«In un momento di crisi come l’attuale è urgente che possa crescere, soprattutto tra i giovani, una nuova considerazione dell’impegno politico, e che credenti e non credenti insieme collaborino nella promozione di una società dove le ingiustizie possano essere superate e ogni persona venga accolta e possa contribuire al bene comune secondo la propria dignità e mettendo a frutto le proprie capacità».
E’ questo uno dei passaggi più significativi del discorso pronunciato dal Papa durante l’incontro con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avvenuto stamane in Vaticano. Il lavoro comune di credenti e non credenti è l’immagine semplice e forte insieme di una Chiesa che anche in Italia cerca strade originali per stare dentro i mutamenti storici e sociali. Allo stesso tempo il Papa ha chiesto ai giovani di tornare a fare politica perché di questo impegno c’è bisogno in una fase acuta di crisi come quella che stiamo vivendo. E’ il richiamo a quell’idea di politica come «più alta forma di carità» già evocato nei giorni scorsi. Gli accenti del Papa sono nuovi rispetto ai precedenti incontri fra le massime autorità italiane e vaticane. Francesco ha descritto un Paese articolato e plurale dove pure i cattolici hanno un loro spazio perché – ha sottolineato – hanno contribuito alla storia d’Italia, ma in un impegno comune con i non credenti. La novità è di rilievo rispetto al quadro classico proposto dalle gerarchie ecclesiastiche che della cattolicità del Paese facevano quasi un assioma indiscutibile a prescindere da ogni evoluzione sociale e culturale. Non sono stati citati per altro quei principi non negoziabili – fra cui l’intransigenza assoluta in materia bioetica e il rifiuto di ogni riconoscimento alle unioni omosessuali – che venivano posti fino a pochi mesi fa alla base di un bene comune indiscutibile e valido per tutti.
Siamo quindi di fronte a un cambio di paradigma sostanziale nelle relazioni bilaterali. Il Papa ha ribadito che saranno i vescovi italiani con i loro organismi a rappresentare “la comunità cattolica” del Paese, insomma la vicenda italiana non è più un affare di stato vaticano anche se resta il ruolo particolare “del vescovo di Roma” nelle relazioni con l’Italia; a questo proposito rimane valida l’immagine dei due colli, il Quirinale e il Vaticano, «che si guardano con stima e simpatia».
Nel discorso ufficiale di Bergoglio c’era anche spazio per la libertà religiosa quale valore da tutelare a livello internazionale precisando, però, che essa va difesa e promossa per tutti. E poi riferimenti alla famiglia e soprattutto alla crisi economica nonché alla decrescita demografica e alla necessità di investire sulla formazione dei giovani. Sul fronte opposto Napolitano parlava delle “aree di povertà” sempre più diffuse in Italia, del bisogno di giustizia e solidarietà. Complessivamente il tono della visita è stato meno retorico e ridondante che in passato, un po’ più informale, mentre il saluto del ministro degli esteri Emma Bonino, radicale, al Pontefice, è stato normale e forse ha rotto qualche tabù. Le delegazioni dei due Stati erano del resto folte e articolate, ma certo l’incontro era segnato dalle novità che hanno sconvolto la vita politica ed ecclesiale negli ultimi mesi. Il primo presidente della Repubblica rieletto in seguito a una grave crisi parlamentare, il primo Papa non europeo e i ministri di un governo certamente anomalo, quello delle larghe intese, tutti insieme in Vaticano. Per questo forse si è respirato un clima meno teso che in passato: i rapporti fra la Chiesa e l’Italia si stanno trasformando all’interno di mutamenti più ampi.
D’altro canto al di là dei discorsi ufficiali, il Papa e il Capo dello Stato hanno avuto anche un colloquio privato nel corso del quale sono stati affrontati alcuni temi rilevanti. Anzi, a guardar bene, al di là dell’ufficialità, il comunicato diffuso dalla Santa Sede su questa parte dell’incontro riveste particolare importanza. Fra gli argomenti toccati la situazione sociale in Italia e il ruolo della Chiesa nel nostro Paese ma «c’è stato, pure, un esame di aspetti che caratterizzano l’attuale quadro internazionale, come il preoccupante deterioramento dei conflitti che interessano l’area mediterranea orientale e l’instabilità dell’area nord-africana, che gravano anche su antiche comunità cristiane». Insomma, più che agli equilibri politici interni del nostro Paese, l’attenzione è stata rivolta al ruolo dell’Italia nell’area mediterranea, quasi a voler sottolineare che la Santa Sede, a questo livello diplomatico, parla con il Presidente della Repubblica come con tutti gli altri capi di Stato, guardando cioè in primo luogo alla visione e alla missione internazionale dell’Italia. In tale contesto è stata quasi riscoperta una vocazione mediterranea che i nostri governi sembrano aver perduto da tempo, tanto che tutto il processo delle primavere arabe, delle rivolte e dei cambiamenti ancora in corso in quell’area del mondo, non hanno visto nessuna iniziativa di peso della nostra diplomazia e della nostra politica.
Napolitano, da parte sua, è apparso abbastanza rilassato. Del resto aveva cucito meticolosamente le relazioni con la Santa Sede durante il pontificato di Ratzinger secondo un delicato e complesso intreccio di relazioni fra le due sponde del Tevere. Tuttavia le cose ora sembrano cambiare. La vita politica italiana con le sue convulsioni era stata a lungo al centro delle preoccupazioni dei sacri palazzi e ogni colloquio fra il cardinale Tarcisio Bertone e i rappresentanti del potere politico venivano accompagnate da suggestioni e elenchi veri o presunti di richiesta da parte vaticana. Non è detto che tutto questo sia finito in un giorno, ma certo una buona parte di quello schema oggi non sembra essere più valido.