Cuperlo: “Per il Pd questo congresso è l’ultima chance”

Il candidato “dalemiano” alle primarie

In partenza per Bruxelles dove incontrerà i leader della sinistra europea per un tour precongressuale. Gianni Cuperlo, ultimo segretario della Fgci (Federazione giovani comunisti italiani, la sezione giovanile del Pci), e consigliere di Massimo D’Alema ai tempi di Palazzo Chigi, è candidato alla segretaria del Pd «senza se e senza ma». Durante l’intervista spazia dalla crisi internazionale al ruolo della sinistra in Europa, non perdendo di vista quello che definisce un «governo eccezionale». «Noi del Pd sosterremo questo governo con lealtà ed autonomia senza nessun retropensiero. Ma è chiaro che se altri cercheranno di far mancare la fiducia, allora in quel caso nel rispetto della Costituzione sarà necessario verificare in Parlamento l’esistenza di un eventuale diversa maggioranza». E su un eventuale ticket Cuperlo-Renzi tiene a precisare: «Non esiste nessun ticket. Il congresso non è un occasione per dividersi posti».

Lei sta girando l’Italia per presentare il programma e ha anche convocato il gruppo parlamentare del Pd. Si candida a segretario. Qual è la sua idea di Paese?
Partirei da questa premessa: tutti sanno che la crisi su di noi ha avuto un impatto più duro, anche perché ha accentuato quelle che sono delle vere patologie del nostro modello economico e produttivo. A differenza di altri grandi paesi non abbiamo pagato solo il prezzo della bolla finanziaria e di un debito che quell’impatto ha fatto rimbalzare verso l’alto, ma anche dei ritardi strutturali del nostro sistema Paese. Il punto è se da questa crisi noi siamo in grado di uscire insieme all’Europa fissando i pilastri di un’altra idea di Paese. Questo vuol dire affrontare le riforme che abbiamo rinviato per troppo tempo, ma avendo chiara una bussola anche di carattere ideale e culturale, che io penso debba essere un recupero del valore dell’uguaglianza e sul contrasto a una forbice di diritti e libertà che nel corso degli anni si è accentuata in termini spesso immorali.

Qual è la sua piattaforma programmatica?
Penso ad “una rivoluzione della dignità” che metta al centro il valore della persona, dei suoi diritti e delle sue responsabilità. Penso ad un modello produttivo che muovendo dal valore sociale delle imprese possa ridefinire il rapporto tra pubblico e privato con un’attenzione strategica alla sfera dei beni comuni. Penso ad una profonda riorganizzazione dello Stato, che non passa soltanto da una razionalizzazione della spesa, che è necessaria, ma dal recupero di quella intuizione che segnò la prima vera spending review elaborata da Tommaso Padoa Schioppa, e cioè passare da una spesa pubblica concepita e racchiusa dentro  una logica giuridico-contabile, quindi strutturata per titoli e poste di bilancio, ad una concezione di quella spesa articolata per missioni e progetti con strumenti efficaci di controllo e di verifica degli obiettivi raggiunti. Ma anche questo da solo non basta.

Perché non basta?
Perché la crisi per il suo impatto e per le sue dimensioni, ci chiede di ripensare l’intero modello produttivo e le sue principali filiere. Lo dico nei termini più banali per capirci: se il New Deal investì su ponti, strade e ferrovie, noi dobbiamo investire su banda larga, messa in sicurezza di suolo e fiumi, su cultura e information technology, su brevetti, su produzioni ad alto contenuto tecnologico, sul welfare di qualità. Insomma, non se ne parla abbastanza però è una follia che negli anni durissimi che stiamo attraversando, parlando di formazione e ricerca, abbiamo perso 60mila immatricolazioni universitarie. È come se l’intera Università di Milano fosse andata perduta. Allora il punto è investire sulle capacità straordinarie del Paese e cominciare dal modo con il quale in tanti momenti si è saputo fare impresa innovativa, ma per fare questo bisogna investire in sapere e ricerca. Da questo punto di vista bisogna anche superare qualche pigrizia nel modo in cui abbiamo letto fin qui la rivoluzione digitale. Che non sono solo i blog o Facebook, ma è una nuova dimensione della produzione e perfino un ricongiungimento di quel rapporto tra «mente» e «mano» che il modello fordista aveva separato. Infine, io penso che dobbiamo recuperare il valore sociale del lavoro, e questo lo fai anche ricostruendo una relazione virtuosa tra la finanza e l’economia reale. Perché non solo la finanza non è il male assoluto, ma è una leva essenziale per il rilancio del Paese e però questo passa dalla possibilità di rimettere in moto il credito alle imprese. Nel solo 2012 i prestiti si sono ridotti di 38 miliardi, fatto mai accaduto. In sostanza, noi dobbiamo rilanciare la domanda interna, restituire fiducia al mondo del lavoro e della produzione, e tutto questo lo dobbiamo fare allargando i confini della cittadinanza insieme alla qualità e all’efficienza della nostra democrazia.

