Se la riforma della Curia, dei suoi organismi e della sua struttura, prenderà il via a partire dai prossimi mesi, Papa Francesco ha già messo in atto un cambiamento di fondo nel governo della Chiesa e ha preso in contropiede un po’ tutti, uffici vaticani compresi.
Il fatto è che per disegnare il modello di Chiesa che immagina, il Papa sfrutta spesso la messa del mattino, quella celebrata nella residenza di Santa Marta dove si è installato dopo aver rifiutato di abitare nel famoso appartamento pontificio. È in queste occasioni che, con tono spesso discorsivo, da parroco che fa l’omelia davanti a un piccolo gruppo di fedeli, il Papa dice cose sorprendenti. E forse si tratta di una strategia precisa pensata per non “spaventare” troppo, non creare clamore eccesivo sui media.
Solo che la soluzione adottata dal Pontefice ha mandato in tilt anche la macchina comunicativa vaticana; così pure la diffusione di tali interventi mattutini non segue più i canali ufficiali, non passa insomma per la Segreteria di Stato e la Sala stampa della Santa Sede, ma arriva via Radio vaticana; è quest’ultima ad avere l’onere di riportare i discorsi pronunciati dal Papa in simili circostanze. E di certo nei sacri palazzi tale modalità ha creato sconcerto e qualche contrarietà; il cambiamento, l’informalità che traveste il messaggio dirompente, disorienta la Curia.
E così mercoledì mattina Bergoglio ha detto cose in realtà semplici, forse scontate da tempo, eppure che dovevano essere in qualche misura ribadite. La Chiesa non è solo una “bella istituzione”, la sua essenza è l’evangelizzazione rivolta a tutti, non escludente, per cui sono finiti già da qualche decennio – ha sottolineato Bergoglio – i tempi in cui non ci si poteva rivolgere a socialisti, atei, non sposati: il fatto è che non bisogna costruire muri ma ponti, lo insegnò già San Paolo.
Anche perché, ha rilevato il vescovo di Roma, annunciare il Vangelo non significa far proselitismo, insomma non va cercata un’adesione ideologica, integralista, al messaggio cristiano, ma la conversione, appunto, che parte dalla capacità di dialogo e ascolto con tutti.
Anche questa volta per altro, come sempre avviene, alla messa hanno assistito alcune categorie di dipendenti vaticani. Il Papa ha concelebrato con il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio dei testi legislativi (che fra l’altro sta studiando alcune ipotesi di riforma della Curia), e con monsignor Oscar Rizzato, ex elemosiniere pontificio, ha preso parte alla messa un gruppo di impiegati dei Servizi generali del Governatorato, della Cancelleria del Tribunale dello Stato Vaticano e della Floreria.
Paolo, ha detto il Papa, ha portato il Vangelo a tutti, e ha agito in questo modo perché «questo è il modo» di Gesù che «ha parlato con tutti», con i peccatori, i pubblicani, i dottori della legge. Paolo, dunque, «segue l’atteggiamento di Gesù». «Il cristiano che vuol portare il Vangelo – ha proseguito Bergoglio – deve andare per questa strada: sentire tutti. Ma adesso è un buon tempo nella vita della Chiesa: questi ultimi 50 anni, 60 anni – ha detto ancora il Papa – sono un bel tempo, perché io ricordo quando bambino si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: “No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa”. Era come un’esclusione». «No, non potevi andare! – ha spiegato papa Francesco – o perché sono socialisti o atei, non possiamo andare. Adesso – grazie a Dio – no, non si dice quello, no? Non si dice».
«C’era – ha continuato – come una difesa della fede, ma con i muri: il Signore ha fatto dei ponti. Primo: Paolo ha questo atteggiamento, perché è stato l’atteggiamento di Gesù. Secondo: Paolo è consapevole che lui deve evangelizzare, non fare proseliti». Perché la Chiesa «non cresce nel proselitismo», ma «per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione. I cristiani che hanno paura di fare ponti e preferiscono costruire muri sono cristiani non sicuri della propria fede, non sicuri di Gesù Cristo».
Colpisce un’affermazione fra le altre: «Questo è un buon tempo per la Chiesa» con riferimento agli ultimi decenni. En passant va ricordato che questi sono appunto i decenni del Concilio Vaticano II, quelli della Chiesa che cerca di interagire con la storia, che si mette in ascolto dei «segni dei tempi». Non solo: è anche il rifiuto di una visione totalmente negativa della post modernità intrisa di materialismo, di consumismo, superficialità, smania di possesso, e culture che vogliono fare a meno di Dio. Negli ultimi anni questo era stato il refrain ripetuto dalle parti del Vaticano, piuttosto lugubre, un po’ cupo, forse anche un po’ rassegnato agli eventi. Pare che Francesco voglia restituire la chiave della speranza alla Chiesa oltre a riformulare un’apertura di credito al mondo proprio per rispondere a quelle sfide che la cultura contemporanea porta alla fede.
E poi c’è stato quel riferimento al “come eravamo” della Chiesa di 60 o 70 anni fa. Quando, in effetti, Pio XII scomunicò i comunisti con un decreto nel 1949. Altri anni, di scontri politici e ideologici, di muri appunto. Poi arrivò Giovanni XXIII con la Pacem in Terris che invitò a non condannare «l’errante con l’errore», insomma a guardare sempre alla persona e distinguerla da una certa ideologia. Allo stesso tempo chiedeva di non confondere una «falsa dottrina filosofica» con il movimento storico che da essa scaturiva, «giacché le dottrine – spiegava Roncalli nella sua celebre enciclica – una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi».
Ma se la giornata di mercoledì per il Papa è iniziata presto con la messa a Santa Marta, va detto che subito dopo, prima dell’udienza in piazza San Pietro, Francesco ha incontrato circa 800 Superiore generali delle congregazioni femminili di tutto il mondo. Le religiose, a Roma per la loro assemblea plenaria, rappresentano una Chiesa femminile che ha vissuto ormai da molti anni, una stagione di conflittualità più o meno aperta con la curia romana. Da ultimo sono state le suore americane a venire accusate dalla Congregazione per la dottrina della fede per l’eccessivo impegno sociale e politico, le teorizzazioni femministe, certe aperture in materie quali il riconoscimento delle unioni di fatto. Tre anni fa, in occasione dell’ultima plenaria Dell’Uisg (Unione internazionale Superiore generali), Benedetto XVI non le incontrò e non mandò loro alcun messaggio personale suscitando “la delusione” delle religiose e poi una protesta formale che fu indirizzata al Segretario di Stato Tarcisio Bertone come ha spiegato la presidente dell’Uisg, suor Mary Lou Writz. Bergoglio ha cambiato approccio e, pur chiedendo alle suore “ribelli” il rispetto della dottrina, ha avviato una fase di dialogo.