LONDRA – Prima di internet e dei social network, la rete neurale di informazioni della City viaggiava attraverso i portieri ed i corrieri, figure istituzionali nella distribuzione di pettegolezzi, notizie riservate e maldicenze varie. Le loro scorribande con pacchi riservati e all’ufficio postale per lavoro erano il meccanismo migliore per avere aggiornamento sugli affari delle banche avversarie. La loquela di questa casta di cerberi bancari, nei loro desk in marmo o mogano negli ingressi dei palazzi londinesi distribuiva nella City le prime avvisaglie di crisi, dai racconti di macchine nere che avevano portato via un banchiere od un avvocato e le sue scatole ammassate nel magazzino. I fallimenti societari venivano anticipati dalle mance al pony express ridotte improvvisamente, le lettere dei creditori e le luci accese fino a tarda notte. Ogni tanto un cadavere di un “padrone del mondo” suicida che veniva trovato dal ragazzo del turno di notte.
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Tutti i portieri della City che ho conosciuto erano londinesi dell’East End, con un accento rotondo ed ironico. Le sere di inverno, quando indugiavamo nell’ingresso prima di affrontare vento e pioggia, venivamo educati, giovani banchieri d’assalto e baionetta, al Cockney Rhyming, quella lingua misteriosa dove ogni parola assume un senso nuovo, a seconda del contesto e della connessione mentale con il concetto con cui fa rima. Quando un portiere nato e cresciuto a Bow ti diceva di andare a Barclays, non ti diceva di andare a prendere dei soldi in banca, per capirsi.. Con il Cockney imparavamo il linguaggio metafisico della finanza, quel riferirsi ad attività, intendendo con questo termine delle passività, o con Equity una delle componenti più sperequative della struttura finanziaria della nostra società. «Debt is for everyone, Equity for the one every tot».
Sono passati tanti anni, molti dei portieri sono andati in pensione, sostituiti da tornelli e da porte elettroniche sempre più raffinate, che appena entri nello stabile ti riconoscono e mandano un input alla macchina del caffè dell’ufficio (il quale fa schifo lo stesso). Non esistono algoritmi talmente efficienti da sostituirsi alla mente del barista italiano, un’altra figura componente del network informale della City. O perlomeno lo era un tempo, quando gli unici posti per mangiare erano questi delicatessen italoportospagnolgreci, con le cotolette dalla panatura fosforescente ed insalate di maionese, patate e filamenti di insalata marcilenta. Per chi non voleva rischiare il Coronation Chicken.
La City è cambiata, anche in questo. Locali monotematici, dove ti servono solo falafel o pizzoccheri malesiani, stanno apparendo ovunque, un toccasana per la varietà alimentare, ma sono quelli che un vecchio geronte della finanza una volta definì come “troppa scelta che non induce all’efficienza”. Come se la serie di cucine regionali, tacos bar, tapas cafes, fossero una distrazione alla generazione di profitto. It’s a Defalafeult World, Baby.
Quando il giornalista di turno mi chiede come sia cambiata la City, sono molte altre le cose che sono diventate segnali di un mondo diverso che bussa alle porte. Non solo portieri e segretarie dell’Essex. Dopo il Big Bang Thatcheriano, sono scomparsi pian piano i gessati e le bombette e sono sbarcati i Marinella Boys, i francesi cuciti dentro gli abiti e gli americani enormi con questi abiti quadrati da giocatori di football. L’innovazione è arrivata, facendo scomparire i fax, la carta, e creando ventricoli di dati, informazioni e piani interi di server che mangiano, digeriscono e sputano valutazioni, prezzi e menù di ristoranti per le feste di Natale.
Blogger più o meno anonimi e riviste semiserie online come hereisthecity.com hanno sostituito portieri e baristi, creando una cultura dell’ironia e del sarcasmo un tempo abbondante nella City solo sotto coperta, dietro le porte chiuse, nei racconti alcolici delle serate con i colleghi. Le chat interne aziendali includono emoticons con cuoricini, baci, cani e gatti e Linkedin è un’arma incredibile nelle mani dei cacciatori di teste. Guai a sbagliare il profilo, si viene inondati di richieste di lavoro, incontri per presentare l’ennesimo software miracoloso o la soluzione alle frodi fiscali. È come se il Medicine Show dei venditori di miracoli, prima relegato a West End e East End, ora avesse trovato una via nei confini sempre più sfumati della City.