Lei parla anche di cittadinanza, un tema “divisivo” anche all’interno della sinistra.
Mi faccia fare un esempio: lo “Ius soli” non è solo una delle tante norme possibili, ma è un modo di pensare lo sviluppo futuro dell’Italia e dell’Europa. Da questo punto di vista la nostra forza – di noi europei intendo – è stata sempre quella di migliorarci aprendoci a nuovi contributi, talenti, apporti culturali. Ecco perché quando parliamo di integrazione noi fotografiamo una opportunità strategica. Ho citato la legge sulla cittadinanza per i bambini nati in Italia, ma lo stesso vale per una legge attesa da tempo sulle unioni civili, o sui diritti degli omosessuali e sul contrasto verso ogni forma di discriminazione. Il punto è capire che se le persone sono mature per accettare il fiscal compact lo sono anche per decidere sulle scelte fondamentali che riguardano la loro vita e il loro avvenire.

Passiamo all’attuale governo che vede insieme Pd e Pdl. Sembra che il Pdl stia chiedendo le dimissioni del Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni.
Il governo, e in particolare il Presidente del Consiglio, hanno intrapreso la strada giusta come si è visto da ultimo al Consiglio europeo in materia di occupazione per i giovani. Naturalmente questo è un governo eccezionale, nato in condizioni particolari e che deve fare le cose per cui ha chiesto la fiducia del Parlamento: aggredire le emergenze economiche e sociali, e spingere il Parlamento a procedere sulla via delle riforme istituzionali a cominciare da una nuova legge elettorale. Alla fine di questo percorso, in un tempo ragionevole, bisognerà tornare a quella alternanza che è inscritta nel nostra Dna. Noi sosterremo questo esecutivo con lealtà e autonomia, senza nessun retropensiero. Ma è chiaro che, se altri, e penso agli esponenti della destra che ogni giorno creano fibrillazioni e lanciano attacchi mettono in difficoltà l’esecutivo e questo non aiuta a individuare quelle soluzioni condivise che servono al Paese. Quello di alcuni dirigenti del PdL non mi sembra un atteggiamento costruttivo e responsabile. Il loro mi sembra un comportamento miope anche perchè se sceglieranno, per un calcolo di parte, di far mancare la fiducia, allora nel rispetto della Costituzione bisognerà tornare in Parlamento e verificare l’esistenza di una eventuale diversa maggioranza. 

La legge elettorale si farà o non si farà? E poi, anche all’interno del centrosinistra non sareste tutti d’accordo sul modello da adottare?
Noi abbiamo preso un impegno morale verso il Paese: “mai più” con queste regole. Questo impegno lo dobbiamo mantenere costi quel che costi. A mio avviso qualunque soluzione alternativa al Porcellum deve fondarsi su due punti precisi: da un lato restituire ai cittadini il diritto a scegliere il loro parlamentare, dall’altro avere la garanzia che dal risultato delle urne emerga una chiara maggioranza di governo. 

