IL CAIRO – I Fratelli musulmani hanno superato l’ultimo tabù marciando verso le sedi dell’Intelligence militare e le stazioni di polizia. Vogliono dimostrare di essere le vittime di un gioco al massacro che ha causato la strage del 26 luglio scorso, quando hanno perso la vita oltre 80 persone. L’esercito ha annunciato che non perdonerà nessuna marcia verso le sue infrastrutture, mentre il ministero dell’Interno sta preparando lo sgombero di Rabaa al-Adaweya.
Torna l’Unità anti-islamica della Sicurezza di Stato
Ma a preoccupare gli islamisti è l’Amn el Dawla (Sicurezza di Stato). Sta per tornare ad essere un incubo per i Fratelli musulmani. Se dopo le rivolte del gennaio 2011 era stata ribattezzata Servizio di sicurezza nazionale (Ssn) tornerà presto a controllare le attività di salafiti e Fratelli. Lo ha assicurato in una conferenza stampa il ministro degli Interni Mohammed Ibrahim. Il tentativo di ricostruire l’unità anti-islamica era fatalmente fallito nella fase di transizione post-Mubarak. I militari avevano spesso parlato di dare poteri speciali alla polizia militare ma mai di ricostituire un’unità che avesse come scopo di colpire direttamente gli islamisti. «È una follia»: ha subito intimato il leader dei Fratelli Essam El-Arian.
Uno dei giorni indimenticabili per questa generazione di Fratelli è stato l’8 aprile 2011. Quella notte l’Amn el Dawla è stata presa d’assalto per ore, decine di migliaia di documenti sono andati in fiamme. Si trattava dei file scottanti che inchiodavano alle loro responsabilità decine tra criminali e attivisti politici, indistintamente. Migliaia di copie di email, di intercettazioni telefoniche, di video che venivano usate come prove contro gli islamisti o servivano a fabbricare accuse del tutto inventate.
Questo annuncio, insieme alla strage perpetrata principalmente dalla polizia il 26 luglio scorso, ha motivato i Fratelli musulmani a chiedere ai propri proseliti di attaccare le infrastrutture militari. «È il ritorno all’era di Mubarak» – ha dichiarato l’attivista per i diritti umani Aida Seif el-Dawla. Aida lavora per il Centro Nadeem per la riabilitazione delle vittime di violenza e tortura. «Queste unità hanno commesso le violazioni più atroci dei diritti umani, detenzioni sommarie e segrete, uccisioni fuori legge. L’Amn el Dawla ha ucciso decine di islamisti negli anni Novanta e i suoi esponenti non sono mai stati giudicati per questo», conclude.
«Andiamo verso la stazione di polizia, siamo studenti universitari, non abbiamo paura. Non possiamo permettere che l’Islam venga cancellato», ci spiega la prima linea di una marcia diretta da Rabaa verso il ponte di 6 Ottobre, proprio dove è avvenuto il massacro dei giorni scorsi. Questi ragazzi negano le responsabilità di Safwat Hegazy nel massacro dei giorni scorsi. Secondo alcuni media indipendenti, il leader islamista, salito sul palco allestito a Rabaa, avrebbe chiesto ai manifestanti di spingersi oltre l’Università di Al Azhar e si sarebbe diretto con loro verso le forze di polizia che presidiavano le manifestazioni a qualche chilometro di distanza. Ma quando è iniziata la sassaiola e poi la sparatoria avrebbe lasciato i manifestanti al loro destino.
Ashton umanizza Morsi
Ma a calmare gli animi degli islamisti è arrivata ieri la seconda visita di Catherine Ashton. L’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione Europea ha voluto a tutti i costi visitare Morsi, contribuendo a umanizzare il fantasma dello scontro tra Fratelli e militari. La baronessa Ashton ha parlato di un Morsi che legge i giornali e guarda la televisione, insomma un uomo che continua ad avere rapporti con l’esterno ma che non ha voce per parlare con i media. Per questo Ashton ha promesso di non rivelare le opinioni del presidente assente. Non solo, di Morsi non si sa più nulla: neppure dove sia detenuto. Tanto che Ashton ha dovuto affrontare un viaggio in aereo per arrivare in una struttura militare non identifica.
Tutti questi elementi continuano a creare un alone di mito nei confronti di un personaggio politico che quando è stato deposto era ai minimi della sua popolarità. Un altro punto contribuisce a rafforzare il presidente assente: l’ambiguità dei motivi che giustificano la sua detenzione. La distinzione tra un Mubarak, nella rappresentazione dei rivoluzionari, unico colpevole di trenta anni di corruzione, dell’uccisione di manifestanti e altri inimmaginabili crimini, e un Morsi, che forse è stato aiutato da Hamas ad evadere dal carcere, contribuiscono a motivare i Fratelli musulmani a proseguire a oltranza nelle loro manifestazioni. E così apparivano ieri raggianti: consapevoli che l’assenza di Morsi farà guadagnare nuovi consensi alla Fratellanza più della sua presenza. E così «Ashton ha incontrato Morsi come il vero presidente egiziano», ha tuonato Essam El-Arian, medico, ideologo e leader del movimento.
Le critiche degli Stati Uniti
Infine, a 26 giorni dal golpe, sono arrivate le critiche dagli Stati Uniti. «La violenta stretta dei militari egiziani sui dimostranti è un passo indietro verso la democratizzazione del paese», ha detto il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney. Anche dagli Stati Uniti sono arrivate telefonate continue del segretario di Stato John Kerry e del segretario alla Difesa Chack Hagel con l’omologo egiziano Abdal Fattah Sisi per una soluzione negoziale della crisi. Parte della stampa negli Stati Uniti aveva criticato l’indecisione del presidente Obama nel prendere posizione contro il colpo di stato militare del 3 luglio scorso.
Tuttavia, che l’Alto commissario per la politica Estera dell’Unione europea Catherine Ashton abbia incontrato Morsi e si candidi a mediare tra le forze politiche egiziane ai manifestanti di Rabaa non sembra importare molto. E neppure le dichiarazioni contro le violenze e che confermano le accuse formulate dai giudici contro l’ex presidente, rilasciate dal vice presidente El Baradei.
File di tende costeggiano per chilometri via Nassr a Rabaa, a destra e sinistra della strada principale. «La polizia ci uccide perché sa che saremo sempre di più e teme che andremo a liberare Morsi con le nostre mani», ci dice Engi, giovane di 30 anni, direttore di una piccola azienda, venuto da Kafr el Sheykh per difendere il presidente che ha votato.
Twitter: @stradedellest