«In questa settimana mi sono rifugiata nel lavoro». Giulia Sarti, deputata riminese di 26 anni, è tra i primi parlamentari a cinque stelle vittime dell’attacco hacker. I pirati informatici «vicini al Pd» hanno violato la sua casella mail per diffonderne i contenuti online. Dopo qualche giorno di basso profilo e silenzio assordante della politica, il M5s ha deciso di alzare il tiro convocando una conferenza stampa contro quello che la capogruppo Lombardi definisce «un attacco senza precedenti».
Raggiunta da Linkiesta, Sarti esterna il suo disagio. «In quanto cittadini chiamati a un ruolo delicato come quello del parlamentare, non ci sentiamo tutelati» e rilancia: «Spero che la vicenda interroghi sull’inefficienza della nostra giustizia». A breve Giulia siederà nell’omonima commissione ed è pronta a dare battaglia. «Il Paese ha bisogno di giustizia, oltre ai soliti discorsi su intercettazioni e separazione delle carriere». Nel frattempo non si placa la vicenda M5Sleaks, che trascina con sé mille polemiche tra stampa e web.
Prima di tutto, come sta?
Bene. Mi ha fatto piacere ricevere la solidarietà di tante persone. Al tempo stesso mi sono sentita impotente perché Polizia postale e magistratura hanno le mani legate, senza contare che le forze politiche non si sono fatte vive. È arrivata la solidarietà di Napolitano, Boldrini e del presidente dell’Ordine dei Giornalisti, dai partiti zero. Il Pd ha tenuto a far sapere che gli hacker non erano suoi, mentre in Transatlantico ho incontrato Franceschini e lui ha chiesto di esprimere solidarietà a Giulia Sarti, cosa che nel comunicato diffuso dal Pd non era stata fatta.
Qualcuno dei vecchi partiti ha goduto della situazione?
Penso di sì. Godono perché possono rinfacciarci il fatto che siamo “i paladini della Rete”. Se fosse stata violata la posta di Brunetta o della Bindi, che avrebbero detto?
In conferenza stampa avete parlato della «totale indifferenza da parte delle istituzioni». Vi sentite abbandonati?
Chiediamo un report di quello che stanno facendo, nei limiti del segreto istruttorio. D’altronde Google ha già indicizzato i nostri indirizzi mail e le conversazioni private, non c’è nemmeno più bisogno di scaricare i file. Possibile che dopo dieci giorni non ci si possa muovere per togliere tutto questo? Rispettiamo il lavoro degli inquirenti, però non riceviamo garanzie.
Niente di niente?
Il Garante della privacy mi ha chiamato dopo una settimana dicendomi che si sono attivati con un comunicato stampa. E mi rimprovera perchè avrei dovuto telefonare io.
L’Espresso ha fatto lo scoop, non pubblicando i contenuti delle mail. Che ne pensa del metodo?
Se fosse stato osservato il codice deontologico, una volta venuto a conoscenza della vicenda, L’Espresso avrebbe dovuto cestinarla e bruciarla, perché quella cosa lì non è una notizia.
Per molti giornali lo è, e pure grossa.
È un terreno scivoloso e ci sono giudizi divergenti, certo. Quella roba era già in Rete, così si è fatta un’attività parallela e promozionale, quasi da complici. Poi la contestuale intervista al presunto hacker del Pd è assurda. Sarebbe giornalismo d’inchiesta? Se hai il dubbio che quella persona sia implicata, invece di fargli le domande via chat, lo segnali alla Polizia postale.
Non dare la notizia sarebbe stata censura. Non crede?
Secondo me no. L’Espresso, che è una testata importante, avrebbe dovuto prima allertare noi diretti interessati e la Polizia postale, dopodiché valutare se considerarla o meno una notizia. Invece siamo venuti a conoscenza del fatto dopo l’intervista all’hacker. E ancora, l’altra sera, L’Espresso ha continuato rivelando la circostanza di nuove caselle mail hackerate. Queste sono porcate giornalistiche mascherate dietro al diritto di cronaca.
Qualcuno evidenzia il fatto che L’Espresso abbia omesso la pubblicazione dei contenuti delle mail, diversamente da quanto accaduto con Berlusconi.
Questo significa non saper distinguere i piani di discussione. Non siamo tutti uguali e ognuno dev’essere trattato col metodo più opportuno, nel rispetto dell’articolo 3 della Costituzione, guardando le distinzioni del caso. La vita privata di una persona deve rimanere tale, però se ci sono reati vanno raccontati, soprattutto se si parla del presidente del Consiglio. Ma vogliamo mettere sullo stesso piano questi fatti con le conversazioni tra una ragazza e le sue amiche?
Non crede che negli anni si sia consolidata una perversione mediatica sulla privacy dei personaggi pubblici?
Certo, è una violenza ed è la diretta conseguenza di un metodo perpetrato per vent’anni. In tale direzione vanno le nostre battaglie contro i finanziamenti pubblici all’editoria, sul fatto di contestare la gestione della Rai e un certo modo di fare tv. Chi sbaglia deve pagare, sia esso Il Fatto Quotidiano o L’Espresso. Oggi siamo all’anarchia e non è giusto.
Giovanni Favia parla di «coincidenza tra lo scarso calore di Grillo e il fatto che la Sarti dentro l’M5s non è una marionetta ed ha una mente libera».
Non è vero, Beppe mi ha telefonato più volte. Poi a me non interessa il trafiletto sul blog in segno di solidarietà, non ne ho bisogno.
Che ne pensa delle dichiarazioni di Laura Boldrini a la Repubblica?
Sono contenta che si sia attivata anche lei, però non vorrei che questo fosse un modo per mettere il bavaglio a uno dei migliori strumenti che abbiamo. L’attacco alle mail non fermerà il mio lavoro e non smetterò di servirmi della Rete, che è un mezzo rivoluzionario. La grande solidarietà arrivatami, nel silenzio di media e politici, è passata da lì. Davanti a una violenza di questo tipo, il web è il primo a muoversi.
Sarti, è pronta a ripartire.
Se penso ai magistrati come Di Matteo che rischiano la vita, agli imprenditori che si suicidano o al carabiniere Giangrande e a sua figlia, allora ristabilisco l’ordine delle priorità e, da parlamentare, provo a impostare il lavoro e il cambiamento per i prossimi mesi.