Bastone e carota, Grillo catechizza i suoi parlamentari

L’incontro fiume alla Camera tra rimborsi, black list (poi ritrattate) e scomuniche

Dopo giorni di polemiche Beppe Grillo scende a Roma e catechizza i suoi in un’assemblea fiume di tre ore. Stavolta il leader non si fa desiderare: niente luoghi segreti né agriturismi fuori porta, gli stessi che avevano fatto storcere il naso a molti parlamentari. «Siamo più di 160, perché non viene lui da noi?» Detto, fatto: Grillo atterra alla Camera, parcheggia nel garage di Montecitorio e viene prelevato dai pretoriani del gruppo comunicazione Rocco Casalino e Nicola Biondo. All’ingresso trova una pattuglia di giornalisti e c’è il tempo per una battuta: «L’incidente di Genova? È già una tragedia che noi siamo qui in Parlamento, ne vogliamo aggiungere un’altra?».

Niente diretta streaming, la riunione si celebra a porte chiuse nonostante i cameramen del movimento siano in sala a filmare. Per attutire la blindatura parte il livetwitting dall’account @M5SMontecitorio. Accanto a Grillo siede Filippo Pittarello della Casaleggio Associati, stretto collaboratore dello staff nonché figura di coordinamento tra il comico e il guru. «Sono venuto a darvi un abbraccio, a dirvi che stiamo andando alla grande», esordisce Grillo, che però non è in vena di smancerie sul capitolo stipendi.

Con i parlamentari usa bastone e carota. Il legno è funzionale al caso rimborsi, che il leader inaugura con un annuncio tanto rock quanto minaccioso: «fanculo ai soldi». Dopodichè ammonisce e argomenta: «se avete firmato qualcosa dovete rispettarlo, perché non si fa la cresta su ciò che non si è rendicontato». Il riferimento è alle polemiche sulla parte eccedente della diaria che i grillini avevano deciso di lasciare alla scelta di ciascuno, contravvenendo al dettato dello staff.

Bastano un paio di frasi di Grillo per troncare il dibattito e avvertire gli indecisi: «metteremo nomi e cognomi di chi vuol tenersi i soldi». Alla minaccia di una black list  (su cui poi ritratterà) si aggiunge la scomunica ad Antonio Venturino, vicepresidente dell’Ars cacciato per non aver rinunciato a parte dell’indennità e definito « pezzo di merda». La carota arriva per addolcire il rapporto con i media. Dopo il ciclone Mastrangeli e la guerriglia col gruppo Repubblica-L’Espresso, Grillo semina distensione: «fermatevi per la strada a rispondere ai giornalisti». Poi il colpo di scena: «andate in tv a spiegare ai cittadini le nostre idee, purché non siano talk show».

La bussola è rappresentata dai «venti punti del programma» e sull’accusa di poltronismo piovuta da Sel, il leader chiarisce: «non siamo attaccati alle poltrone e se non riusciremo a cambiare le cose, meglio andarsene». Per la piattaforma in stile Liquid Feedback c’è ancora da attendere ma nel frattempo, annuncia Grillo, è stato elaborato un programma per fare votazioni sul blog interpellando la Rete. Le truppe vanno comunque motivate: «siamo la protezione civile della democrazia», «il movimento è una rivoluzione di processo e non di prodotto», ripete il capo. Il deputato Barbanti sottolinea che «il lavoro sul DEF ci ha trasformato in una vera squadra», mentre la senatrice Sara Paglini vola più in alto: «noi siamo il ragazzo con la busta della spesa davanti al carro armato di Piazza Tienanmen».

Grillo ascolta e applaude: «i discorsi che avete fatto in aula sono andati aldilà di ogni mia aspettativa, siete stati eccezionali». Eppure la lavata di capo è netta. Senza aperture nè concessioni al dibattito, il leader blinda la questione su soldi e rimborsi, capisaldi del Movimento che ieri erano rendita elettorale e oggi si trasformano in sabbie mobili su cui il rischio di perdere la faccia è dietro l’angolo. Tra sorrisi e scetticismi, all’uscita dal conclave l’onorevole Terzoni prova a smussare: «Grillo arrabbiato? Ma no, ci ha solo riletto il codice di comportamento». Sbagliando s’impara.

Twitter: @MarcoFattorini

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