sede o al dibattito generale. Così come non si parla di questioni legate alle esenzioni fiscali per la Chiesa, e così via. Il punto evidentemente, non è quello di promuovere un pauperismo di maniera, ma di dare seguito a una verifica chiesta dallo stesso pontefice alla Chiesa italiana circa le sue strutture, gli sprechi, e via dicendo. Insomma sembra che qua e là emerga un certo imbarazzo.