Non si può dire che non ci abbiano provato. Ma è ormai palese che così non si possa andare avanti. Il patetico balletto su Imu e Iva, con la costante minaccia del PdL a staccare la spina al governo. Poi l’affaire Kazakhstan, con un completo corto circuito informativo fra le istituzioni. E ancora i beceri insulti razzisti del vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, verso il ministro Cécile Kyenge. E, provando a pensare al prossimo autunno, le lotte interne al Pd per il congresso e la discussione sulla legge di bilancio. No. L’Italia non sembra farcela da sola. Non con un esecutivo come questo. Tanto vale alzare bandiera bianca e chiedere un aiuto esterno?
Questa è l’Italia che dovrebbe ripartire? Non proprio. Anzi, tutto il contrario. Grazie alla Banca centrale europea (Bce) e alle sue Outright monetary transaction (Omt) abbiamo evitato l’esplosione, ma non un declino che potrebbe fare ancora più male. Senza la paura dello spread, quella parola magica che nella mente di ogni italiano evoca lo spettro della Grecia e dell’Argentina, le riforme si sono arenate. Un piccolo slancio, minuscolo ma significativo, c’era stato non appena Mario Monti aveva varcato la soglia di Palazzo Chigi con le stesse aspettative che si riservano a un messia. Una volta finita la riforma delle pensioni e messa in cantiere quella del lavoro – le due priorità strutturali che chiedevano a gran voce gli investitori – tutto è finito nel tritacarne della politica. Nel frattempo, e su indicazione dell’Europa, fu iniziato un processo di consolidamento fiscale che non solo è stato deleterio perché orientato solo sul breve periodo, ma è stato anche parziale, dato che l’impressione delle banche d’affari, ma anche di buona parte delle istituzioni internazionali, è che si sarebbe potuto fare molto di più.
L’Italia ha di fronte delle sfide che un governo così debole non riesce ad affrontare. Da un lato il credit crunch bancario sta uccidendo molte imprese e non permette una ripartenza dell’economia. Le banche italiane sono appesantite dalle sofferenze e da strutture di costi che ricordano più quelle della Germania Est piuttosto che gli istituti di credito del resto dell’eurozona di oggi. Dall’altro ci sono le imprese che, in assenza di misure concrete da parte del governo, finiranno per portare i libri in tribunale in numero sempre maggiore. In mezzo ci sono le famiglie, che entro fine anno subiranno uno shock fiscale che ancora non si può quantificare ma che farà suonare il requiem per molti italiani che già oggi faticano ad arrivare alla fine del mese.
È impossibile cercare di risolvere questi problemi con il Pdl in subbuglio e un PD che (per ora) non ha un leader capace di porre fine ai tumulti interni capaci solo di destabilizzare il governo di cui fa parte. Invece che vivere alla giornata sperando di non ridurre quello strapuntino di potere guadagnato, bisognerebbe guardare al lungo termine, osservare le proiezioni della dinamica di Pil, spesa pubblica e debito. Il risultato potrebbe essere tanto spaventoso quanto sorprendente. E non si dica che Monti ha tagliato la spesa pubblica. Come analizzato dal Credit Suisse un mese fa la spesa in rapporto al Pil era al 49,9% nel 2011, al 50,6% l’anno successivo e per il 2013 toccherà quota 50,8 per cento. Cifre che fanno tremare i polsi. E che giustificano in toto il downgrade di Standard & Poor’s.
Cosa fare, quindi? Forse non aveva tutti i torti l’economista Luigi Zingales quando affermava, proprio lo scorso anno, che l’Italia dovrebbe chiedere un aiuto esterno, diretto e vincolante. Zingales faceva riferimento al fondo European financial stability facility (Efsf), ma ora ci sono altri due strumenti, il fondo European stability mechanism (Esm) e le Omt della Bce. Entrambi sono subordinati a condizionalità che, unite al Fiscal compact europeo, possono vincolare il Paese e proteggerlo dalle derive della politica italiana. Enrico Letta è una figura di sicuro rilievo, specie a livello internazionale. Ma è come in ostaggio di una coalizione tanto volatile quanto pericolosa per il futuro del Paese. Con un debito pubblico ormai proiettato verso i 2.100 miliardi di euro (2.075 miliardi è il dato relativo a maggio), un deficit che molto probabilmente sforerà la quota del 3% durante l’anno in corso, una produzione industriale che riporta il Paese indietro di vent’anni, una capacità di risparmio delle famiglie italiane che è meno della metà di quella del 1980 e un sistema bancario imbottito di sofferenze, bisogna decidere che cosa si vuol fare. Ma in fretta. La cristallizzazione dei mercati obbligazionari indotta dalla Bce non può durare in eterno e il governo Letta, nonostante i buoni propositi iniziali e l’ottimismo che ne era derivato, non sembra avere la forza per farcela.
Le opzioni sono due. O si torna alle urne, non prima però di aver modificato la legge elettorale per garantire una certa governabilità, o si chiede aiuto ai partner internazionali. Ma tornare al voto significherebbe rischiare di perdere altro tempo nell’adozione delle riforme strutturali su spesa pubblica, pubblica amministrazione, fisco e mercato del lavoro in grado di liberare il Paese dalle catene di interessi particolari che ha. Il tempo perduto potrebbe essere troppo. La seconda soluzione è, almeno sulla carta, appunto l’ipotesi Zingales: data l’oggettiva incapacità nella gestione delle criticità della classe politica italiana, tanto vale farsi commissariare. Specie perché il prossimo anno, secondo i calcoli di Morgan Stanley, il Tesoro italiano dovrà scendere sui mercati obbligazionari per 417 miliardi di euro, con una redemption di 378 miliardi. Peggio nel 2015: emissioni per 443 miliardi di euro, con redemption di 407 miliardi. Senza un governo stabile, o vincoli adeguati, come resistere all’incertezza degli investitori? Le Omt sono fatte proprio per questo: per calmierare i mercati finanziari, ridurre il rischio Paese e prendere tempo. Certo è paradossale paventare l’idea del vincolo esterno salvifico per un grande paese com’è in teoria l’Italia, ma almeno una sorveglianza esterna potrebbe spingere all’introduzione di quelle riforme di cui il Paese ha estremo bisogno. La nostra classe politica sembra capire solo il linguaggio del commissariamento. Bisogna però prima attendere due eventi previsti nei prossimi tre mesi: le elezioni tedesche e la sentenza della Corte costituzionale tedesca sulle Omt. Poi, se l’alternativa è continuare a discutere in modo inconcludente di spending review, di cartolarizzazioni (sic!) per aiutare le Pmi, di dismissioni immobiliari o, peggio, di somiglianze zoologiche di ministri della Repubblica, meglio chiedere aiuto. Paradossalmente, potrebbe essere il male minore.