Portineria MilanoNelle valli hanno «cancellato» Bossi ma non la Lega

Viaggio tra Franciacorta e Valcamonica nelle ridotte del Carroccio

Fateci caso se vi capita di percorrere la statale che porta al passo del Tonale in Lombardia, tra le province di Brescia e Bergamo. Sui muri che delimitano i tornanti prima di Ponte di Legno, storico feudo estivo della Lega Nord, ci sono delle grandi macchie grigie. Se avete voglia di fermarvi a decifrare quello che stava scritto sotto, spazzato via con una mano di vernice, scorgerete a poco a poco cinque lettere. Quelle di “Bossi”. L’Umberto di Cassano Magnago, ex capo e fondatore di un Carroccio ormai in disarmo dopo il tracollo alle ultime elezioni amministrative.

In Valcamonica si mormora che le storiche scritte bianche «Viva Bossi» siano state fatte rimuovere su ordine di alcuni maroniani di ferro dopo il congresso di Assago, il primo luglio del 2012. Ma in realtà c’è anche chi dice che succede sempre, poi qualcuno si prende la briga di ricordarselo e rimetterle: sono passati un po’ di mesi ma nessuno lo ha ancora fatto.

«Il nostro consenso è congelato» spiega Roberto Maroni, segretario del partito e governatore lombardo, commentando la sconfitta alle amministrative, debacle che porta il movimento a perdere roccaforti come Treviso, la stessa Brescia e persino Brugherio dove proprio Bossi si era speso in prima persona. Il «congelamento» rimane forse la definizione migliore per un movimento che si ritrova in un limbo, a racimolare percentuali da prefisso telefonico, ma che allo stesso tempo, nonostante gli scandali dello scorso anno, sopravvive ancora nelle valli – almeno qui dove cominciò la sua cavalcata elettorale sul finire degli anni Ottanta -, grazie alle «cadreghe» nelle istituzioni, ma soprattutto alle feste.

Sì, i «party» padani resistono e fanno sempre il pieno. Altro che il Movimento Cinque Stelle che a Mira ha portato sì e no 300 persone. Tra quei tornanti della Valcamonica dove le scritte per Bossi e la Lega sono scomparse, si è da poco conclusa la Ader Fest, grande adunata leghista in quel di Adro, la cittadina in provincia di Brescia amministrata da Oscar Lancini nota per la scuola “Gianfranco Miglio” e le insegne del Sole della Alpi che tanto fecero discutere.

Da queste parti, sabato scorso, c’era Matteo Salvini, il segretario regionale in corsa per la segreteria federale. Ha fatto il pieno. Centinaia di persone ad applaudirlo, simboli della Lega da tutte le parti, i classici cani con il fazzoletto verde padano, salamelle e magliette Prima il Nord in vendita ai banchetti. Immagini anni luce distanti dagli epitaffi di questi giorni sui quotidiani. Certo ormai è una ridotta, sono lontani i tempi della penetrazione dei grandi e medi centri urbani, la discesa lungo la via Emilia, è come se il Carroccio alla fine del suo lungo ciclo si fosse rinserrato nelle sue vallate di elezione. Ma i discorsi sono sempre gli stessi. La promessa di nuove iniziative a dicembre, manifestazioni a Milano e persino il referendum per l’indipendenza della Lombardia. 

«È la terza festa che ci facciamo questa sera» spiega sbrigativo Aurelio Locatelli, storico autista di Bossi, membro del consiglio federale e attuale cocchiere di Salvini per le valli. E quando domandiamo al segretario lombardo «se la Lega fosse morta» la risposta è stata questa. «Li vede anche lei o no i militanti? Faccia una foto». Che poi sarebbe pure difficile capire se tutti quelli seduti a mangiare salamelle sono elettori del Carroccio. Ma tant’è.

