Ci sono quasi 50 milioni (di euro) di buoni motivi se Gianfranco Fini si è dimesso da Futuro e Libertà aprendo una nuova stagione politica della destra italiana. Sono la cifra indicativa del valore del patrimonio immobiliare del Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante. Un patrimonio confluito in An, quindi suddiviso tramite una Fondazione dopo la fusione con Forza Italia, infine oggetto di più cause in tribunale dopo la nascita di Fli e di nuovo in mano agli avvocati dopo la creazione di Fratelli d’Italia.
Il cortocircuito politico e (soprattutto) giudiziario intorno a cui ballano i pochi rimasti della destra italiana sta tutto qui: risolvere una volta per tutte le beghe legali intorno all’eredità di Almirante. E non si tratta di «bruscolini» direbbe Donna Assunta, perché l’Msi vanta una sede in tutte le provincie italiane: circa 110 uffici o palazzi che potrebbero tornare utili per un nuovo soggetto politico con tanto di giornale e qualche milione di euro di rimborsi elettorali da spartire.
Di questo (e di molto altro ancora) avrebbero discusso in un riunione Ignazio La Russa, Francesco Storace e Roberto Menia, da ieri nuovo reggente di Fli, a marzo, dopo le elezioni politiche. Il ragionamento dei tre sarebbe stato in sostanza questo. Di voti ne abbiamo pochi ma la struttura di partito c’è, proviamo a discutere per trovare una soluzione condivisa. Al tavolo dei tre, alla fine, sarebbe però arrivato il nome di Fini, l’ex presidente della Camera, per una stagione politica “possibile” rottamatore di Silvio Berlusconi. E i tre hanno convenuto che per il bene di tutti, della destra, dell’eredità di Almirante come dei pochi elettori e militanti, l’ex leader di An si sarebbe dovuto dimettere e «andare in pensione».
Detto fatto. Fini si è dimesso lasciando Fli dopo «l’insuccesso elettorale», lasciando nella mani di Menia l’incarico «di assumere tutte le iniziative politico-organizzative che riterrà opportune». Sul fronte politico siamo ancora in alto mare. O meglio, l’idea di riunire tutti i piccoli partiti di destra, da Fli, La Destra, Fratelli d’Italia e Fiamma Tricolore, in un unico soggetto piace a molti ma non a tutti. Le resistenze sono nel gruppo che fa capo a Ignazio La Russa che, con una leader giovane come Giorgia Meloni e una manciata di deputati, vuole far sentire il proprio peso. Non solo. Oltre alla cacciata di Fini, dalle parti dei larussiani chiedono pure la defenestrazione finale di Italo Bocchino, da poco assunto al quotidiano Secolo d’Italia, altro asset della destra.
«Se ci prendiamo Bocchino, la Meloni non la vota più nessuno», taglia corto un uomo d’area vicino a La Russa. Il nodo da sciogliere, quindi, al momento sarebbe quello legato al patrimonio di via della Scrofa. Qui ballano sentenze del Tar, ricorsi al Consiglio di Stato, accuse di sottrazione di soldi che sarebbero finiti al Pdl, indagini della magistratura e altri mille rivoli giudiziari che scatenano ogni giorno battute di tutti i tipi tra i vari protagonisti delle fazioni in campo. Dal momento che scannarsi non sembra interessare più a nessuno, il tentativo di La Russa e Menia è quello di arrivare a un accordo. Non sarà facile. Anche perchè Fini, a quanto pare, non si metterebbe da parte così facilmente.
Dalle parti di via Della Scrofa si racconta di una ElisabettaTulliani che sarebbe molto arrabbiata per la situazione, sia dopo la sconfitta alle ultime elezioni sia per il modo in cui il consorte è stato messo in un angolo dalla politica italiana. Non si sa se sia un’illazione o meno, ma c’è chi maligna di una buonuscita, un vitalizio, sulla falsariga di quello che Umberto Bossi percepisce dalla Lega Nord.
Nel frattempo all’Hotel Cavalieri di Milano, sempre nella serata di ieri, le truppe della destra si sono ritrovate. In quel classico clima che alcuni simpatizzanti paragonano a una via di mezzo «tra il Bar di Guerre di Stellari e il Gattopardo», si è fatto il punto della situazione. Presenti quasi tutti i quadri della destra lombarda e non. Da Marco Osnato (consigliere comunale di Fratelli d’Italia) ad Attilio Carelli (dirigente nazionale della Fiamma Tricolore), da Roberto Jonghi Lavarini (presidente del comitato Destra per Milano, candidato indipendente ne La Destra, alle scorse elezioni politiche) fino ai conti Giuseppe ed Elena Manzoni di Chiosca e Poggiolo. La parola d’ordine della serata è stata una: «Senza Fini finalmente possiamo ritrovarci».