«A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca» diceva uno come Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio della Democrazia Cristiana, profondo conoscitore dei corridoi sia del ministero degli Interni, che dei servizi segreti italiani. E gli elementi per pensar male, nel caso Shalabayeva, non mancano. Perché l’aspetto più inquietante di tutta questa vicenda è il totale vuoto di potere a livello di polizia e sistema di sicurezza interno italiano durante il quale si svolge l’incursione nella villa dove erano presenti la donna e la figlia, il trasferimento nel Cie e l’espulsione dall’Italia.
È evidente la mancanza di coordinamento e assunzione di responsabilità tra i vari dipartimenti, così come la celerità con cui è avvenuta l’espulsione della moglie di Ablyazov. Sopratutto risulta difficile da comprendere come, a livello di servizi segreti, nessuno sapesse che da un anno a questa parte in una villa a una manciata di chilometri da Roma vivesse la moglie di un rifugiato politico kazako.
Copasir e Cisr
Per più di due mesi resta vacante anche la presidenza del Copasir, occupata nella precedente legislatura da Massimo D’Alema e dove solo il 6 giugno scorso si è insediato il leghista Giacomo Stucchi. Ma la nomina è stata oggetto di numerose polemiche con Movimento 5 stelle e Sinistra e Libertà che ambivano entrambe a ricoprire quell’incarico. Si aggiunga pure che il 28 aprile, data in cui si insedia il governo guidato da Enrico Letta, Gianni De Gennaro si dimette da sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, mentre Marco Minniti arriverà a sostituirlo solo il 17 maggio a ridosso del blitz della Digos nella villa di Casalpalocco. Sarà un caso ma persino il Cisr (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica) – organismo che insieme al Copasir gestisce le informazioni per la sicurezza dentro e fuori il nostro Paese – è rimasto a secco di comunicazioni ufficiali tra il marzo e il giugno del 2013: mancano i mesi di aprile e maggio sulla pagina ufficiale. Del resto, l’istantanea dello stato delle nostre Forze dell’Ordine e degli apparati di sicurezza dell’Italia in quel periodo è a dir poco desolante. Terreno fertile per scorribande di nazioni estere legate all’Italia da interessi economici?
Polizia di Stato
Dopo la morte del capo della Polizia Antonio Manganelli, il 20 marzo del 2013, il posto di guida del corpo è rimasto vacante per più di due mesi. Alessandro Pansa, infatti – che è stato incaricato di procedere all’indagine interna per l’accertamento delle responsabilità su quanto avvenuto nei tre giorni a cavallo tra il 28 e il 31 maggio scorso – viene nominato solo il 31 maggio e raccoglie il testimone di Alessandro Marangoni, vice-capo vicario con funzioni operative fino a quel momento, conferitegli dopo la morte di Manganelli.
L’attuale Capo della Polizia Pansa arriva dunque a cose fatte, e non è un caso che il nome di Marangoni sia dato come uno di quelli che potrebbero saltare in seguito all’indagine sulla gestione della vicenda Shalabayeva. Ma la vacatio inizia prima: già a fine febbraio l’ex capo Manganelli entra in ospedale colto da un ictus. Il ministro dell’Interno di un dimissionario governo Monti è ancora Anna Maria Cancellieri, che non procede all’immediata nomina dichiarando l’8 aprile: «Penso che il Capo della Polizia debba essere un uomo di fiducia del presidente del Consiglio in carica».
Non c’è consenso sul nome e la decisione si allontana. A fine maggio arriva il pasticcio kazako che sta mettendo in bilico le poltrone dello stesso Marangoni, attuale vice di Pansa, che il 28 maggio avrebbe predisposto l’ok al blitz della Digos, quella del capo di gabinetto del Ministero dell’Interno dal 2008 Giuseppe Procaccini (colui il quale per primo riceve l’ambasciatore kazako in Italia Andrian Yelemessov, che sollecita il blitz per arrestare Ablyazov: il magnate-dissidente però non si trova nella villa di Casal Palocco come invece indicato dalla società agenzia privata Syra. Yelemessov contatta Procaccini dicendo di non essere riuscito a rintracciare Alfano), del capo della segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza Alessandro Valeri e Il vicecapo con delega alla Criminalpol, Francesco Cirillo, responsabile della gestione delle informazioni Interpol trasmesse alla squadra mobile della Questura di Roma.
Per «ragioni di riservatezza», nessuno commenta la vicenda e, come riportano alcune fonti a La Repubblica, sarebbe stato Valeri che «ritiene di non dover informare il ministro, né prima né dopo della visita e della richiesta dei diplomatici kazaki», che dopo essersi presentati in Questura salgono anche ai piani alti del Viminale. Intanto Alma Shalabayeva la mattina del 31 maggio si imbarca sul volo privato che la riporterà in Kazakistan. Poche ore dopo arriva la nomina di Alessandro Pansa ai vertici della Polizia di Stato. Un vuoto di potere che forse è stato decisivo ai fini della buona condotta, anche sul piano sostanziale, dell’intera operazione. Un momento «delicato», lo definiscono fonti de Linkiesta, che «potrebbe aver determinato uno scarso coordinamento», come potrebbe anche aver portato «a compimento di un grossolano errore nella gestione della vicenda».
Questura e Prefettura di Roma
Altri nomi «di spessore» che sarebbero coinvolti nella vicenda sono quelli di Maurizio Improta, capo dell’Ufficio immigrazione della Questura di Roma: è sul suo tavolo che il 30 maggio scorso arriva la pratica per l’espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia Alua. Fa capolino anche il nome di uno dei papabili alla corsa al vertice della Polizia di Stato: è quello del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, appoggiato nei giorni caldi del totonomi proprio da gran parte della compagine Pdl (Alfano compreso), e per cui si sarebbe speso in prima persona addirittura Silvio Berlusconi. È lui che firma materialmente il provvedimento per l’espulsione delle kazake. Con loro l’indagine interna di Pansa potrebbe arrivare anche al questore di Roma Fulvio della Rocca, che ha incontrato i diplomatici kazaki prima che si desse il via al blitz. Con lui c’è anche Renato Cortese, capo della squadra mobile di Roma, che ha incontrato i rappresentanti kazaki in Italia)
Alfano in Aula
Nel frattempo giovedì Alfano riferirà alle Camere sulla vicenda, mentre il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo chiede le dimissioni del ministro berlusconiano: «Il Viminale non poteva non sapere e, se non sapeva, significa che nel nostro Paese c’è una polizia parallela che agisce a propria discrezione e all’insaputa dei vertici soprattutto considerando che la notizia era online fin dal 5 Giugno scorso».