Con quello di ieri sono diventati quattro: quattro Sergio Marchionne in meno di dieci anni, un poker.
Il primo, quello del 2007, che indubbiamente salvò l’azienda dal collasso, dialogando con il sindacato e dicendo di avere nelle sue fabbriche “i migliori operai del mondo”.
Il secondo, il Marchionne di guerra con l’elmetto in testa che dichiarò guerra alla Fiom, celando le sue difficoltà con la cortina fumogena una guerra sindacale.
Il terzo, Marchionne “l’americano”: l’uomo che faceva a Detroit quello che non aveva fatto in Italia, accettando finanziamenti pubblici per risanare la Chrysler.
Il quarto Marchionne è quello ghandiano e stupefacente di ieri, il Marchionne che seppellisce (pare) l’ascia di guerra e annuncia a sorpresa di essere pronto a incontrare “il nemico” Maurizio Landini, per provare a fare la pace con la Fiom.
È evidente che tutto questo non accade a caso. Tra l’ultimatum draconiano del referendum sul Lingotto (“O votate si all’accordo, o me ne vado dall’Italia”) e questo sussulto di diplomazia affabile ci sono di mezzo una raffica di sentenze, ma soprattutto una, l’ultima. Quella, cioè, con cui la Corte Costituzionale ha interpretato l’articolo 19 dello statuto dei lavoratori dicendo una volta per tutte che la Fiat non può tenere i sindacalisti “non collaborativi” fuori dalla fabbrica, e negando ogni rappresentanza a coloro che non hanno firmato (come i metalmeccanici della Cgil) il suo contratto.
Certo, per completare il quadro, bisogna aggiungere al poker di questi diversi Marchionne, un quinto asso: è il Marchionne satirico di Maurizio Crozza, quello che accusava Landini di fare “gli scherzi”, e che rivelava al finto intervistatore una voglia matta di nascondere all’estero la sua italianità. C’era del vero anche in questo sentimento apolide, e in questa vocazione adimmaginare la nuova Fiat come una multinazionale che cresce affrancandosi con qualche senso di colpa dalla sua radice italiana. Eppure, malgrado tutti i cambi di rotta, il Marchionne di oggi iper-pragmatico che vuole chiudere la guerra, se andrà fino in fondo, potrebbe darci per una volta una lezione sorprendente.
Dentro il codice anglosassone (canadese, nel suo caso, ma pur sempre anglosassone), c’é l’idea che la guerra è spietata finché la devi fare. Ma anche l’idea che un minuto dopo che hai deposto le armi ti metti sul carro armato e tiri la cioccolata ai figli del tuo nemico di ieri. Sarebbe bello in questo paese, per una volta, applicare la pragmatica incoerenza del codice anglosassone, e archiviare la coerenza feroce della legge ancestrale della faida.