Italia terra di poeti, santi, navigatori. E ristoratori. Peccato siano sempre di più quelli che lasciano il Belpaese per aprire all’estero. Qualcuno la vede in modo positivo: sono ambasciatori della nostra cucina, fanno venire voglia agli stranieri di venire da noi e via così. In realtà, il discorso ha senso se un big come Bruno Barbieri – uno dei giudici di Masterchef – crea un grande locale a Londra, non se tanti bravi patron abbandonano la patria per fare lo stesso lavoro in altri lidi, più accoglienti. Uno di questi è Francesco Curti, milanese, figlio d’arte che ha iniziato a fine anni Novanta a seguire le orme del padre. Suoi due locali che hanno animato la movida sotto la Madonnina: Masquenada e Porca Vacca, piccolo grande cult per gli appassionati di carne. Ora lavora a Formentera dove ha due ristoranti di successo: Porca Vacca (naturalmente) e Don Jamon. Entrambi a Es Pujols.
Signor Curti, lei fa parte della seconda generazione di italiani che hanno aperto locali sull’isola. In cosa è diverso dai colleghi della prima.
Diciamo che la prima ha avuto la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto quando lo sviluppo dell’isola richiedeva nuovi posti. Molti non erano del settore, si sono inventati il lavoro e ora molti non hanno saputo rinnovarsi o hanno chiuso. La mia è fatta da professionisti che si sono fatti le ossa in Italia e hanno capito la validità di Formentera. Nel mio caso, ho iniziato a lavorarci nel dicembre 2009 e pochi mesi dopo avevo già aperto Porca Vacca. Ho raddoppiato l’anno scorso.
Tempi più rapidi che in Italia?
Sicuramente hanno una burocrazia più snella e veloce. Poi sono permissivi non nel senso che se ne infischiano delle regole – anche perché sulla sicurezza ormai vigono ovunque quelle europee – ma in una visione intelligente. Non ti fanno perdere tempo per pochi centimetri in meno di altezza o per una lieve differenza nella cubatura. Da noi sono micidiali, spesso senza senso, e si perdono mesi senza costrutto. Chi fa il mio lavoro, sa che non sto dicendo cose a vanvera.
Ma è vero che nelle Baleari, gli imprenditori italiani non sono amati?
Una palla. Sanno benissimo che un nuovo locale – anche se di stranieri – crea posti di lavoro e benessere per tutti. La verità è diversa: se tu non rispetti le regole, comprese quelle non scritte che in un’isoletta qualsiasi hanno un peso, duri una stagione. A quel punto rischi di non poter lavorare l’anno successivo in tutte le isole, non solo a Formentera. Personalmente, mi sono trovato da dio e non ho mai avuto il minimo problema. Anzi, mi hanno dato subito una mano.
La tassazione come funziona?
Con il “modulo” come lo chiamano in Spagna, che è basato sul sistema degli studi di settore.
Non si supera il 35 per cento. In Italia a quanto siamo?
Facciamo due conti sul fatturato. I miei due locali – 40 coperti al Porca Vacca e altrettanti al Don Jamon che però è un bar a tapas – fatturano 500mila euro da giugno a settembre compresi. Circa il 40 per cento se ne va per le spese varie e la materia prima, il 30 è destinato al personale e il restante si guadagna. In Spagna, il costo del lavoro è decisamente inferiore e quindi sei invogliato ad assumere e non è vero che tutto si deve alla flessibilità: qui se maturi un solo anno di contributi, hai diritto al sussidio di disoccupazione.
Dicono però che la Spagna sia alla canna del gas…
La crisi esiste ma non sono depressi quanto noi. Ma soprattutto riescono ancora a divertirsi o a dimenticare i problemi perché i locali hanno prezzi abbordabili. Sono stato recentemente a Milano e a Barcellona: nella mia città d’origine sembra impossibile trovare un buon locale senza svenarsi, sulle ramblas stai bene con venti euro. Sarebbe il caso di ragionarci, credo. Comunque sia, quando si parla di ristorazione e divertimento, loro sono ancora davanti e secondo me ci resteranno a lungo.
Lei cosa farebbe per rilanciare la nostra movida?
Dirò cose scontate, ma si deve partire da un abbassamento della tassazione, fissando aliquote fisse e non in base al fatturato. Poi il costo del lavoro è assurdo, tanto più che il sistema sociale non ridà ai dipendenti quello che gli viene prelevato in busta paga. Per far quadrare i conti, un gestore non può che “inventare” soluzioni alternative e il “nero” diventa un obbligo. Ma è sbagliato. Si eviterebbe il problema rivedendo il meccanismo: nessuno rischierebbe multe se convenisse avere tutti a posto, senza mangiarsi il possibile guadagno. Posso aggiungere una cosa sulla mia città?
Prego.
Fermo restando che è la sola ad essere ancora viva per i locali – me lo dicono tutti i clienti italiani qui a Formentera – mi chiedo come si fa a creare un meccanismo assurdo come quello delle aree a pagamento. Uno spende per entrare in una zona e successivamente per parcheggiare? Sono euro che tolgono la voglia di muoversi, di uscire, di bere qualcosa in più. Mah
I suoi colleghi sono esenti da colpe?
Ho accennato prima. Ci sono in giro prezzi – parlo soprattutto di Milano ma non solo – che sono impossibili per gli italiani e troppo alti anche per gli stranieri che pure se li possono permettere. E non di rado gli imbrogliano. Ho notato in una recente “incursione” che non ci sono problemi a trovare un tavolo anche in locali che sino a pochi anni fa dovevi prenotare una settimana prima. Locali validi, gestiti da patron esperti. Un gran brutto segno. E comunque in attesa di riconquistare forse il pubblico italiano non possiamo permetterci di perdere i turisti stranieri. Sarebbe la fine.
Curti, ma la rivedremo a Milano?
Chissà. Quando mi renderò conto che l’imprenditore viene incentivato e non massacrato, potrei fare un pensierino. Da noi – ne parlo con tanti colleghi perbene – c’è la sensazione che non vogliono il tuo impegno. In Spagna, quando vengono a fare un qualsiasi controllo tecnico o fiscale, lo fanno con lo spirito di avvisarti: ovviamente se tornano e non sei ancora a posto, hai finito di lavorare. Da noi, il concetto è in partenza punitivo. Insomma, avvisatemi se l’atmosfera cambia. Nell’attesa, io sto lavorando per aprire un terzo locale a Formentera per la prossima stagione.