Comiso è l’ultimo arrivato nella lista degli aeroporti inutili italiani. Nato a scopo militare nell’epoca fascista, diventò famoso ai tempi di Reagan, quando vi furono schierati i missili Cruise americani, per poi cadere nell’oblio, finché a qualcuno venne in mente di riciclarlo come aeroporto civile e affiancare a Catania un doppione inutile, come già succedeva a Palermo con Trapani.
Dopo anni di tentennamenti e blocchi dei lavori ora si parte, ma si parte per dove? Nessuna linea aerea andrebbe mai a Comiso spontaneamente, perché i passeggeri desiderosi di pagarsi il biglietto si trovano, in abbondanza, a Catania. Per una compagnia non avrebbe mai senso economico atterrare invece a Comiso per ripartire con un aereo semi-vuoto, salvo che i biglietti non vengano svenduti.
Il pronto rimedio sono i soldi dei cittadini, circola voce che a carico pubblico vi sarà l’acquisto di “eventuali”, ma più che probabili, biglietti invenduti per almeno un terzo della capacità degli aerei Ryanair che voleranno verso Roma, Londra e Bruxelles. Naturalmente i futuri passeggeri di quei voli non rinuncerebbero a volare se avessero a disposizione solo l’aeroporto di Fontanarossa, che è a 90 chilometri, offre grande scelta di destinazioni e orari ed è ben lontano dalla saturazione.
L’esterno dell’aeroporto di Comiso: i voli commerciali inizieranno il 7 agosto con Ryanair
L’Enac, l’Ente nazionale aviazione civile, è sempre stato contrario al nuovo aeroporto, ma in Sicilia l’autonomia è sovrana ed è pure disposta a sborsare milioni di euro per pagare i controllori di volo, quando lo stesso lavoro verrebbe fatto senza ulteriori spese a Catania. Grazie a dio si è almeno abbandonato il progetto di sbancare intere colline per fare un aeroporto pure ad Agrigento, mancavano davvero i soldi.
Tutto a Comiso è una duplicazione inutile, a cominciare dai posti di lavoro. Tanti resteranno pressoché oziosi nelle ore di lavoro, a causa del ridicolo numero di voli, ma appunto la politica potrà vantare “nuovi posti di lavoro”, senza mai ricordare lo spreco osceno di denaro nel pagare persone per fare poco o niente. La Sicilia è sui titoli dei giornali per vicende di corruzione agghiaccianti, ma senza dubbio l’opinione pubblica locale è convinta che quelli per l’aeroporto siano soldi spesi bene. Purtroppo si sbaglia, non un solo turista in più arriverà, se non sottraendolo a Catania, la gestione sarà in deficit e i soldi per ripianarlo saranno sottratti ad usi più intelligenti, ad esempio il miglioramento delle strutture turistiche.
Gli altri scali in miniatura
Comiso è solo l’ultimo di una serie di aeroporti superflui che continuano a operare.Cuneo ha solo voli che vengono “deportati” dalla politica dall’ aeroporto di Torino; a Perugia c’è un aeroporto nuovo e inutile, che nulla può offrire in paragone a Fiumicino; in Puglia il dualismo fra Bari e Brindisi risveglia gli appetiti di Foggia e Taranto. In Calabria ci sarebbe Crotone da chiudere, ma invece ogni tanto si parla di un nuovo aeroporto a Sibari.
Albenga era caro a Scajola e aveva voli quando era ministro, voli che venivano immediatamente chiusi se perdeva l’incarico, in Romagna si piange l’ingiusta perdita di Forlì, mentre i passeggeri sono ben felici di usare Bologna. In Sardegna si aprono e chiudono aeroporti assurdi, in Abruzzo pare che al già piccolo Pescara si affiancherà un aeroporto all’Aquila, con corredo di vigili del fuoco, poliziotti, addetti al controllo dei passeggeri, rampisti, inservienti, appalti per le pulizie. Per far girare questa macchina infernale, che tra l’altro toglie passeggeri, ricavi e profitti agli aeroporti sani, si paga a caro prezzo qualcuno perché faccia voli per i quali solo una manciata di passeggeri pagherebbe il biglietto pieno. Persino Verona è andata sull’orlo della crisi finanziaria per la grande generosità nei confronti di Ryanair, dopo aver fatto lo stesso errore nel controllato aeroporto di Brescia.
Il nuovo aeroporto di Perugia: la ristrutturazione terminata nel novembre 2012, su progetto di Gae Aulenti, è costata 42 milioni di euro
La costruzione di infrastrutture inutili genera comunque occasioni di corruzione su cui è meglio sorvolare, un aeroporto che nasce in perdita dipenderà dall’elemosina pubblica, a cui dovrà sempre concedere la scelta di dipendenti e dirigenti.
Gli accordi con le linee aeree, che vengono pagate anziché pagare per usufruire dei servizi aeroportuali, come accade negli aeroporti degni di esistere, sono segreti, ancorché onorati con denaro dei contribuenti. Pubblico è solo il dissesto, che arriva inesorabile dopo qualche anno, quando finiti i soldi Ryanair se ne va, alla ricerca del nuovo aeroporto gonzo.