Oltre alla legge elettorale ci sarebbero anche le riforme costituzionali. Cambierà qualcosa, o sarà la solita farsa all’italiana?
Nelle condizioni date la saggezza impone di fare ciò che ragionevolmente è possibile fare. Superamento del bicameralismo perfetto e la creazione di un Senato delle regioni, una drastica riduzione del numero dei parlamentari, l’applicazione dell’art. 49 della Costituzione sulla trasparenza della vita interna dei partiti, l’abolizione delle province, il rafforzamento dei poteri del governo, e la riforma dei regolamenti parlamentari. Già realizzare questo programma vorrebbe dire tagliare un traguardo fondamentale. Mentre ho seri dubbi sull’opportunità di uno stravolgimento della parte ordinamentale della Carta, come avverrebbe se imboccassimo oggi la via del semipresidenzialismo. 

Secondo gli osservatori della sinistra italiana perché la sua è una piattaforma troppo di “sinistra” per poter raggiungere la società italiana?
Penso che noi abbiamo il dovere di parlare a tutti. Ma in una fase decisiva per capire dove andrà l’Europa, dobbiamo dire con chiarezza per chi siamo, quali interessi e forze reali scegliamo di rappresentare, promuovere, emancipare. In questo senso difendo la natura del progetto che ha ispirato il Pd, che non è solo un partito di sinistra, ma è una forza dove i valori della sinistra e del progressismo europei debbono trovare una piena legittimazione. 

Il socialismo europeo appare superato, e si pensa ad una grande alleanza di progressista, così come immaginata da Walter Veltroni e Arturo Parisi in tempi non sospetti.
Tutta la sinistra europea, quella che oggi è al governo come in Francia, o quella che è all’opposizione come in Germania, Spagna o Gran Bretagna, è chiamata a ripensare se stessa di fronte allo spartiacque storico che è rappresentato da questa crisi. La vera novità è che questo ripensamento deve avvenire in una dimensione sovranazionale. E io penso che anche i singoli partiti nazionali debbano porsi il problema: come dare vita nei prossimi anni a un grande soggetto politico europeo dei progressisti e della sinistra.

Passiamo alle questioni interne al Pd: Civati ha sciolto la riserva e sarà un suo avversario per il congresso. Non trova sia una candidatura molto vicina alla sua?
Penso che le candidature in un partito che discute siano sempre energie che si attivano e quindi segnali positivi, di vitalità. La cosa importante è che queste candidature siano legate ai contenuti, a una cultura e a piattaforme che molte altre persone possano integrare, criticare, correggere.

La pensa come Alfredo Reichlin che avrebbe domandato ai vertici “Prima di parlare di candidature perché non definiamo il tema del congresso”?
Sì, anche se sappiamo tutti benissimo che esiste un legame tra le diverse piattaforme e chi si candida a interpretarle. In questo senso è un obiettivo condiviso da tutti, spero, lavorare nei prossimi mesi a ricomporre un campo largo del centrosinistra che coinvolga forze politiche ma anche movimenti, associazioni, che si battono sulla frontiera della legalità, del civismo, della solidarietà. 

Il suo big sponsor è Massimo D’Alema. In tanti pensano che secondo i piani dell’ex presidente del Consiglio lei sarebbe il nuovo segretario, mentre Renzi farà il leader. Insomma un ticket Cuperlo-Renzi.
Non c’è nessun ticket. Il congresso non è un occasione per dividersi dei posti. Ma è forse l’ultima opportunità per condividere delle idee. Facciamo tutti uno sforzo di volontà e fantasia per non sciupare questa chance.

(Gianni Cuperlo, classe ’61, triestino, laureato al Dams. Ultimo segretario della Fgci, ha lavorato a fianco di Massimo D’Alema, quando lo stesso D’Alema era a Palazzo Chigi. «Era lui che scriveva i discorsi di Massimo», racconta a Linkiesta un ex collaboratore del lìder maximo. Parlamentare dal 2006, dirigente democrat, responsabile comunicazione, autore di libri, vieni definito dai «compagni» di partito «un intellettuale», ma a lui piace di più la vecchia etichetta di «funzionario di partito»)

Twitter: @GiuseppeFalci