Brunetta, l’energumeno tascabile che scuote il governo

Il consigliere economico del Cav

«Chi può credere che con Brunetta si possa fare un governo e riusciamo a imbroccare qualcosa?». Più profetica che retorica, la domanda di Pier Luigi Bersani, datata aprile 2013, ha aperto l’autostrada delle larghe intese di cui l’economista veneto è azionista per conto Pdl. Il capogruppo degli azzurri alla Camera presidia ogni spazio, luogotenente più di lotta che di governo, incalza Palazzo Chigi alternando la sciabola alle cannonate. Non passa giorno che le agenzie non rilancino i suoi avvertimenti: «Se vince Renzi cade il governo», «L’esecutivo rischia di cadere perché dà risposte insufficienti», «I provvedimenti sul lavoro? Pannicelli caldi, se uno ha la forza di leggerli non ne trae nessuna ispirazione positiva». Poi la ciliegina offerta al Financial Times: «Saccomanni? I conti pubblici italiani sono segreti come la ricetta della Coca Cola».

Tira le orecchie a tutti, in Aula e negli studi tv. Memorabile l’intervista con Daria Bignardi che sbottò: «Sa che lei è antipatico?». Il tubo catodico non gli è indifferente, in pochi giorni ha presentato due esposti all’Agcom per denunciare «la violazione della par condicio nella trasmissione In mezz’ora e la violazione del pluralismo dell’informazione in Che Tempo Che Fa». Parallelamente sul Foglio esce una sua inchiesta dedicata al salotto di Fazio completa di slide. D’altronde la tv di Stato è un vecchio pallino su cui Brunetta si conferma più grillino dei grillini: da mesi lotta perché i compensi di dipendenti e conduttori siano pubblicati online e nei titoli di coda. Ora recapita pure un esposto alla Corte Dei Conti «per segnalare l’eventuale responsabilità della Rai, connessa con la violazione dei principi di trasparenza, tracciabilità dei costi e dei limiti massimi degli stipendi». Ma non finisce qui: «Sulla Rai farò un’interrogazione a settimana».

L’occupazione principale resta l’economia E ora gioca la sua carta: «Concentriamo nel secondo semestre 2013 i 40 miliardi di pagamenti della Pa alle imprese». Ordinario a Tor Vergata, già ministro per la Pubblica Amministrazione e fustigatore di fannulloni, Brunetta è stato consigliere economico dei governi Craxi, Amato e Ciampi. Oggi la sua voce è una delle più ascoltate da Berlusconi nonostante il ritorno di Tremonti, che pare stia intensificando i contatti con Palazzo Grazioli. Si guardano da lontano, il glaciale Giulio e Renato il sanguigno, che non a caso rivendica il suo percorso di self-made man: «Andavo a lavorare con mio padre che aveva una bancarella, lì ho imparato il sacrificio». Nella sua Venezia ha provato a tornarci da primo cittadino, sconfitto nel 2000 da Paolo Costa e nel 2010 per mano di Giorgio Orsoni. Niente da fare, il destino lo reclama a Roma nei pochi metri che separano via dell’Umiltà da Montecitorio, dove peraltro vanta una lusinghiera media presenze.

Brunetta è falco su tutto: l’economia certo, ma se bisogna parlare delle vicende che lambiscono Berlusconi il prof dismette la giacca e indossa l’elmetto: «La sentenza Ruby dimostra la morte della giustizia in Italia». E via con una sequela che fa saltare sulla sedia lo stesso Cavaliere: «Renato stai calmo, misura le dichiarazioni». Questa una delle ultime raccomandazioni che Brunetta ammette di aver ricevuto da B in persona. Lui, top player di osservanza berlusconiana, benedice il restyling di Forza Italia: «È il ritorno emozionale alle origini dopo vent’anni di straordinari successi». E rilancia il mito del leader: «Silvio è come quell’aperitivo, fa impazzire il mondo». Ma sulla successione padre-figlia ha il coraggio, caso raro nel Pdl, di palesare le proprie perplessità: «Non mi piacciono le dinastie, nè quelle monarchiche nè quella democratiche, se Marina vuole fare politica faccia pure. Ma non penso sia plausibile un’investitura a carattere ereditario».

Ambasciatore del politicamente scorretto, lo accompagna un’antologia di dichiarazioni al vetriolo. «Occhetto, chi l’ha visto?», «D’Alema va in barca, anzi ora fa il vino», «Veltroni fa l’intellettuale e non è andato in Africa», «Fassino è un sindaco triste». All’album si aggiunga Cacciari: «un intellettuale spocchioso e ricco di famiglia, tira a campare spalmando sugli altri il proprio rancore». Ma la new entry è Matteo Renzi al quale Brunetta ha riservato un trattamento speciale con un dossier che ne monitora l’attività. Il sindaco di Firenze «è come lo spread, se non lo conosci bene lo temi; se impari a conoscerlo, capisci che non fa paura a nessuno». In poche parole è l’avversario più temibile per il centrodestra e va depotenziato.

Di fronte alle scorribande verbali gli avversari non restano in silenzio: D’Alema lo ha ribattezzato «energumeno tascabile», Monti ha irriso i suoi centimetri in diretta tv definendolo «professore di una certa statura accademica». Poi c’è la stampa, con Travaglio che lo sfida a duello nei programmi di Santoro mentre Michele Serra lo descrive a distanza: «Brunetta è il classico fanatico, uno che quando parla gli saltano i freni inibitori e gli esce il fumo dalle orecchie». Il prof non brilla per simpatia, lo confermano a bassa voce segretarie e dipendenti del gruppo Pdl alla Camera. E lo ha ripetuto, in tempi non sospetti, l’ex alleato Umberto Bossi: «Nano di Venezia non rompere i coglioni».

I bene informati giurano che ultimamente vada a braccetto con Stefano Fassina, non certo un omonimo del viceministro Pd. Gli opposti si attraggono? Chissà, nel frattempo Panorama li fotografa sorridenti: «Sull’Europa la pensano allo stesso modo, sulla Grecia pure, su Monti hanno la stessa opinione. Hanno stretto un patto per convincere Letta a non aumentare l’Iva e maledicono gli antiberlusconiani». A proposito di Monti: nei mesi dell’esecutivo tecnico il bocconiano è stato il bersaglio preferito di Brunetta a suon di spread, tasse e riforme. Il destino se n’è ricordato ora che le larghe intese impongono all’economista di sostenere il governo Letta. E sparare si può ma non troppo, perchè dal Pdl lo richiamano all’ordine.

A via dell’Umiltà Brunetta è il falco per antonomasia. Talmente oltranzista che nelle ultime settimane pesta i piedi all’altra pasdaran berlusconiana, Daniela Santanchè. «Non le ho tirato una sedia in faccia solo perché è una signora», avrebbe sussurrato l’economista al termine di un animato confronto con la collega. I due, tra i più solerti nell’aprire il fuoco amico al governo, pare stiano duellando per la plancia di comando nella resurrezione di Forza Italia. Uno accusa l’altra (e viceversa) di voler amministrare la nuova compagine. Chissà che smacco se alla fine vincessero le colombe.

Twitter: @MarcoFattorini