RIMINI – Dai giovani alle imprese, passando per sostegno al reddito e pensioni d’oro. Anche il ministro del lavoro Enrico Giovannini, prima di ricominciare la stagione politica, si concede una tappa al Meeting di Rimini. Con Linkiesta fa il punto sulla road map governativa e sulle sfide che lo attendono al giro di boa di settembre. Un punto è chiaro: rifuggire la logica delle controriforme ogni anno «perchè la stabilità del mercato del lavoro dipende anche dalla stabilità della legislazione». E da Rimini lancia la sfida ai Cinque Stelle: «Ragioniamo sulla creazione di un sistema di reddito mininimo d’inserimento, una strada migliore rispetto al reddito di cittadinanza».
Quello delle disuguaglianze è un tema a lei caro sin dai tempi dell’Istat. Negli ultimi giorni sono suonati più campanelli. Il primo è del Financial Times: «In America la quota di reddito che appartiene all’1% più ricco della popolazione è raddoppiata dagli anni 70 ad oggi e si attesta attorno al 20%». Il secondo è di Unioncamere: «l’occupazione giovanile continuerà a calare nel 2013». Dato per assodato che quello delle disuguaglianze non è più un tema solo anglosassone, come ridurre la forbice anche in Italia?
Nel caso delle disuguaglianze infragenerazionali la crisi ha aumentato la condizione di povertà: abbiamo gli indicatori della povertà assoluta al massimo storico. Il nostro decreto lavoro interviene in questa direzione estendendo una sperimentazione che era orientata solo a 50.000 poveri estremi nelle grandi città a altre 170.000 persone nel Mezzogiorno. È un progetto di reddito di inclusione, non una semplice social card: infatti è condizionato dall’attivazione sul mercato del lavoro, dal mandare i figli a scuola, dalla partecipazione alle attività sociali. È un programma per l’inclusione sociale. Se andrà bene ragioneremo sulla possibilità di creare un sistema di reddito minimo di inclusione e inserimento, che sanerà uno dei ritardi storici dell’Italia che, insieme alla Grecia, è l’unico paese a non avere uno strumento del genere.
E nel caso delle disuguaglianze intergenerazionali?
Un’economia che non cresce non offre sufficienti posti di lavoro, ma non solo. Non genera nemmeno risorse per pagare le pensioni di tutti. In questo contesto il must è la crescita economica sostenibile e inclusiva per riequilibrare uno squilibrio così forte.
Riallacciandoci alle sue parole sul sostegno al reddito generalizzato, che ne pensa del piano del Movimento 5 Stelle per il reddito di cittadinanza?
Il programma di inclusione sociale in cui c’è un reddito associato ad altre attività è una strada migliore del reddito di cittadinanza. Forme come quella proposta dal M5s possono spingere ad una riduzione dell’offerta di lavoro. Già in Italia lavorano relativamente poche persone, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una riduzione dell’offerta di lavoro. Servono progetti che attivino le persone, magari con la riforma dei servizi all’impiego e una struttura pubblica che orienti maggiormente a trovare lavoro. Rispetto allo slogan del reddito di cittadinanza, che è generale, per tutti e senza particolari condizioni, preferisco strumenti come quello da me citato e proprosto anche dalle Acli e dalla Caritas. Questi sono progetti meno costosi e più realistici del reddito di cittadinanza.
Passando al mondo delle pmi, lei lamenta il fatto che «in molti settori le nostre imprese sono troppo piccole per essere competitive». Ma l’ossatura imprenditoriale italiana è quasi esclusivamente strutturata in questo modo. Come potete intervenire per incentivare produttività, innovazione e occupazione?
In primo luogo interviene la crisi, che ha messo in difficoltà una serie di imprese offrendo nuove opportunità ad altre imprese per crescere. Accanto a questo abbiamo tre questioni fondamentali: il primo è il credito. Anche chi vuole espandersi ha il credit crunch che blocca gli sviluppi degli investimenti, per tale motivo la realizzazione del fondo di garanzia del credito per le pmi è uno strumento per aiutare le imprese a investire. Secondo aspetto: la necessità di creare contratti di rete orientati esportazioni e collaborazioni tra piccole e medie imprese per aiutarle ad andare all’estero. Il terzo aspetto mira, attraverso il decreto lavoro, a dare incentivi all’assunzione dei giovani che magari hanno capacità manageriali innovative che l’imprenditore non possiede, perché ha una certa età o non ha investito. Allora l’interesse, dimostrato attraverso un’indagine di Unioncamere su oltre 180.000 pmi che vogliono utilizzare incentivi per assumere i giovani, può essere un’opportunità per cambiare atteggiamento anche in termini di assetti proprietari e quindi in termini di collaborazione con altri soggetti.
Dalle pmi ai distretti industriali. Quello dell’automotive e dell’industria del bianco sono due bacini in crisi, con notevoli ricadute occupazionali. Quanta produzione, realisticamente, può rimanere in Italia?
Il fatto che la domanda interna sia crollata in alcune aree settoriali è un fatto congiunturale, ma anche un possibile riorientamento delle scelte delle persone. Per questo è importante avere prodotti all’altezza, pensiamo all’auto elettrica. Distinguiamo tra gli incentivi ecobonus, che possono contribuire a rilanciare il settore degli elettrodomestici, da un settore maturo come quello dell’automobile che pure ha delle potenzialità di innovazione forte. Certo, il fatto che si parli poco di politica industriale è un problema, d’altra parte non possiamo avere incentivazioni troppo settoriali perché ciò andrebbe contro le regole europee. Comunque il ministro Zanonato ha annunciato un tavolo di discussione automotive a settembre con Fiat e altri per capire come si può aiutare il settore.
I dati dell’impatto della riforma del lavoro Fornero non sono reperibili facilmente. Voi come ministero avete un sistema di monitoraggio?
Abbiamo istituito un comitato scientifico proprio perché l’articolo 1 della legge prevedeva un monitoraggio continuo. Il ministro Fornero aveva avviato alcuni aspetti, noi li abbiamo rafforzati per avere una sistematicità maggiore. Tra settembre e ottobre usciranno ulteriori dati rispetto a quelli che l’Isfol ha diffuso per il monitoraggio dei contratti, da cui si nota che l’effetto della crisi e l’effetto della riforma sono ancora difficili da distinguere. Sarebbe scorretto dire che è stata la riforma a determinare una serie di effetti macro, mentre è evidente che la riforma ha determinato un riorientamento verso la flessibilità buona.
Cosa verrà modificato della riforma Fornero?
Lo abbiamo già fatto. Con il decreto lavoro abbiamo operato degli aggiustamenti che mi pare vadano nella giusta direzione. D’altronde le imprese ci mettono del tempo per adeguarsi ad una riforma così complessa come quella dell’anno scorso. Sarebbe assolutamente sbagliato fare controriforme ogni anno perché la stabilità del mercato del lavoro dipende anche dalla stabilità della legislazione, cosicchè le imprese possano adattarsi ai nuovi strumenti.
Altro tema su cui lei ha annunciato cambiamenti è quello delle pensioni d’oro. Come la mettiamo con l’ostacolo costituzionale dei diritti acquisiti?
Lo strumento dei diritti acquisiti bocciato dalla Consulta è un altro problema e riguardava l’omogeneità di trattamento tra redditi pensionistici e redditi non pensionistici. Proprio perché la materia è complessa, piena di giurisprudenza, stiamo valutando soluzioni per avere un provvedimento che sia inattaccabile dal punto di vista costituzionale e da quello dell’equità. Stiamo studiando la questione proprio in questi giorni.
Twitter: @MarcoFattorini