Turisti da spremere, esplodono le tasse di soggiorno

Il gettito atteso salirà a 270 milioni

L’imposta di soggiorno sui pernottamenti alberghieri? I comuni la vedono come un’occasione d’oro per rimpinguare le proprie casse. Ma per i 250 milioni di turisti che ogni anno alloggiano nelle strutture ricettive italiane è una spesa in più che pesa sul budget delle vacanze. Nel mezzo ci sono gli albergatori, che non vedono certo di buon occhio una tassa che rischia di incidere negativamente su un comparto già colpito dalla crisi.

«A inizio luglio, più di 470 comuni in Italia hanno applicato l’imposta di soggiorno e un’altra quarantina la applicherà o ne sta valutando l’applicazione nei prossimi mesi. Sono già cento in più rispetto ai 377 di fine 2013. Senza contare i 22 comuni collocati sulle isole minori italiane che applicano invece l’imposta di sbarco», commenta Bernabò Bocca, presidente dell’associazione nazionale di categoria Federalberghi. In pratica, il 45% di tutti i posti i letto italiani è soggetto alla tassa di soggiorno. Quasi i due terzi dei comuni che applicano la tassa sono concentrati in Piemonte, Valle d’Aosta, Toscana e Lombardia. Solo due regioni, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto-Adige, sono del tutto prive di imposta di soggiorno.

Nel 2013, il gettito dell’imposta potrebbe arrivare a quasi 270 milioni di euro, in crescita del 50% rispetto ai 175 milioni dell’anno passato. L’importo equivale a un incasso medio di 550mila euro per ogni comune: il 10-11% del totale delle imposte a bilancio nei comuni più piccoli, il 3% circa a Milano e a Roma.

Troppo presto, però, per tracciare un bilancio circa l’eventuale impatto della tassa sul turismo in Italia, anche perchè è difficile separare l’effetto fiscale dal normale decorso della crisi. Quel che è certo è che, soltanto nel 2012, il numero di pernottamenti in Italia si è ridotto del 2,5%, con una perdita di 7 milioni di presenze e di 3 miliardi di euro di fatturato.

«L’imposta di soggiorno è una tassa all’italiana, un’arlecchinata fantasiosa che è difficile da spiegare ai turisti, soprattutto se stranieri, e che andrebbe senz’altro abolita – Bocca ribadisce così a Linkiesta la posizione di Federalberghi – ma al tempo stesso bisognerebbe restituire al settore una parte del gettito Iva derivante dall’indotto, da tutte le attività produttive che traggono benefici indiretti dalle ricadute dell’economia turistica italiana».

La libertà d’azione di ogni comune nel fissare norme e parametri della tassa è effettivamente molto ampia. L’imposta si applica per ogni turista e per ogni notte di permanenza, e aumenta in proporzione alle stelle della struttura ricettiva. Il carico medio per ogni cliente oscilla dai 2,90 euro a Venezia, ai 2,70 euro di Firenze e Milano sino ai 2 euro di Roma. Anche altri limiti e caratteristiche variano a macchia di leopardo su tutto il territorio, senza un criterio omogeneo: ad esempio, il 7% dei comuni non prevede alcuna esenzione per i giovani; in un terzo dei comuni l’imposta è esclusa solo per gli under-10; un comune su cinque garantisce l’esenzione per gli under-11 mentre nel 7% dei comuni nessun minorenne paga la tassa. Allo stesso modo, il 70% dei comuni prevede una cessazione dell’imposta dopo un certo periodo di permanenza, ma il numero di notti varia di caso in caso.

Un riscontro negativo sulla tassa di soggiorno arriva dagli operatori sul territorio. Francesco Bechi, proprietario dell’hotel Tornabuoni Beacci di Firenze, commenta: «Ancora oggi ci sono molti clienti, soprattutto italiani, che protestano e chiedono di non pagare la tassa di soggiorno. A Firenze, inoltre, l’imposta è stata introdotta senza tenere conto delle tempistiche dei contratti in essere tra le strutture ricettive e i grandi tour operator. In pratica, è cambiata una componente dei costi quando i prezzi per l’anno successivo erano già stati contrattualizzati. La presenza o meno dell’imposta, inoltre, orienta le scelte dei turisti verso i comuni con meno tasse o, peggio, verso chi opera in nero».

Stefano Gabbani, proprietario dell’hotel Spring House di Roma, evidenzia invece le ricadute amministrative per gli alberghi: «Bisogna adeguare i software gestionali per includere la tassa, e arrivare alla determinazione dell’importo da pagare. È un fardello che grava sull’operatività degli hotel». Secondo Gabbani, inoltre, «l’imposta, moltiplicata per il numero di notti e di stelle e di posti letto, alla fine incide notevolmente sui prezzi degli alberghi, soprattutto in bassa stagione. E fa diminuire la disponibilità di spesa dei turisti». Il proprietario conclude rilevando l’assenza di ricadute positive per il territorio: «A Roma noi albergatori abbiamo accettato la tassa perchè si prevedeva che il 5% del gettito ritornasse agli operatori sotto forma di riqualificazione urbana, a vantaggio del turismo. Di fatto, al momento questo ritorno non c’è stato».