«Sciacalli», s’arrabbia Matteo Orfini prendendosela con i suoi colleghi di partito che accusano i lealisti Pd al governo di essere succubi di Berlusconi e dei suoi interessi giudiziari. Orfini ha ragione: si sta al governo o all’opposizione tutti insieme, non ci si può smarcare così dalla linea (votata) di sostegno al premier Letta e allo strano governo Pd-Pdl, magari per lucrare qualche facile consenso sui social network, per tenere il piede in due scarpe oppure, semplicemente, per paura nei confronti di una base inferocita per la camicia di forza in cui sono costretti: al governo con l’odiato Caimano. Più si avvicina il d-day del 30 luglio, il giorno del giudizio sul Cavaliere, più militanti e corpaccione del partito fibrillano contro vertici e governativi a loro dire poltronari e conniventi. Alcuni circoli web ieri lo hanno urlato a tutto web: «proviamo vergogna per voi!». E via con i processi sommari: «E’ ora di finirla con i compromessi. State realizzando i desideri di Silvio!».
Al netto delle sorti del governo Letta e dei calcoli di singoli parlamentari che usano il tema Berlusconi per posizionarsi in vista del congresso Pd, i miasmi del principale partito della sinistra italiana, lo spaesamento di base e dirigenti, affondano in tempi antichi e sono il portato di un nondetto gigantesco sulla figura di Silvio Berlusconi. Per anni ai militanti è stato raccontato che il Cavaliere incarna il male assoluto, un personaggio da buttare fuori dalla vita politica perchè «unfit», il capo dei corruttori, inquinatore dei costumi e della vita pubblica italiana. Giudizio morali prima ancora che politici. L’ultimo episodio solo qualche mese fa, dopo il voto: mai al governo con il Pdl e Berlusconi, disse Bersani e compagnia, salvo poi dover tornare a Canossa qualche settimana dopo.
E’ questo il vizio ultimo, alla base della rivolta di queste ore: Berlusconi non può diventare potabile a targhe alterne, la gente non capisce. O lo è sempre, oppure è un interlocutore come gli altri e come tale in politica va trattato, senza ostracismi o puzza sotto il naso. Questa coerenza di fondo però la classe dirigente del Pd e prima ancora del Pds-Ds non ce l’ha mai avuta. Per anni ha lisciato il pelo al pregiudizio antropologico anti berlusconiano che alimentava e alimenta ampi pezzi di base elettorale e costituency intellettuale, non ha mai fatto battaglia culturale per far capire che il Cavaliere va battuto anzitutto politicamente, senza illudersi che sia la scorciatoia giudiziaria a portarselo via. Arrivando a tirare in ballo supposti valori “non negoziabili” e di alterità rispetto al mondo del berlusconismo alle vongole. E adesso cosa pretendono, dirigenti e parlamentari: che i militanti, abituati ad abbeverarsi in questo brodo di cultura, accettino di buon grado l’accordone con il Caimano? Era ovvio finisse così. Chi semina vento, chi non ha il coraggio di mettere la politica e le sue regole davanti al moralismo, alla fine raccoglie tempesta…