“Le classifiche dei ristoranti sono decise dalle lobby”

Parla Enzo Vizzari, direttore delle Guide de l’Espresso

«Non sono contro le classifiche sui ristoranti, ci mancherebbe. La guida che dirigo si basa sui voti. Ma un conto è farle in modo lucido, un altro è basarle su valutazioni di giurati spesso inaffidabili che fanno lobby e non effettuano le visite in tutti i locali votati come prescrive il regolamento». Non usa certo il fioretto Enzo Vizzari, direttore delle Guide de l’Espresso e instancabile viaggiatore per «raccontare» locali di tutto il mondo su l’Espresso e La Repubblica. Tornato da Londra dove si è celebrato il rito annuale di The World’s 50 Best Restaurants – la graduatoria più attesa dai grandi chef – che ha incoronato lo spagnolo El Celler de Can Roca davanti al danese Noma e all’italiana Osteria Francescana di Massimo Bottura. Tutti grandissimi locali – su questo non si discute – ma è il metodo della votazioni che fa discutere e arrabbiare. Non solo in Italia.

In che misura si può parlare di una classifica discutibile?
Trovo sbagliato il metodo della pura somma aritmetica perché consente evidenti giochini a carattere nazionale e internazionale. Chi è responsabile di una macro-regione (sono 26, ognuna delle quali è composta da una giuria di 36 membri: critici, cuochi, patron e gastronomi di lungo corso, ndr) ha un potere assoluto sui giurati. Ovvio che dipende dalle capacità e professionalità degli stessi: c’è chi resiste alle pressioni ma la maggioranza segue le indicazioni di scuderia. Chi lo nega, mente. Ci sono stati coordinatori anche in Italia che telefonavano serenamente per “fare gruppo”.

Quindi i voti sono in vendita?
Non proprio. In realtà è il metodo scelto per stabilire la classifica che si presta al lobbismo: ogni giurato ha a disposizione sette voti. Quattro da assegnare nell’area di appartenenza, tre nelle altre. Da qui la necessità di concentrare i voti su un poker nazionale – come succede regolarmente – e la disponibilità a trovare accordi con i responsabili delle altre macro-regioni. Sia chiaro, non è il caso di drammatizzare: si parla comunque di cibo. Però, trovo assurdo che i coordinatori abbiano un potere così grande: emblematico il caso francese dove vengono premiati regolarmente i bistrot degli «amici» e penalizzati i grandi ristoranti, giustamente al vertice nelle guide specializzate.

Lo sponsor dell’evento non dice nulla?
Beh, a San Pellegrino & Acqua Panna conviene che la classifica faccia discutere in tutto il mondo e non c’è nulla di male. Semmai, penso che uno sponsor di questo livello avrebbe il diritto e il dovere di pretendere più rigore e serietà da parte dei giurati. E ragionare su un metodo diverso, magari su vari range. Io non esalto la Guida Michelin, anzi la critico quando sbaglia o non si aggiorna sui cambiamenti di locali. Però, bisogna ammettere che il sistema delle stelle – basato su tre fasce ben distinte e senza votazioni – è molto più affidabile su scala mondiale.

Parliamo del podio. È stato recentemente a Girona da El Celler: merita il primato?
Sicuramente è al top dei top: ho fatto il pranzo migliore dell’ultimo decennio. I Roca sono più bravi di Ferran Adrià, perché hanno impostato una cucina molto aperta e di straordinaria modernità, con evidenti citazioni del territorio ma impiegando prodotti di tutto il mondo. Non ci sono dogmi ma neppure fronzoli, si gustano piatti veri e propri, non esercizi di stile o sterile avanguardia.

Il Noma è sceso di una posizione dopo un triennio al vertice.
Lo trovo un ottimo ristorante: René Redzepi è intelligente, la cucina eccellente, l’organizzazione del posto geniale. Ma tutto va contestualizzato in Danimarca, nel mondo nordico. Ridicolo possa essere considerato da quattro anni nei primi tre locali del mondo! Tra l’altro, il suo successo ha portato il «vento del Nord» che ha permesso a svedesi, olandesi e altri danesi di entrare in classifica.

Ora pare sia il momento del Centro e Sud America.
In parte lo meritano, in parte è tendenza «creata». Guardacaso a settembre, ci sarà la prima edizione dei Latin America’s 50 Best Restaurants. Sono cucine vivaci, rudimentali in qualche caso ma molto divertenti da scoprire. Soprattutto quella brasiliana – per ora la sola ad essere uscita dai confini – può contare su una varietà straordinaria di prodotti. Tra il Nord e il Sud ci sono differenze enormi e quindi possibilità di sviluppo impressionanti. Ma calma con i facili entusiasmi.

