A Trento, a pochi passi dal Castello del Buonconsiglio, simbolo della città, c’è una libreria Einaudi. Il titolare è Mauro Campadelli. Che si definisce, senza esitazione un liberista. «Credo in un sistema, in una società con poche barriere, o magari nessuna, e con mercati liberalizzati, aperti». Nato nel 1974, laurea in discipline economiche e sociali alla Bocconi, in passato anche ex elettore di Rifondazione comunista, come tanti lavoratori autonomi Campadelli è uno stacanovista: nel 2012 ha fatto appena due giorni di vacanza. «Non potrei mai assentarmi dalla libreria per un paio di settimane» dice, quasi come giustificazione per i suoi ritmi “cinesi”.
Oltre a essere un gran lavoratore, Campadelli è anche un uomo con le idee chiare. Pronto però a confrontarsi con tutti, inclusi i clienti della sua libreria. Il giorno dell’intervista è intento a discutere con uno studente dell’Aquila. Che apprezza la chiacchierata, e promette di tornare. «Amo parlare con le persone, quasi tenere comizi, anche se forse qualche volta esagero un po’» confessa «E se mi si chiede di parlare di economia piuttosto che di politica italiana, rischio di non fermarmi più». Qui parla del suo mestiere e delle sue idee. Cercando di capire cosa significa vendere libri oggi. E perché si definisce un libraio liberista (e liberale).
Mauro Campadelli, titolare della libreria Einaudi di Trento
Dottor Campadelli, lei ha studiato alla Bocconi. Cosa ha fatto dopo la laurea?
Alcune mie caratteristiche personali non mi fanno integrare bene nei lavori di gruppo. Non amo dipendere dalle decisioni altrui, quindi ho deciso di fare il piccolo, piccolissimo imprenditore: in realtà il commerciante. Immaginavo che questa attività, il mondo dei libri, mi avrebbe dato la possibilità di sviluppare certe mie passioni, come quella di parlare con le persone, discutere e fare impresa. E mio padre era già in questo mondo.
Quindi lei è figlio d’arte. Questa libreria era di suo padre?
Mio padre vendeva libri, ha fatto l’agente dell’Einaudi per qualche anno. Così dal 2000, anziché partire per il servizio militare come sarebbe dovuto accadere, ho aperto un’attività, la mia libreria. Siamo agenti della casa editrice Einaudi, appunto. In Italia ci sono più o meno una sessantina di punti vendita e agenzie della casa editrice, sostanzialmente delle librerie. Tutti noi abbiamo un rapporto diretto, privilegiato, con la casa madre.
Le confesso: amo i libri, e un po’ invidio questo suo mestiere.
Guardi, bisogna togliersi dalla testa l’idea che lavorando in una libreria si possano leggere chissà quanti libri, che si passino le ore sfogliando pagine, approfondendo. In realtà capita, anche giornalmente, di vedersi passare davanti agli occhi centinaia di libri vecchi e nuovi, e innumerevoli volte si è presi dal desiderio di leggere questo o quello. Sistemando gli scaffali realizzo di non aver finito il tal romanzo di Dostoevskji, di non aver mai letto Maupassant. A casa ho sempre quattro, cinque libri nuovi. Ma in realtà non si riesce a leggere quanto si vorrebbe perché il nostro è un lavoro complicato. I titoli sono tantissimi, ci sono centinaia di novità tutte le settimane, decine di rappresentanti e fornitori con cui parlare, decine di differenti contabilità, e ogni tanto si cerca anche di vendere qualche libro seguendo il cliente. In poche parole, non riesco a leggere tutti i libri che vorrei.
Quanti libri legge al mese?
Dipende un po’ dai periodi, ma posso leggerne sette, otto.
Non sono pochi. Vuol dire circa due a settimana.
In realtà cerco di leggere anche in modo professionale. Alcune volte di un libro leggo solo delle parti, saltandone altre, oppure lo leggo tutto molto velocemente. Cerco di capire che tipo di libro sia, quindi la mia modalità di lettura non è forse adatta a tutti. Tante volte, giuro, mi interrogo al pomeriggio su cosa stessi leggendo la mattina.
Si può vivere facendo il suo mestiere?
Nessun libraio della storia è mai diventato ricco. Però si può campare con questo mestiere, sì. Significa faticare molto, lavorare. Io, negli ultimi anni, ho lavorato dai 340 ai 350 giorni l’anno. Che sono tanti, perché significa fare, se va bene, 4 o 5 giorni di ferie l’anno. Se va bene. Significa lavorare tutti i sabati, 10 o 15 domeniche l’anno.
Quante vacanze ha fatto nel 2012?
Due giorni di vacanza, un venerdì e un sabato. E l’anno prima quattro o cinque giorni. Purtroppo, o per fortuna, sono pronto ai ritmi cinesi.
O giapponesi: il suo è davvero super-lavoro.
Io, sinceramente, non mi sento stanco da quel punto di vista. Sono contento lo stesso, vivo bene lo stesso. Però è vero, l’impegno è continuo, costante. Non potrei mai assentarmi dalla libreria per un paio di settimane. D’altra parte la situazione del mercato è difficile, le librerie come la nostra sono comunque in difficoltà perché c’è stato un cambiamento del mercato enorme in questi ultimi anni. Io la chiamo “supermercatizzazione”: gli editori hanno deciso di puntare sulla grande distribuzione, che ormai si è mangiata la fetta più importante del mercato editoriale, ossia la vendita dei best-seller. Quest’ultima era il cash per ogni libreria, e le consentiva di investire su tutto il resto. Ora sono i supermercati a vendere i best-seller, e noi dobbiamo cercare di resistere. In economia si chiama selezione avversa: noi librai ci prendiamo i clienti “peggiori”, anche se in realtà sono quelli migliori, dal punto di vista culturale. I più brillanti, di gran lunga. Abbiamo invece perso i clienti di best-seller, quelli che facevano cassetta.
Lei si definisce “librario liberista”. Perché è liberista?
Sono liberale e liberista. Perché credo in un sistema, in una società con poche barriere, o magari nessuna, e con mercati liberalizzati, aperti, dove l’intermediazione dello Stato, delle pubbliche amministrazioni, della burocrazia sia la minore possibile. Credo che un sistema del genere possa offrire molte più opportunità di crescita per tutti, dal momento che premia i più bravi, e quindi funziona per merito. Questo non significa che io auspichi la ritirata dello Stato, dell’ente pubblico, da settori quali la sanità o la scuola. Però ci sono tanti altri ambiti dove l’ente pubblico non dovrebbe essere presente. Penso alle decine e decine di società municipalizzate in tutta Italia che distorcono il funzionamento dei mercati, togliendo anche opportunità a coloro che non sono amici, che non fanno parte di una data cerchia.
Però lei un tempo era di sinistra, vero?
Quando qualcuno mi dice “tu non sei di sinistra”, io ho qualche perplessità. Può darsi che per certe cose non sia di sinistra, però credo anche che queste categorie, destra e sinistra, vadano rinnovate. E, come ho già detto, abbiamo visto i governi di centrosinistra lavorare. Governi con partiti comunisti all’interno. Io negli anni Novanta ho votato più volte anche Rifondazione comunista, non mi vergogno certo di dirlo, ma le condizioni dei più deboli non sono certo migliorate. Sono un pragmatico, e adesso le mie riflessioni mi hanno portato a questa scelta. Ritengo però di essere ancora di sinistra.