“Diritti solo per i gay in Parlamento? È un inizio”

Il parlamentare risponde all’articolo di Telese sui diritti delle coppie gay alla Camera

Lettera del parlamentare Ivan Scalfarotto che risponde all’articolo di Luca Telese, “Perché solo i gay della Casta possono avere diritti?

Quello che trovo singolare di tutta la vicenda dell’assistenza sanitaria integrativa per i parlamentari è che sia diventata un problema nel momento della sua estensione ai parlamentari omosessuali, in questo momento 2 su 630 alla Camera dei deputati (lo 0,33% degli aventi diritto).

Dal 2001 fino alla pronuncia dell’Ufficio di presidenza della Camera che ha accolto la richiesta di coprire la mia famiglia – nonostante le giuste proteste di Paola Concia, discriminata per 5 anni nella scorsa legislatura senza che nemmeno le fosse fornita una risposta – questo privilegio è passato sostanzialmente inosservato. Un parlamento incapace di legiferare sui diritti del milione di coppie non coniugali che vivono in Italia riconosceva tali coppie per sé, ma a una precisa condizione: che il parlamentare fosse eterosessuale.

Questo comportava che ci fossero oltre a cittadini di serie A (i parlamentari) e di serie B (gli altri), anche parlamentari di serie A (gli eterosessuali) e parlamentari di serie B (i gay e le lesbiche). In fondo una cristallizzazione della discriminazione degli omosessuali in questo paese: sei un cittadino di serie B in tutti i casi, anche se ti è data la ventura di diventare un parlamentare della Repubblica.

La battaglia per l’uguaglianza delle persone GLBT all’interno del Parlamento è una delle facce della battaglia delle persone GLBT in ogni circostanza. Sul lavoro, nella fornitura di servizi, nel rapporto con la Pubblica Amministrazione. Ed è una battaglia altrettanto importante, ma completamente distinta, da quella sui costi della politica. E non vanno confuse. Se i parlamentari debbano essere pagati diversamente o di meno si può e si deve urgentemente discutere, ma immagino non pensando di risolvere la questione generando risparmi attraverso il taglio delle indennità dei soli deputati e senatori gay: 3 su 945, non un gran ché.

Il punto è che nel momento della mia immatricolazione, le mie prerogative di parlamentare (giuste o sbagliate che fossero) erano inferiori rispetto a quelle dei miei colleghi. Se avessi accettato senza fiatare la loro riduzione in confronto a quelle dei deputati eterosessuali sarei stato acquiescente – a nome di milioni di concittadini GLBT – a una situazione di discriminazione inaccettabile.

Avrei confermato la legittimità, anche presso la Camera dei Deputati, di una disparità di trattamento sulla base del mio orientamento sessuale. Oggi sappiamo che tutte le persone GLBT che diventeranno in futuro parlamentari della Repubblica non potranno essere trattati in modo difforme dai propri colleghi eterosessuali. In via di principio, io penso che sia una conquista. Un passo. Un precedente che potrebbe spiegare i suoi effetti, data l’importanza della sede da cui proviene, anche in altri ambiti.

Ma il dato importante della decisione di ieri è che la Camera – e non il circolo del tennis o la bocciofila del quartiere – per la prima volta ha stabilito che una famiglia, sia pure la famiglia di un parlamentare, formata da due uomini o da due donne è una famiglia. È sufficiente? No. Ma è importante. Perché non era mai successo, perché è una decisione schiettamente politica e perché afferma un principio che dà a chi lavora per l’uguaglianza un’arma fondamentale per chiedere l’approvazione di una legge che equipari le famiglie gay a quelle etero anche fuori dal palazzo.

A meno che non si voglia ridurre il voto della presidente Boldrini e dell’intero ufficio di presidenza della Camera, un mero espediente messo in piedi per ottenere un piccolo vantaggio economico individuale. Ma questa ipotesi voglio sperare non sia nemmeno da prendere in considerazione.  

*parlamentare del Partito democratico

Controreplica di Luca Telese alla lettera di Ivan Scalfarotto

Io di solito uso il termine Casta con molta parsimonia. Non amo le generalizzazioni. Lo ho fatto nel corsivo di stamattina per documentare un paradosso: e cioè che quello che la Camera non ha mai nemmeno voluto normare legislativamente per tutti i normali cittadini (un riconoscimento, anche parziale, dei Pacs, con la possibilità di pagare l’assistenza sanitaria per un compagno non legato da vincolo di matrimonio), lo ha accettato in via burocratica solo per i suoi membri.

Fino a ieri solo per gli etero: oggi anche per i gay. Un atto pratico, ma anche simbolico, dell’organo sovrano di autogoverno della Camera. Per questo è molto più importante che se lo avesse fatto, chessó, l’ordine dei giornalisti : i giornalisti non fanno leggi, i deputati sí. Dopo poche ore che l’articolo era in rete mi ha chiamato Ivan Scalfarotto, che con la sua richiesta ha innescato questa piccola rivoluzione, perché lo citavo: molti oggi gli hanno scritto, protestando con lui, come se si fosse appropriato di qualcosa.

Effettivamente Scalfarotto non è colpevole di nulla, e si considera, più che un privilegiato, un pioniere. Qualcuno è andata a prendersela persino con Paola Concia, che nella scorsa legislatura aveva chiesto di poter coinvolgere sua moglie Ricarda, peraltro senza nessun successo. Direi che è l’ultima persona a cui può essere imputato di qualcosa, e per giunta non è più parlamentare. Fino a ieri, come Scalfarotto, la Concia era tecnicamente discriminata, perché la Camera aveva negato a lei la possibilità riconosciuta agli altri deputati di accedere ad un servizio (a pagamento, certo, ma molto conveniente).

Io, a dire il vero, ritenevo più disdicevoli – e lo scrivevo nell’articolo – il voto a favore del Pdl e le astensioni dei Grillini. Per motivi diversi e intuibili, infatti, entrambe le scelte erano in contrasto con le dichiarazioni di intenti di sempre di quei partiti. Però adesso Scalfarotto, la Boldrini, Giachetti e tutti gli altri deputati progressisti che hanno voluto questo provvedimento, hanno il dovere di far sí che diventi davvero pionieristico, e che quindi non sia piu un privilegio: perché la distanza che divide questi due concetti in questo caso è molto esigua, poco più di una parentesi temporale, direi.

Ecco perché consiglio a tutti quelli che hanno votato l’estensione della copertura, se ci tengono, di esercitarsi in una piccola minaccia: quella di non votare la fiducia al governo finché questi diritti delle coppie di fatto ad assistenza e previdenza, non siano discussi da tutto il parlamento. È l’unica argomentazione efficace, di questi tempi, purtroppo.
 

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