Quando un grande velocista non riesce più a correre alla sua velocità record, ci si impiega un po’ a capire se è temporaneamente fuori forma o se ha perso definitivamente la sua verve. Lo stesso discorso vale per i mercati emergenti, i velocisti economici del ventunesimo secolo. Dopo una decade di forte crescita, durante la quale hanno trainato il boom economico globale e aiutato l’economia mondiale a far fronte alla crisi finanziaria, i giganti emergenti stanno rallentando.
Questo segna la fine della prima stupefacente fase dell’era dei mercati emergenti, che ha visto queste economie crescere, in termini di output mondiale, dal 28% al 50% (a parità di potere d’acquisto – PPP-). Nel corso dei prossimi dieci anni le economie emergenti continueranno a crescere, ma più gradualmente. L’effetto immediato di questa decelerazione dovrebbe essere gestibile, ma l’effetto di lungo periodo sull’economia mondiale sarà più profondo.
In passato, nei mercati emergenti, ai periodi di boom è solitamente seguita una esplosione della bolla (il che spiega perché pochi paesi poveri sono riusciti a diventare ricchi). Un pessimista convinto potrebbe trovare motivo di agitarsi oggi, puntando il dito in particolare verso i rischi di una decelerazione ancora più drastica in Cina, o di una improvvisa stretta monetaria globale. Ma questa volta una brusca frenata di tutti i paesi emergenti sembra improbabile.
La Cina è nel bel mezzo di una transizione precaria da una crescita trainata dagli investimenti verso una crescita, più bilanciata, basata sui consumi. In Cina, la crescita degli investimenti ha creato molto debito insoluto, ma il governo ha la stabilità fiscale per potere assorbire le perdite e per poter stimolare l’economia, se necessario; è un lusso che pochi paesi emergenti hanno o hanno mai avuto. Questo diminuisce la possibilità di un disastro. E con le economie sviluppate ancora deboli, la possibilità che vi sia una stretta monetaria improvvisa è improbabile; e anche se fosse, la maggior parte delle economie emergenti hanno attualmente le migliori difese di sempre: tassi di cambio flessibili, molte riserve di valuta estera e un debito relativamente basso (di cui la maggior parte è detenuto in valuta locale).
Questa è la buona notizia. La cattiva notizia è che i giorni di crescita da record sono finiti. Il turbo-modello di investimenti e esportazioni della Cina è in rallentamento. Dal momento che la popolazione sta invecchiando rapidamente, il paese avrà meno lavoratori e essendo ormai più prosperosa, lo spazio di crescita è più ristretto. Dieci anni fa il Pil pro capite cinese a parità di potere d’acquisto era l’8% di quello americano, ora è il 18%. Il divario continuerà ad accorciarsi, ma il recupero sarà più lento. […]
La Grande Decelerazione implica che le economie emergenti in crescita non compenseranno più la debolezza dei paesi sviluppati. Senza una ripresa più vigorosa degli Stati Uniti o del Giappone, e dell’Eurozona, è improbabile che l’economia mondiale riuscirà a crescere molto di più dell’attuale 3%; la situazione è piuttosto fiacca.
Inoltre, diventerà sempre più evidente che la scorsa decade è stata totalmente inusuale.
E’ stata dominata dal boom cinese, che ha avuto un impatto così forte non solo per l’enorme dimensione del paese, ma anche per l’incredibile crescita delle sue esportazioni, per la sua fame di materie prime, e per il suo accumulo di riserve di valuta estera. In futuro, una crescita più bilanciata di un gruppo più ampio di paesi avrà delle ripercussioni più contenute sul resto del mondo. […]
I corporate strategists che erano convinti che i paesi emergenti si trovassero su una traiettoria lineare di crescita ultra-veloce dovranno rivedere i loro conti; fra qualche anno una America ringiovanita, trainata dal gas di scisto, potrebbe rivelarsi una scommessa migliore che non alcuni dei BRIC. Ma la più grande sfida sarà quella dei politici nei paesi emergenti. Le loro scelte determineranno la spinta – o il rallentamento – della crescita. Al momento, la Cina sembra il paese più attento e impegnato sulle riforme. La Russia di Vladimir Putin, viceversa, è una cleptocrazia sonnolenta che si basa interamente sulle sue risorse naturali, ma i suoi consumatori si stanno spostando sul gas scistoso. L’India ha la sua situazione demografica a suo vantaggio ma, così come il Brasile, deve ritrovare la sua spinta riformista – oppure deludere il suo crescente ceto medio, che ha recentemente invaso le strade di Delhi e di San Paolo. […]