Però il D.O.M. di Alex Atala è sesto in classifica…
Un caso unico. Lui è bravissimo a utilizzare la materia prima locale come quella più raffinata: il suo locale si trova a San Paolo ma potrebbe serenamente essere a New York o a Londra. Ma il resto è ancora lontano: la new entry brasiliana – al 46° posto – è Mani, sempre a San Paolo. Bene, sono certo che un ispettore della Guida dell’Espresso gli darebbe 15/20, non di più.

Chiamamola geopolitica culinaria. Ci sono altri esempi?
Sicuramente la crescita generale dell’Oriente, in modo sapiente. La cucina top è quella giapponese, meriterebbe molto di più ma si premiano locali thailandesi, cinesi, di Singapore e di Hong Kong per non fare torto a nessuno. Poi vedere un ristorante australiano – Attica – che da new entry guadagna la posizione numero 21 lascia perplessi considerando la marea di tre stelle europei manco nominati. Quanto agli Stati Uniti, hanno sempre avuto valide espressioni: non mi aspettavo comunque che un maxi-locale come l’Eleven Madison Park a New York, con 150-200 coperti fissi – passasse dal decimo al quinto posto. Forse si vuole premiare sempre di più la ristorazione per numeri importanti, quella che si può definire «democratica», e non limitarsi ai locali d’èlite, per pochi gourmet.

Quella dei suoi prediletti chef d’Oltralpe?
Per me è il caso più eclatante di una classifica già discutibile in generale. Ma come, entra nei 50 Best il modesto Septime e restano fuori i migliori locali di Francia per tutte le guide e per tutti i gourmet? Assegnano ad Alain Ducasse il premio alla carriera – che peraltro non ha ritirato – e i suoi ristoranti più illustri quali il Plaza Athenée e il Louis XV sono 79° e 64°? Su non scherziamo.

Torniamo al podio. Come leggere il terzo posto dell’Osteria Francescana?
È il risultato del percorso straordinario di Bottura. Ricordo che nel 2002, uscendo dall’Autosole a Modena, andai quasi per caso alla Francescana: trovai basso il punteggio assegnato e lo alzai a 15/20 nell’edizione successiva. Massimo era già bravissimo e con tanta voglia di fare, ora è il più solido e divertente interprete della nuova cucina italiana: radicata nella tradizione ma moderna, di
grande personalità e di tecnica innovativa. Mangiare da lui fa godere, è il termine giusto.

Gli altri tre italiani in classifica?
In realtà sono quattro. Umberto Bombana lavora a Hong Kong ma il suo Otto e Mezzo è in toto un ristorante tricolore. I nostri giurati hanno fatto gioco di squadra che anche se sono italiano e mi rendo conto che gli stranieri fanno lo stesso non trovo comunque corretto. Così hanno utilizzato le quattro «caselle» nazionali in modo logico confermando Le Calandre, riuscendo a far entrare Piazza Duomo e recuperando Combal.Zero che nel 2012 era stato estromesso dai migliori. Niente da dire sul valore degli chef: Alajmo e Crippa hanno tre stelle, Scabin due.

E il povero Cracco? Vederlo 82° e in caduta libera sorprende.
Beh, evidentemente non stava simpatico ai nostri giurati. Se avessero concentrato i voti su di lui, non tutti ma almeno una parte, forse sarebbe rientrato nei 50 Best. Anche perché Crippa e Scabin sono nell’ultima fascia della classifica, quindi con un numero non enorme di punti. Però, lo ripeto, qui il gioco è non disperdere i voti per il Paese, non dare giudizi congruenti e liberi.

Celebriamo il trionfo di Nadia Santini, miglior cuoca del mondo?
Volentieri. Anche se tanto per confermare i dubbi sul meccanismo, resto perplesso sul fatto che il grande ristorante dove lei cucina tutti i giorni – il Pescatore – è solo 74° e ha perso quattro posizioni in un anno. A rigor di logica, dovrebbe essere tra i primissimi locali, no?

Vizzari, ci regala tre locali da gourmet – che non sono in classifica – dove prenotare un tavolo?
L’Ambroisie a Parigi. La Pergola di Heinz Beck e Vissani in Italia. Non sarò originale ma valgono una cena ben più di tantissimi ristoranti di The World’s 50 Best Restaurants.

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