Qualcuno ha definito Londra la Disappearing City, credo Iain Sinclair, uno dei più grandi narratori di questa città perpetua e dinamica, delle sue psicogeografie e dei suoi monumenti minori. Tutto passa sotto, come i fiumi, come il Fleet, inscatolato sotto Holborn. Tutto continua ad essere a strati, la società, la dinamicità delle ambizioni e l’architettura che unisce resti romani, alle chiese di Wren, fino ai miracoli ondulati di metalli e materiali modernissimi della svolta Dubaiana del cuore della City. Improvvisamente sono nati moltissimi locali con terrazze da cui ammirare lo skyline, il panorama della Capitale Mutante del mondo. Effettivamente, la varietà delle architetture merita, soprattutto in quelle giornate di venti atlantici, in cui le nuvole sembrano batuffoli e capelli, cravatte e gonne sono accarezzati dal refolo.
La vista dall’alto è una grandissima novità di questi anni, e, forse, racconta di un desiderio di chiarezza, di capire meglio la “big picture” di questi anni di crisi e speranza talmente intorcinate da essere indistricabili. Ci sono terrazze sui pub dei giovani analisti, dove si mescolano ai bop kids dei media, le designers dagli abiti multicolori e gli studenti accampati nell’intorno, come ci sono i ristoranti e gli champagne bar appesi sulla cima delle torri, del gerkin, di Tower 42. E lil neo-esclusivo Sushi Samba in cima a Heron Tower. Tutti guardano il cielo, l’unica cosa che nessuno può comperare, lottizzare e sviluppare in appartamenti.
Londra, come il cielo inglese, ha ripreso a muoversi, a camminare, nella sua solita maniera, dai tempi delle grandi pestilenze, dell’Incendio, del Blitz, e degli attentati dell’Ira, delle crisi politiche e sociali degli anni Ottanta: rimboccandosi le maniche, riducendo le aspettative ma non il desiderio di opportunità. Dalle sale riunioni delle banche sono scomparsi i biscotti e le bottiglie di San Pellegrino, ma sono aumentati vertigionosamente finanziamenti e regalie a società di beneficenza. La finanza sta scoprendo l’etica, l’ecosostenibilità, non tanto come investimento alternativo per un ritorno finanziario, ma come necessità di ritrovare un luogo nel mondo.
Cambiano anche le persone, le razze, molte più donne, molti più arabi, cinesi, brasiliani. E sempre più italiani, anche se sono tornati, nella distribuzione dei lavori, nella parte medio bassa. Meno banchieri ed avvocati e più commessi, segretarie, gestori di locali e lavavetri. Come una coppia di ragazzi napoletani che ho incontrato una mattina, dalle parti di Clerkenwell. Stavano lavando le vetrate di un ufficio di un hedge fund. Uno dei due guarda l’altro ed esclama “Mario, ma acchi sti guappi che ci fanno?” E Mario risponde “Contano è suold’ ò mattino, ci giuocano tutt’è jurn e contano è suold’ alla sera e la differenza, se positiva, li rende felici” “E se perdono?” “Finiscono a pulire i vetri…da dove principiamo noi”. “E con noi stanno felici ‘o stesso, sti siuri”.
Mentre i due ragazzi passano, una signora in un abito impeccabile e con dei tacchi da 12 centimetri si ferma, si siede su un gradino e si mette le scarpe da ginnastica, prima di ripartire ancora più spedita. Guardo uno dei due ragazzi e gli dico “Cambio gomme…dodici secondi netti”. Un po’ come Londra, che impara continuamente a sfruttare la modernità a suo vantaggio. Pur rimanendo ieratica e serenamente stronza fino in fondo.
Twitter: @CosmayDamiano