Con Francesco la Chiesa torna al centro della realtà

Nell’isola siciliana il primo viaggio

Il cammino di Francesco prosegue e il suo magistero si rivolge ora al mondo, all’Italia, all’Europa; il Papa parla di quella porzione di umanità chiamata migranti, così difficile da far digerire alle opinione pubbliche e ai governi dell’Occidente. È stato già sottolineato come un vescovo di Roma figlio di migranti – il suo cognome racconta le radici italiane della famiglia – abbia compiuto il gesto “impossibile” per la politica: andare a Lampedusa, l’isola degli sbarchi e delle tragedie, per dire che non si può essere indifferenti di fronte a quelle barche sfasciate cariche di gente senza più nulla. È un gesto che non ha nulla di “buonista” o semplificatorio in merito alla questione, che anzi viene denunciata nella sua brutale gravità, nella sua dimensione umana.

Da un punto di vista più generale il Papa argentino, in pochi mesi, ha precisato alcuni aspetti essenziali del suo magistero: in primo luogo ha messo in discussione l’acquiescenza di fronte a un modello di sviluppo e a una finanza che hanno prodotto una crisi sociale di dimensioni mondiali, ha lanciato l’allarme per una solidarietà ormai privata di cittadinanza sociale, ha spiegato che il rischio di oggi è quello di un’economia che faccia la guerra ai poveri. A questo tema è collegato quello del consumo ineguale delle risorse; quindi il Papa ha sollevato l’attenzione di tutti, a cominciare dai governi dell’Europa, su un tema – l’immigrazione – intorno al quale negli ultimi decenni si sono consumate nel vecchio continente campagne elettorali, crisi di governo, battaglie ideologiche. A Lampedusa Bergoglio ha anche salutato i musulmani in occasione del Ramadan, collegando così idealmente al tema immigrazione quello delle identità e delle culture differenti, nodo sul quale si sono infrante anche in Italia le politiche migratorie e di accoglienza in questi anni.

Con un certo coraggio, bisogna dire, il Pontefice ha parlato di accoglienza nel momento in cui una crisi gravissima consuma il nostro Paese, colpisce la Grecia, la Spagna e il Portogallo, cioè le frontiere meridionali di questa Europa, troppo concentrata su Francoforte e incapace di confrontarsi con il mondo che le sta intorno. E di certo le gravissime instabilità prodottesi pure negli ultimi giorni in diversi Paesi del Medio Oriente, la povertà di massa che ha colpito i popoli del Maghreb presi da una lunga e sanguinosa transizione politica, apriranno le porte ad altri flussi di migranti. In questo contesto l’appello di papa Francesco è un implicito e fortissimo alla politica affinché esca da pensieri corti ed inerti per affrontare e diventare protagonista dei problemi del nostro tempo: mai come oggi mentre Roma discute Sagunto brucia.

La crisi sociale ed economica, i diritti umani, il dialogo fra le civiltà, la capacità di intervenire nelle crisi internazionale, sono temi fra loro legati, espressi con linguaggio profetico e cristiano da Francesco, ma assenti oggi dall’agenda laica dei governi. Allo stesso tempo il Papa ricolloca una Chiesa che pareva stanca, incapace di parlare con il proprio tempo, prigioniera di liturgie e poteri lontanissimi dal mondo, al centro della realtà e lo fa con parole chiare, partendo da una cronaca che racconta l’odierna condizione umana:

«Immigrati morti in mare da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta».

E poi il Papa continua a modificare il linguaggio ecclesiale, depurandolo della retorica eccessiva, dei barocchismi per andare all’essenziale, e trae esempi dalla grande cultura spagnola e italiana citando Lope de Vega e Manzoni.

«Oggi abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!».

Quindi «ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto». È questo richiamo alla responsabilità individuale, al “contare” di ogni persona che sta infine la forza del messaggio del Papa: un restituire identità e quindi anche diritti e doveri a ciascuno, da una parte e dall’altra del mare.  

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