David Foster Wallace, storia di uno scrittore fantasma

Morto suicida nel 2008

Quello che David Foster Wallace pensava delle biografie letterarie è facilmente riassumibile con l’estratto da una recensione scritta per il New York Times, riguardo a una biografia di Borges:

«esiste uno spiacevole paradosso. La maggior parte dei lettori che siano interessati alla vita di un autore […] sono probabilmente già suoi ammiratori e avranno contribuito a diffonderne un’immagine falsa (coscientemente o meno). […] Rimarranno quindi delusi nel non ritrovare nella biografia quei modi di fare, quelle ossessioni e quei tic che per loro erano parte della produzione stessa dello scrittore in questione – la sensazione che solo lui avrebbe potuto scrivere quello che ha scritto».

La cosa curiosa è che io non avevo mai letto la recensione, prima che D.T. Max ne riportasse il link sul New Yorker, all’indomani dell’uscita di Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi (recentemente pubblicato in italiano da Einaudi Stile Libero, tradotto da Alessandro Mari). La preoccupazione di Max, unico biografo del genio Wallace, è che se David fosse stato in vita non solo non avrebbe apprezzato lo sforzo – immane, veramente – di ricostruire il suo percorso letterario e umano, ma addirittura avrebbe deprecato lo strumento biografia al punto di affossarne l’efficacia con tutti i mezzi a sua disposizione.

E la prima cosa che emerge da questa storia è che, quello che Max definisce millefoglie umano di esibizionismo e offuscamento, di mezzi ne aveva in abbondanza. Ma «il portatile [in questo, come in molti altri casi] si apre solo dopo che la bara viene chiusa» e il resto non sono che speculazioni.

Leggi un estratto della biografia di David Foster Wallace di D.T. Max

Di certo c’è che se non l’avesse scritta lui, questa biografia, non l’avrebbe potuta scrivere nessun altro. Il lavoro di Max è immenso e testimoniato dalle decine di articoli e variazioni sul tema comparsi sul New Yorker negli ultimi dieci anni. Ogni storia d’amore non è soltanto la cronaca, a tratti tragica, della vita di uno scrittore geniale e tormentato, è anche l’approfondimento del tormento stesso. È la ricerca particolareggiata tra le pieghe della dannazione che opprimeva Wallace dai tempi dell’adolescenza, e in potenza è tutto ciò che lo scrittore temeva riguardo alle biografie. Un’analisi così minuziosa e dettagliata non può che colmare le lacune lasciate da ciò che si limita ad emergere dalla scrittura, a portare quindi a galla quella fallibilità che per Wallace avrebbe finito per distruggere la memoria – o l’immagine autoriale – dell’analizzato.

È inutile scendere in particolari di trama, o svelare come vengono sciolti i nodi più difficili – la vita dell’autore è completa, dalla nascita al Re pallido – basti sapere che niente viene lasciato al caso e che alla fine si chiude il libro con nel petto quel senso di giustizia che chi, come me, ha seguito l’epopea degli inediti, le teorie complottiste e, in generale, ama i libri con le note a margine, aspettava da tempo.

Per tornare al dubbio iniziale: la posizione di Wallace era, come spesso è capitato nel corso della sua tristemente breve ma felicemente ricca produzione, ambivalente. Perché è vero che l’immagine di un autore finisce per distruggerne quella romanzata, ma è anche vero che difficilmente se ne potrà fare a meno – per lo meno nel caso di scrittori come Borges e DFW – e questo non poteva che accettarlo. Può anche darsi che non amasse particolarmente le biografie letterarie, ma si trovava a doverci fare i conti e sapeva che un giorno ne sarebbe toccata una anche a lui. Tirando le somme, sarebbe stato probabilmente sollevato nel sapere la sua vita in mani così attente, e ancora di più nel conoscere le difficoltà che hanno tormentato Max durante la stesura, esorcizzando il terrore di aver vissuto una vita poco travagliata e per niente interessante.

Max, da parte sua, la liquida così:

«Credo che Wallace sostenesse il paradosso delle biografie con lo stesso atteggiamento faux-naive con il quale in Considera l’aragosta – saggio uscito nello stesso anno della biografia di Borges – si domandava se è giusto bollire viva una creatura senziente per mera soddisfazione culinaria».

Naturale che non è giusto, ma Wallace amava l’aragosta.

Twitter: @GiulioGDAntona

Un estratto della biografia di David Foster Wallace

Capitolo 1 «Puoi chiamarmi Dave»

Ogni storia ha un inizio, e questa comincia così: David Wallace nasce il 21 febbraio 1962 a Ithaca, nello Stato di New York. Suo padre, James, laureato in filosofia alla Cornell, proveniva da una famiglia istruita. La madre, Sally Foster, aveva invece origini più umili, contadine – la sua famiglia era nativa del Maine e del New Brunswick; il padre era coltivatore di patate. Il nonno era ministro battista, e le aveva insegnato a leggere usando la Bibbia. Dopo aver ottenuto una borsa di studio che le aveva permesso di frequentare una scuola superiore prestigiosa, Sally si era iscritta al Mount Holyoke College dove aveva studiato Lettere. Era diventata presidentessa del corpo studentesco nonché la prima, in famiglia, a conseguire una laurea.
Due anni dopo la nascita di David, Jim e Sally ebbero una figlia, Amy. All’epoca la famiglia si era già stabilita nell’area metropolitana Champaign-Urbana, le
twins-cities nel cuore dell’Illinois, sede dell’università pubblica più prestigiosa dello stato. Sally e Jim non avrebbero mai voluto lasciare Cornell – ne adoravano il panorama ondulato – ma Wallace padre aveva ricevuto un’offerta dal dipartimento di Filosofia dell’Università dell’Illinois e non se la sentí di rifiutare. La coppia fu meravigliata di scoprire quanto inospitale fosse la nuova città, quanto scialba e desolata. Presto, però, con somma gioia della famiglia, Jim ottenne un incarico di ruolo e Sally poté così tornare a dedicarsi agli studi fino a conseguire una specializzazione in Lettere. La famiglia si insediò stabilmente a Urbana nel corso del 1969 acquistando una casetta gialla a due piani in una stradina nei pressi dell’università. Non lontano c’erano campi di granturco e soia, coltivazioni a perdita d’occhio, orizzonti sconfinati.

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