Non sono molti i libri che diventano un caso editoriale ancor prima di essere esposti sui banconi delle librerie. Partigia. Una storia della Resistenza, scritto dallo storico Sergio Luzzatto (edito da Mondadori), è stato al centro di polemiche e critiche assai severe formulate in alcuni casi da censori che, per loro stessa ammissione, non avevano ancora letto il libro.
Partigia – nel dialetto piemontese – descrive quei combattenti della Resistenza particolarmente decisi, spregiudicati nell’uso delle armi, a cui Primo Levi dedicherà una poesia nel 1981.
Il grande narratore di “Se questo è un uomo” è il grande protagonista della storia narrata con critica passione da Sergio Luzzato, che con pazienza e mestiere di storico di vaglia, ricostruisce nei particolari l’esperienza partigiana di Primo Levi, prima della sua cattura sui monti della Valle d’Aosta e la successiva deportazione ad Auschwitz, via Fossoli.
Una breve e dolorosa storia partigiana a cui Levi dedicherà pochissime pagine dei suoi libri, quasi a voler dimenticare un’esperienza che lo segnò profondamente, anche in ragione della fucilazione di due partigiani da parte dei loro stessi compagni, poi trasformati nella “memoria dei vincitori” in altrettante vittime della repressione nazi-fascista.
Il lavoro di Sergio Luzzatto ha il pregio di raccontare l’avventura della piccola banda in cui, senza un vero e proprio progetto meditato, Levi finirà per aggregarsi nelle settimane convulse che seguiranno l’8 settembre 1943, senza usare la lente deformante di certa retorica post-resistenziale, che non pochi danni ha arrecato a una corretta e feconda trasmissione della memoria tra le generazioni.
Il lettore viene accompagnato passo passo nel micro-cosmo delle prime bande dei ribelli, per lo più composte da soldati sbandati dopo l’armistizio, da giovani renitenti alla leva e da (pochi) coraggiosi esponenti di un antifascismo che, nonostante il dramma della guerra, continuava a rappresentare una esigua minoranza della popolazione italiana.
L’episodio della fucilazione di due partigiani per mano dei loro compagni a au con ogni probabilità di piccoli furti a danni degli abitanti del luogo, secondo la ricostruzione storico-letteraria di Luzzatto, avrebbe ossessionato Primo Levi per tutta la sua esistenza, anche se non vi sono prove su di un suo coinvolgimento materiale e diretto nel triste episodio.
“Fra noi, in ognuna delle nostre menti, pesava un segreto brutto – scrive Levi nel suo Sistema periodico – lo stesso segreto che ci aveva esposto alla cattura, spegnendo in noi, pochi giorni prima, ogni volontà di resistere, anzi di vivere. Eravamo stati costretti dalla nostra coscienza a eseguire una condanna, e l’aveva eseguita, ma ne eravamo usciti distrutti, destituiti, desiderosi che tutto finisse e di finire noi stessi; ma desiderosi anche di vederci tra noi, di parlarci, di aiutarci a vicenda a esorcizzare quella memoria ancora così recente. Adesso eravamo finiti e lo sapevamo: eravamo in trappola, ognuno nella sua trappola, non c’era uscita se non all’ingiù”.
Prendendo spunto da quanto accadde nel tardo autunno del ’43 in Val d’Ayas, poco sopra l’abitato di Sant Vincent, Luzzatto inizia un viaggio di oltre 300 pagine per dare un volto a tutti i personaggi della storia, protagonisti di entrambi i fronti, quello dei primi ribelli partigiani contrapposto alle spie e agli infiltrati del sistema di repressione attivo in Valle d’Aosta sotto il regime della Repubblica Sociale Italiana.
L’accusa che è stata rivolta al lavoro di Luzzatto è quella – in estrema sintesi – di essersi prestato a una delle periodiche operazioni revisioniste, sulla scia dei grandi successi editoriali dei libri di Gianpaolo Pansa. Una accusa che francamente non ci sentiamo di condividere, non soltanto per la stima intellettuale nei confronti dell’autore e l’apprezzamento per i suoi saggi precedenti, ma perché la passione verso il protagonista del racconto, Primo Levi e per la storia con la S maiuscola della Guerra di Liberazione, sono state erroneamente scambiate per uno dei tanti, maldestri tentativi di demolizione del mito resistenziale, prodotti dalla vulgata revisionista.
Al contrario, Luzzato con la sua straordinaria capacità di rimettere a loro posto tutti i tasselli di episodi oramai sepolti dal lento trascorrere del tempo e dalla scomparsa dei diretti protagonisti e testimoni degli eventi, prova a restituire una memoria viva della Resistenza, combattuta da uomini veri, coraggiosi ma non necessariamente eroi, protagonisti di una ribellione generazionale contro un regime che avevano scoperto dopo il 25 luglio 1943 profondamente diverso da quello che gli era stato decantato e inculcato a scuola e nelle adunate dei balilla e delle giovani italiane; giovani incerti e frastornati più che “macchine da guerra” che agiva sulla base di una profonda e matura coscienza antifascista.
Raccontare la storia delle prime bande, dell’arrivo in formazione – talvolta spinto dagli eventi più che da una scelta meditata – di ragazzi nati, cresciuti e educati sotto il fascismo che si ribellavano al sistema e alla società dell’epoca più ancora che al regime fascista in quanto tale, non rappresenta un’operazione revisionista, ma, al contrario, un omaggio alla passione e al coraggio di quei giovani e giovanissimi ribelli, che – fuor di retorica – contribuirono al riscatto della Nazione.