BERLINO – Il partito socialdemocratico tedesco (Spd), la principale forza d’opposizione in Germania, celebra un anno ricco di ricorrenze. Il 23 maggio a Lipsia si ricordano i 150 anni dalla sua fondazione. Nel 2013 saranno poi passati 100 anni della morte del leader dei lavoratori durante la rivoluzione industriale, August Bebel, così come 100 anni dalla nascita del leggendario cancelliere Willy Brandt. È l’anno delle elezioni e ci sono molti motivi per i socialdemocratici di cui essere orgogliosi. Il problema è che riguardano tutti il passato. Il partito più antico di Germania, si trova a vivere all’ombra di Angela Merkel, senza trovare il proprio posto politico, che secondo gli esperti va cercato più a sinistra.
Il 23 Maggio 1863 si fondò l’embrione dell’Spd al Pantheon, un bar locale con sala da ballo e biergarten annesso. A partecipare dodici rappresentanti, provenienti da Brema, Wuppertal, Francoforte, Amburgo, Mainz, Colonia e Düsseldorf insieme 65 lavoratori di Lipsia che diedero vita alla Associazione Generale dei Lavoratori Tedeschi. Tra i padri fondatori ci furono il mastro calzolaio Julius Vahlteich e l’operaio Friedrich Wilhelm Fritsche. Il primo presidente non fu però un operaio quanto un giornalista, Ferdinand Lassalle, un oratore di talento che capiva e sapeva convogliare le masse. «Lavoratori siamo tutti noi, nella misura in cui abbiamo la stessa voglia di essere utili in modi diversi alla società», diceva Lassalle. La questione dei lavoratori era, secondo lui, questione di tutti gli uomini, la loro libertà, quella di tutti, il loro potere, quello di tutti.
Dal movimento dei lavoratori nacque l’Spd, che nel 1903 diventò la principale forza del Reichstag, il parlamento tedesco. A metà degli anni Sessanta del secolo scorso superò il milione di iscritti e realizzò il sogno di Lassalle: intellettuali come Heinrich Böll, Martin Walser, Günther Grass e Sigfried Lenz trovarono qui la loro casa. Li animava la convinzione in una società più giusta dove tutti gli uomini potessero avere uguali possibilità grazie all’educazione. Uno spirito che il leader di allora Willy-Brandt riassumeva in una frase: «Osare più democrazia!».
Sono questi i momenti che i leader socialdemocratici, dal candidato Peer Steinbrück, al presidente Sigmar Gabriel, al leader nel parlamento Frank Walter Steinmeier, ricorderanno a partire da mercoledì a Lipsia di fronte a una platea d’eccezione in cui non mancherà l’ex cancelliere Helmut Schmidt e sarà coronata dalla presenza del presidente socialista francese François Hollande. Parteciperà anche la cancelliera Angela Merkel, e il presidente della Repubblica Joachim Gauck, che si siederanno accanto a un’ospite d’onore: Luise Nordhold, una cittadina di Brema, nata nel 1917 da genitori operai, è la rappresentante più anziana dell’Spd.
Non c’è dubbio che anche in Europa il passato sia glorioso. «Sicuramente l’Spd ha contribuito moltissimo all’emancipazione della classe lavoratrice in Germania. Però ha sempre avuto un’inclinazione internazionale come parte dell’internazionale socialista, e per molti partiti socialdemocratici in Europa fino agli anni Novanta, primi Duemila ha anche svolto un ruolo di guida», spiega a Linkiesta il professore emerito della Freie Universität, Jürgen Kocka. Non solo: «Sotto la guida di Willy Brandt la politica tedesca decise di aprirsi verso l’est, con la Ostpolitik portando avanti una politica di compensazione con i paesi dell’Europa centrorientale e la Unione Sovietica», ha ricordato Kocka, «in questo senso l’Spd ha offerto un contributo fondamentale nella storia europea perché è riuscito a smorzare le tensioni della guerra fredda».
Ma, secondo quanto denunciano i critici, oggi l’Spd, tanto a livello nazionale come internazionale è surclassato dall’ingombrante presenza del cancelliere Angela Merkel. Le gaffe del candidato cancelliere socialdemocratico Peer Steinbrück hanno fatto cadere il partito al 29% nei sondaggi. Il riformismo e la moderazione dell’Spd non riescono a trovare il loro spazio politico in un panorama dominato da un partito conservatore, la Cdu, che assomiglia al comitato elettorale della sua leader. «Nessuna domanda spaventa di più i socialdemocratici della seguente», scrive questa settimana Jakob Augstein, per Der Spiegel, «se la cancelliera non ammette nemmeno un capello conservatore alla Cdu, perché c’è bisogno dell’Spd?». La filastrocca rimbalza con altre parole su tutte le principali pubblicazioni progressiste: «Il partito dei lavoratori ha perso la sua base», titola da parte sua la Frankfurter Rundschau.
C’è l’imbarazzo della scelta sui temi sottratti dal governo conservatore alla sinistra: dall’abbandono dell’energia nucleare, al salario minimo passando per il diritto all’asilo nido per tutti i bambini dal primo anno d’età. Si aggiunge poi il fatto che mentre la Merkel ha sviluppato il suo (pur molto criticato) profilo europeo, l’Spd non c’è riuscita, anzi, ha votato a favore di tutte le risoluzioni europee promosse nel corso della crisi dalla Germania, dal salvataggio della Grecia al Fiscal Compact, senza proporre o definire mai una strategia alternativa. Secondo gli esperti osservatori questo è, per certi versi, un segnale positivo: «Dimostra che la Germania è unita sul fronte europeo e che c’è un appoggio condiviso», alle attuali politiche, secondo Kocka.
Alcuni fanno coincidere il declino dell’Spd con l’introduzione dell’Agenda 2010 da parte di Gherard Schröder. Si tratta di un pacchetto che ha incluso una riforma radicale volta a flessibilizzare il mercato del lavoro e che tra le altre cose ha introdotto i tristemente famosi mini-job (contratti di lavoro part-time a 450 euro al mese). Era una riforma necessaria, tutti erano d’accordo, e tutt’ora si considera un ingrediente fondamentale dell’attuale «miracolo occupazionale» in Germania. Eppure è oggetto di una divisione interna al partito, ed è accusata di aver tradito lo spirito socialdemocratico.
Sintetizzando al massimo le critiche illuminate contro il grande partito europeo, si assiste in Germania a una richiesta di politiche più di sinistra, più sociali e meno elitarie. Così come all’esigenza di uno scontro politico più chiaro e una demarcazione più netta al centro. Non è un caso che tutti le principali pubblicazioni tedesche citino in questi giorni il leader dei lavoratori August Bebel. «Cari signori e signore, sono un deciso oppositore a questo sistema, lo combatto con tutti i mezzi che mi sono stati dati, e non c’è cura possibile per la popolazione fino a che questo sistema non venga capovolto e distrutto», diceva Bebel, nel 1869. Se il sistema è però oggi quello capitalista, non si può certo dire che i socialdemocratici vogliano capovolgerlo e distruggerlo.