«Una volta che Massimo si sposta su Renzi, l’asse del partito si sposta di conseguenza…». In una giornata che avrebbe dovuto segnare la rivincita dell’ex segretario Pier Luigi Bersani, l’asse D’Alema-Renzi esce rafforzato e si prepara al prossimo congresso dei democratici. Perché il congresso ci sarà – si terrà entro l’anno come ripetuto più volte da Guglielmo Epifani – e perché non c’è stata alcuna imboscata da parte del leader di Bettola.
Semplicemente nella prima riunione della commissione congressuale, composta da 15 membri che rappresentano tutte le “correnti” dei democratici, si è stabilito che «entro il 17 luglio la commissione dovrà chiudere la partita delle regole». Una commissione che sarà guidata direttamente da Guglielmo Epifani. Il segretario, per evitare che il partito si potesse dividere sul nome del “presidente”, ha preferito «commissariare la commissione». Perché i bersaniani avrebbero spinto per un uomo d’area come Davide Zoggia, che di certo non sarebbe stato digerito da renziani, giovani turchi, veltroniani e dalemiani. Mentre il resto della «ditta» avrebbe caldeggiato uno come Roberto Gualtieri, europarlamentare vicinissimo a Massimo D’Alema. In questo contesto la mossa di Epifani ha stemperato i toni non scontentando nessuno, e aprendo «una discussione serena sulle regole» in vista del congresso.
Una discussione che «di fatto» verrà coordinata da Stefano Bonaccini. «Questo sarebbe l’accordo», spiega a taccuini chiusi uno dei componenti della commissione. Bonaccini è l’attuale segretario regionale dell’Emilia Romagna, che alle recenti primarie ha sostenuto Pier Luigi Bersani, ma al Nazareno viene definito «un filo-governativo». Non un ortodosso «emiliano» ma «l’uomo per tutte le stagioni», sottolinea un veltroniano. Ecco perché, assicurano dal Nazareno, il «match sulle regole» si svolgerà «in un Pd unito che semplicemente discute» e che di certo sfocerà in «primarie libere e aperte». Del resto il nodo della discordia, quello sulla separazione della segreteria dalla leadership, è stato risolto “democristianamente” dal segretario Guglielmo Epifani con una dichiarazione: «Il segretario può essere, ma non deve obbligatoriamente essere anche il candidato leader. Questa flessibilità ci rende più forti». «Una dichiarazione a titolo personale» – lamentano renziani e veltroniani – che allo stesso tempo apre uno spiraglio alla leadership del sindaco di Firenze. In questo modo, comunque vada «il match sulle regole», il sindaco di Firenze avrà due porte aperte: la segreteria o le primarie per la leadership.
E non è un caso che Guglielmo Epifani abbia rilasciato quella dichiarazione. Perché dietro quell’affermazione c’è un lavorio sotto traccia di Massimo D’Alema. Il quale si può permettere di tenere un seminario della fondazione italianieuropei a Palazzo Rospigliosi, rigorosamente a porte chiuse, nelle stesse ore in cui si riunisce la commissione congressuale del Pd. Il lìder maximo riunisce una quarantina di persone, tra cui Guglielmo Epifani, Fabrizio Barca, un paio di renziani (Dario Nardella e Salvatore Vassallo), Anna Finocchiaro, Davide Zoggia, Gianni Cuperlo e Giuliano Amato. Un seminario sulla “forma partito” per stabilire come dovrà comportarsi il Pd da qui fino alla prossima competizione elettorale.
Durante l’incontro l’ex Presidente del Consiglio prova e riesce a “mediare” con chi, come l’attuale segretario Epifani, non gradisce affatto una candidatura del sindaco di Firenze. Perché, avrebbe spiegato D’Alema rivolgendosi all’attuale leader del Nazareno, «auspico un segretario che abbia forza e si occupi della ricostruzione del partito impegnandosi per una leadership forte, riconosciuta per quando ce ne sarà bisogno per vincere le elezioni. Le due cose possono coincidere, ma non è obbligatorio». Parole che lasciano intendere quale sia il progetto politico nella testa del Presidente di Italiaeuropei. Secondo D’Alema, il mix vincente si potrebbe realizzare con Gianni Cuperlo segretario, uomo partito di estrazione comunista-diessina e nei territori accolto a braccia aperte, e Matteo Renzi candidato alla Presidenza del Consiglio, «un giovanotto capace di conquistare chi non voterebbe mai e poi mai per noi». Insomma anche questa volta l’ex Presidente del consiglio vuole provare dimostrare il teorema che ha caratterizzato la sua vita politica: «I segretari che ho sostenuto hanno sempre vinto ma non sempre sono quelli giusti…». Un riferimento non casuale che fa rizzare le orecchie ai presenti in sala e che mira a colpire chi, come Pier Luigi Bersani, nel 2009 è stato voluto fortemente dallo stesso D’Alema.
Ma ormai l’era Bersani è «finita». «Perché con Bersani sono rimasti quattro gatti», mormora un dalemiano uscendo dal seminario. Il leader di Bettola è isolato. Dalle parti di Bersani «c’è la logica del “si salvi può”», spiegano. All’ex segretario dei democratici sono rimaste due carte da giocare. Una è rappresentata dal capogruppo Roberto Speranza, uno dei tre portavoce della campagna elettorale delle ultime primarie. «Ma Roberto è in difficoltà, è stato eletto capogruppo con un margine strettissimo, e non ha alcuna intenzione di essere il candidato di bandiera di Bersani al congresso». Scartata l’ipotesi Speranza, l’altra carta ancora oggi tenuta coperta potrebbe essere quella di Andrea Orlando. Il Ministro dell’Ambiente non ha firmato il documento bersaniano. Ma, «se è al governo lo deve a Bersani», sussurra un fedelissimo dell’ex segretario. Quindi, se l’ex segretario dovesse chiedergli un sacrificio «non rifiuterebbe». Ma il fronte dei bersaniani si restringe ora dopo ora. A tarda sera Guglielmo Epifani, ospite a Porta a Porta, mette il sigillo sul sindaco di Firenze: «Mi sembra che Matteo Renzi sia soprattutto un buon amministratore, ma sono sicuro che farebbe bene anche il segretario».
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