«C’è stato un buon clima. Epifani sta dimostrando di corrispondere in pieno ai requisiti per i quali è stato votato in assemblea: un segretario equilibrato, rispettoso del pluralismo». Ha superato la prima prova l’ex segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani. Come meglio non poteva e, probabilmente, ha conquistato quasi tutto lo stato maggiore dei democratici. «Non ricordo dai tempi di Walter un discorso così» mormora un veltroniano. Un discorso «inclusivo» che tiene insieme e non demonizza le svariate «correnti di opinioni», che stempera il clima di fuoco delle precedenti settimane, e consente «all’unico partito non personale» di ripartire in vista del congresso che si terrà «entro l’anno».
La prima relazione del segretario Epifani è stata approvata praticamente all’unanimità, soltanto 6 gli astenuti. A parte una gaffe quando, in un passaggio del suo discorso, Epifani si definisce «segretario generale». Gaffe che scatena il brusìo in sala: «Non sei più il segretario della Cgil». La direzione fila liscia, il neo segreterio cita «persino Calamandrei su fascismo e nazismo», e i malumori delle ore precedenti, vedi l’ordine del giorno che avrebbe dovuto presentare Beppe Fioroni «per coinvolgere la base con un referendum», o un documento bindiano contro le riforme del governo Letta, rientrano sopratutto per merito del neo segretario. D’altronde nel primissimo pomeriggio, secondo quanto risulta a Linkiesta, Epifani avrebbe limato la relazione sentendo tutti i capicorrente dei democratici.
«Cosa avremmo dovuto fare? Domenica e lunedì ci saranno i ballottaggi. Sarebbe stato controproducente mettere in difficoltà Epifani», sottolinea un deputato vicino a Fioroni. Ma il neo segretario c’ha messo del suo: non alzando i toni, mediando come meglio poteva, e, sopratutto, non scontentando (quasi) nessuno. Basti pensare alla composizione della segreteria. «Una segreteria inclusiva, rinnovata quasi per intero, pronta per il lavoro immediato», ha spiegato Epifani. Una segreteria allargata a 15 membri che non consente a nessuno di alzare il dito e di dire: «Hanno prevalso le logiche delle correnti vicine al segretario». Semmai, scherza un veltroniano, «ha prevalso la logica delle correnti. Il manuale di Massimiliano Cencelli è stato applicato meglio della Democrazia cristiana».
In questo modo entra a far parte della segreteria chi, come Roberta Agostini, nasce bersaniana ma è la coordinatrice delle donne del Pd dal 2004. O chi, come Fausto Raciti, siciliano, figlio della scuola dalemiana, poi approdato ai “giovani turchi”, è lì in qualità di «ex coordinatore nazionale dei giovani democratici». E via via scorrendo la lista dei 15 si annovera la presenza di Pina Picierno, giovane parlamentare in quota Dario Franceschini, di Alessia Mosca, anche lei giovane parlamentare ma vicina a Enrico Letta, di Simone Valiante, che invece ha in Fioroni il suo punto di riferimento, di Enzo Amendola, dalemiano «ma lì in rappresentanza dei segretari regionali», del bersaniano Davide Zoggia, di Debora Serracchiani, neo presidente della regione Friuli Venezia Giulia e vicinissima a Pippo Civati, del veltronian-renziano Antonio Funicello, del toscano Andrea Manciulli, di Katiuscia Marini, presidente della Regione Umbria vicina a Bersani, di Alfredo D’Attore, di Cecilia Carmassi, di Matteo Colaninno, «uno che è nel Pd grazie a Veltroni ma entra a far parte della segreteria perché rappresenta il mondo delle imprese», ironizza un insider di Largo del Nazareno. Ma il nome che spicca è il quindicesimo della lista: si tratta di Luca Lotti, capo di gabinetto di Matteo Renzi, e voluto fortemente dall’ex rottamatore. Le deleghe verrano assegnate alla prima riunione della segreteria, probabilmente dopo i ballottaggi, ma Renzi per tutelare sé stesso in visto del congresso avrebbe chiesto esplicitamente per Lotti la delega agli Enti Locali.
Infatti la presenza di Lotti all’interno della squadra del segretario Epifani lascia intendere che «Matteo è più in campo che mai», ma dopo la direzione nazionale, forse, sarà più difficile. Perché Epifani prima del congresso vuole approvare una modifica statutaria che separerà «il ruolo del segretario da quello del capo della coalizione, senza più coincidenza». Una piccola spallata al sindaco di Firenze, che, negli ultimi giorni, aveva iniziato a pensare di scendere in campo anche per la segreteria. Ma se dovesse essere affrontato il tema relativo alla separazione del ruolo di segretario da quello di leader della coalizione e se fosse approvato in assemblea, a quel punto “Matteo” non punterebbe alla segreteria. O, comunque, ci penserebbe due volte prima di prendere una decisione. Certamente, confida un parlamentare a lui vicino, «propenderà per la leadership del centrosinistra, non per la segreteria». Del resto Renzi ha sempre affermato di non essere appassionato al dibattito che avviene all’interno del partito, ma di essere portato a guidare il Paese.
Tuttavia Epifani avrebbe allontanato anche quest’ultimo sogno di Renzi: la leadership del centrosinistra. In uno dei passaggi della lunga relazione l’ex segretario della Cgil avrebbe sottolineato che «la nostra idea di governo di servizio e il bisogno di riforme nel sistema istituzionale richiedono un impegno di due anni». Come dire, guai a parlare di leadership: è ancora troppo presto, al momento occorre pensare al governo Letta, o tutt’al più al congresso che si terrà entro l’anno. È proprio in vista del congresso è stata approvata «la composizione della commissione per il Congresso» che farà un lavoro istruttorio, «fisserà un po’ il percorso» e accompagnerà il partito all’appuntamento congressuale. E anche in questo, manco dirlo, la commissione congressuale è allargata a 20 nomi per consentire di rappresentare le svariate anime dei democratici. Fra i 20 non si annoverano nomi di primissimo piano, ma seconde linee. Ad eccezione di Nico Stumpo, bersaniano di ferro, responsabile dell’Organizzazione della precedente segreteria, e uno degli organizzatori delle primarie dello scorso 25 novembre. Un’altro segnale che di certo non fa sperare Matteo Renzi e i suoi.
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