Il Piano Nazionale degli aeroporti proposto dall’ex ministro dei Trasporti Corrado Passera prevedeva che lo Stato si sarebbe fatto carico solo delle strutture “strategiche”, individuate all’italiana in un numero già esagerato di aeroporti. Il resto sarebbe stato a carico degli Enti locali, ma un aeroporto dovrebbe normalmente produrre profitti, non perdite. Subito è comunque partita la corsa della politica locale a far diventare “strategico“ anche l’aeroporto più misero, mentre di strategico ci sarebbero i collegamenti col resto del mondo che sono indegni di una Nazione del G8.
Si sperava che, lasciando a carico degli enti locali gli aeroporti minori, cioè facendo sì che diventassero un lusso a carico della politica locale, si potesse arginare il cancro, ma è andata così solo in Romagna, non in Sicilia dove anzi pare si viva ancora nella terra di Bengodi e dove una amministrazione regionale dimostra di valere l’altra.
Quanto al Piano Nazionale, non potrà entrare in vigore che dopo mille passaggi burocratici, a partire dalla Conferenza Stato-Regioni. Si continua cioè imperterriti a sprecare denaro per tenere aperti due o tre aeroporti, dove uno solo basterebbe, finché ci saranno contribuenti da spremere o acquirenti dei nostri Btp.
Le mosse da fare
Comiso dimostra che le prescrizioni previste dal Piano Nazionale Aeroporti sono troppo timide. Bisogna invece:
1) privatizzare completamente gli aeroporti
2) rendere pubblici i contributi diretti e indiretti versati a favore del funzionamento degli aeroporti e all’effettuazione di voli
3) assegnare eventuali contributi solo in base ad una gara trasparente
Molti sono i modi in cui vengono finanziati, più o meno nascostamente, voli che non si sosterrebbero da soli, dall’acquisto di biglietti “vuoto per pieno”, ai contributi di “comarketing” in cui la pubblicità delle rotte resta a carico dell’ente pubblico, al semplice ripianare le perdite che derivano da contratti suicidi fra aeroporti e linee aeree.
Ogni euro deve essere speso alla luce del sole e dev’essere sostenibile. Oggi invece la Provincia di Trapani non sa come ripianare le perdite della società di gestione del suo aeroporto e pensa di introdurre una tassa per non essere costretta ad arrendersi, facendo volar via Ryanair. Non è accettabile che, in ultima analisi, si prendano soldi dalle tasche dei cittadini per darli a Ryanair, senza che questa sia stata scelta in base ad una gara aperta a tutti e senza che si sappia di quanti soldi si tratta e in base a quali accordi.
Nemmeno si può permettere che quello di Trapani faccia concorrenza, con i soldi pubblici, al vicino aeroporto di Palermo, cosa che si ripete fra Comiso e Catania, fra Cuneo e Torino eccetera. Nel migliore dei casi si tratta di concorrenza sleale, nel peggiore l’aeroporto offeso reclamerà e otterrà anch’esso soldi dal territorio, in una spirale perversa che arricchisce le linee aeree beneficiarie, in genere estere e impoverisce gli enti locali e gli aeroporti, in genere di proprietà italiana.
Alitalia si lamenta delle low cost, pur avendo essa stessa effettuato voli a carico di aeroporti, province e regioni. Le low cost sono più efficienti, forniscono ai passeggeri i voli a basso prezzo che soprattutto ora questi desiderano, guadagnano, si espandono e sono qui per restare, mentre la sopravvivenza di Alitalia e di altre linee aeree tradizionali è tutt’altro che certa. Sarebbe illusorio, donchisciottesco, opporsi alle low cost. Il mondo dell’aviazione non tornerà indietro ma va rigidamente disciplinato il sistema, che non può reggersi sulla maggiore abilità nel farsi erogare soldi dei contribuenti.
Non possiamo spendere soldi per mettere i nostri aeroporti uno contro l’altro, né possiamo darne a Ryanair e simili per poi sentirci chiedere protezioni e altri soldi da parte della danneggiata Alitalia. Lo Stato faccia il suo mestiere, fermi gli amministratori locali con le mani bucate e adotti le semplici regole di buon senso sopra enunciate.
La proprietà pubblica o semi-pubblica permette la proliferazione di aeroporti troppo vicini, ma tali resterebbero anche se privatizzati. Bisogna avere il coraggio politico di chiuderli o almeno di assegnare loro un ruolo coordinato con i maggiori, in parole povere riconoscere che esistono sistemi aeroportuali, non singoli aeroporti, e che il modello accademico della concorrenza perfetta non è applicabile in un settore dove l’entrata e l’uscita sono difficilissime.
Comiso fortunatamente è partecipato da Catania, ma Trapani fa a Palermo una concorrenza a tutto campo con cui si dissangua. Forlì ha prosciugato le casse locali per lottare vanamente contro Bologna. Troppo spesso in Italia gli aeroporti minori cercano spazio a scapito dei maggiori, creando voragini nei bilanci e stimolando la costruzione e l’espansione di infrastrutture duplicate. Non sono stati capaci di autodisciplinarsi, intervenga lo Stato, ma subito e senza compromessi.
Twitter: @marcogiovMG