Roberto Cota sostiene che chi attacca la Lega «in questo momento è un avvoltoio». Ma sono tanti gli ex militanti leghisti che in questi giorni danno la Lega per spacciata e finita. La Valcamonica è terra ricca di ex esponenti del Carroccio. Uno di loro è Gianluigi Lombardi Cerri, tra i primi a iscriversi, a metà degli anni ’80, poi senatore, quindi consigliere di Finmeccanica. Lo hanno espulso nel 2011 senza un motivo valido, a conferma che Bossi non la racconta giusta quando dice che di espulsioni lui non ne ha mai fatte. Ma non c’è solo Lombardi Cerri. Negli ultimi anni nel bresciano il malumore è poco a poco aumentato. La candidatura di Renzo Bossi alle regionali proprio a Brescia nel 2010 non ha giovato. 

Così come non hanno premiato le alleanze politiche con il Pd degli ultimi mesi in Valcamonica. Del resto, la sconfitta di Adriano Paroli nel capoluogo di provincia è indicativa. Nel 2008 la Lega Nord prese più di 16mila voti, per il 15,8% dei consensi. Alle ultime che hanno premiato il centrosinistra di Emilio Del Bono, i leghisti ne prendono 10 mila per l’8,66%. La metà quindi. Pensare che proprio nella zona della Valcamonica nel ’94 la Lega arrivò al 77%, oggi in tutto il bresciano è al 17%. 

Da queste parti vanno di moda le liste civiche. E Bossi a Ponte di Legno non viene neanche più. Pensare che negli anni d’oro arrivavano «anche 10 mila persone per vederlo e toccarlo» ricordano i vecchi militanti, mentre adesso non si fa vedere più neppure il Trota. L’anno scorso hanno invitato Matteo Renzi per colmare il vuoto. Il sindaco di Firenze ha detto che «bisogna rottamare la Lega». E un ex leghista di ferro gli si è fatto sotto dicendogli. «Matteo, guarda che la Lega si è rottamata da sola».

Gli scandali di Belsito, la Tanzania, i diamanti, i figli di Bossi, e il vitaliziol’hanno ridimensionata, anche se è riuscita a vincere la Lombardia. Secondo alcuni analisti di indipendentismo, però, l’inizio dell’abisso sarebbe iniziato a metà anni ’90, quando il Senatùr ha preferito sedersi «in poltrona» piuttosto che fare il rivoluzionario. Tra le valli dei camuni si può ancora ascoltare questo racconto: nel ’92 Bossi e i suoi stavano per dichiarare guerra a «Roma» staccando l’elettricità al resto dell’Italia. È una storia che alcuni leghisti ricordano bene a microfoni spenti e che incrociano con il possibile apporto che avrebbero potuto portare i croati impegnati nella guerra di Jugoslavia. 

Miti e leggende di una Lega che non c’è più, ma che comunque in qualche modo sopravvive e vivacchia. Almeno nelle vallate pedemontane, l’ultima ridotta. Non c’è più la secessione, non c’è più l’indipendenza, ma il malessere del Nord in fondo è ancora vivo. Maroni vuole tentare di riconquistare quel voto con la «macroregione», ma come ha spiegato Dario Di Vico sul Corriere della Sera «la realtà è che la Lega 2.0 non riesce né a rassicurare del tutto la pancia del suo elettorato né a indirizzare il Carroccio verso settori più moderati dell’elettorato. Del resto quella che era stata la sua forza, ovvero l’ascolto del territorio, è venuta meno in maniera preoccupante». 

È morta la Lega? Chissà. Come ha detto Paolo Feltrin a Linkiesta «il Carroccio è come un gatto dalle sette vite, è in crisi ma si è rialzato molto volte». Non è chiaro come possa riprendersi dopo l’ultima batosta elettorale ma esiste. E i militanti ancora affezionati, magari malmostosi, che si mettono in ballo per feste e manifestazioni lo dimostrano. C’è però un fatto. Bossi, cancellato dai muri del Tonale, è ormai inviso pure alla pancia. 

Sono tanti i militanti che nelle feste chiedono al Capo di mettersi da parte. «Fate lavorare Maroni» E Teleboario, l’emittente locale della zona ha fatto nei giorni scorsi alcune domande ai valligiani sulla possibile nascita di un nuovo partito di Bossi. Alla domanda: lo votereste?, la risposta è stata univoca: «Basta Bossi». Chissà che qualcuno non pensi pure di scriverlo sui muri di Gemonio per far capire l’antifona al vecchio leone… 

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