La scena è consueta: alcune barche tradizionali della laguna veneta si oppongono al passaggio di una grande nave. Succede ormai sempre più spesso, a Venezia. Ma la foto pubblicata dal quotidiano La Stampa (qui sotto) lascia scorgere qualcosa di inusuale: le barche hanno un’alberatura adatta a sostenere una vela al terzo (trapezioidale) e la nave non assomiglia per nulla a un’unità da crociera. Infatti è una petroliera, l’Agip Cortemaggiore, 19.000 tonnellate di stazza, e la foto è stata scattata il 16 dicembre 1969. Quel giorno si collaudava il canale dei Petroli, nella laguna veneta, ovvero il nuovo scavo che avrebbe permesso di togliere le petroliere dal bacino di San Marco.
L’apertura ufficiale sarebbe avvenuta qualche tempo dopo, l’8 aprile 1970, quando cinque petroliere da 40.000 tonnellate percorrono per la prima volta il canale che unisce i porto di Malamocco a Marghera e scaricano il greggio (ma allora i giornali scrivevano “grezzo”) nel terminal di San Leonardo. Si trattava della fase finale di una battaglia decennale per evitare che le petroliere sfilassero dalla bocca di porto del Lido davanti a San Marco per poi inoltrarsi nel canale della Giudecca (esattamente lo stesso percorso che compiono oggi le navi da crociera fino a oltre 130.000 tonnellate di stazza).
Cosa succederebbe, si domandavano gli ambientalisti di allora, se una petroliera perdesse il carico o, peggio, si incendiasse, davanti a San Marco? Domanda retorica, perché la risposta era chiara: l’isola di San Giorgio con la sua chiesa palladiana, Palazzo ducale e la vicina basilica di San Marco si sarebbero trasformate in torce alimentate dal petrolio incendiato. L’ipotesi non è affatto peregrina: il 13 settembre 1960 era avvenuto un grave incidente a bordo di una petroliera ancorata a Marghera. La Rosa Pellegrino, del compartimento di Napoli, che trasporta benzina e greggio, si incendia. Muoiono in tre: il comandante, il capo macchinista e sua moglie, che si era imbarcata a Bari per andare fino a Venezia col marito, gli altri 14 membri dell’equipaggio rimangono ustionati in maniera più o meno grave. Scrive La Stampa del giorno successivo: «La prima deflagrazione è avvenuta verso le 13.55 poi, con un pauroso crescendo, ne sono seguite altre, a ripetizione, mentre l’incendio avvolgeva la nave. Sia il capitano sia i coniugi Gruppillo, che si trovavano a poppa della nave, sono stati scaraventati nell’acqua in fiamme per il petrolio, dove sono morti». Chiaro che tutti vogliono allontanare l’incubo che un simile scenario apocalittico si verifichi davanti a San Marco.
L’anno successivo, nel 1961, comincia l’escavo del canale dei Petroli, di fatto un by pass che permette di arrivare a Marghera aggirando Venezia e quindi senza passare per il bacino di San Marco (una delle ipotesi attualmente allo studio è che le navi da crociera transitino proprio per di lì e arrivino alla Stazione marittima scavando un ulteriore tratto di laguna in modo da unire il canale dei Petroli a quello della Giudecca). Le discussioni sull’opportunità o meno dell’escavo di questo canale sono infinite e l’eco non si è ancora spenta ai nostri giorni, dopo cinquant’anni. Per molti la toppa è peggiore del buco, come di dice a Venezia, e se non c’è unanimità sul fatto che attraverso il profondo canale entri una maggiore quantità d’acqua in laguna e quindi aggravi il problema dell’acqua alta, è invece sicuro che la velocità vorticosa con cui l’acqua entra spazza tutta la laguna sud che è rimasta senza più barene e velme, cancellate dalla corrente causata dal canale dei petroli. Una parte del lavoro del Consorzio Venezia Nuova, conosciuto per le paratie mobili che dovrebbero salvare Venezia dall’acqua alta, è anche quella di rimediare ai guasti causati dal canale dei Petroli.
Un articolo a firma Gigi Ghirotti pubblicato nella Stampa del 6 maggio 1969 ha toni davvero preoccupanti: «Laguna di Venezia addio? Sta forse per scoccare l’ultima ora della città di San Marco, nella dimensione e nella forma che la storia e la natura, insieme, le costruirono? Corre voce in città che il tormentatissimo canale dei Petroli, di cui venne sospeso lo scavo alcuni mesi fa, sia stato ora liberato d’ogni ipoteca: gli esperti avrebbero dato parere favorevole alla ripesa dei lavori». Ma c’era ben di più. Si ipotizzava di approfittare dei lavori di scavo per costruire una diga nella laguna con sopra una bella autostrada per unire Marghera al Lido. Così si sarebbero potute vedere correre sull’acqua le «rombanti automobili» che Filippo Tommaso Marinetti avrebbe voluto sull’interrato Canal Grande.
I manifestanti del dicembre 1969, capitanati da alcuni pescherecci chioggiotti, non sortiscono grandi successi. «I motopescherecci dei contestatori hanno manovrato per sbarrare la rotta alla Cortemaggiore, che stava per entrare in laguna attraverso l’imboccatura del porto di Malamocco. Il “carosello” è durato piuttosto a lungo, poi la petroliera ha potuto raggiungere il bacino terminale di San Leonardo».
Poi l’apertura al traffico di cui si è detto. Il canale non era ancora del tutto completato. Mancavano gli ultimi 1800 metri per permettere il passaggio delle petroliere più pesanti, fino a 100 mila tonnellate. Il timore era che l’escavazione potesse «provocare scompensi irreparabili nel sistema idrico della laguna e costituire un attentato al centro storico di Venezia». Si temeva allora ciò che si teme pure oggi.