LOCARNO – Che ai ricconi milanesi piaccia spassarsela con le minorenni ci è abbastanza noto. Occorre qui ricordarlo solo perché è intorno a questo spunto che viene costruito il film “La variabile umana”, opera prima di finzione del documentarista Bruno Oliviero, presentata al Festival di Locarno nella sezione Piazza Grande. Un film di genere, un giallo che sfonda la barriera dell’inchiesta poliziesca per entrare nella vita familiare dell’ispettore interpretato da Silvio Orlando, tipico “pover’omm” vedovo e con figlia esuberante a carico. Il regista si è a lungo dedicato al racconto della capitale del Nord: “MM Milano Mafia” è sulla Bedda Madunina della Cosa nostra meneghinizzata, “Milano 55,1” – lavoro collettivo che Oliviero ha coordinato – è il racconto dell’ultima settimana della campagna elettorale che ha portato a Palazzo Marino il Giuliano Pisapia vincente contro Letizia Moratti, “Il giudice e il segreto di Stato” è invece dedicato al terrorismo. Opere piuttosto apprezzate.
C’era dunque una discreta curiosità per questo lungometraggio d’invenzione sulla Milano contemporanea. Ma l’operazione non centra l’obiettivo: la città è una presenza puramente decorativa nel suo skyline intravvisto da dietro le finestre dei grattacieli, non basta una pioggia quasi incessante a restituire un clima d’oppressione, la gioventù inquieta Coca&Disco l’abbiamo vista in ogni salsa (anche televisiva) e questo ennesimo racconto non ha uno sguardo morale che illumini davvero il disagio di quest’epoca. Indeciso sui manicheismi tra buoni e cattivi, Oliviero costruisce personaggi tutti mediocri, attingendo un po’ a Scerbanenco un po’ alla “Ragazza del lago”.
Rimanendo in ambito poliziesco, maggiore profondità ha il protagonista del giallo danese “The Keeper of lost causes” firmato da Mikkel Norgaard che ha diretto la celebre serie tv politica “Borgen” (la mano televisiva si sente un po’ anche nel film); se si preferisce invece lo sberleffo anarchico sugli uomini in divisa, consigliamo “Wrong Cops” di Quentin Dupieux, scatenata commedia sui poliziotti di Pasadena, dipinti come una comunità di minorati, disadattati, sbandati, rincoglioniti dalla marijuana e dalla techno. Il milanese “La variabile umana” invece non si saprebbe a chi consigliarlo (posto che la presenza ambrosiana nella platea festivaliera ha adorato il londinese “Exhibition” di Joanna Hogg, storia di nevrosi di coppia artistica, molto Via Tortona-style in effetti).
Tocca la storia italiana in una delle sue pagine più controverse e biasimevoli “Pays barbare” di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi. Il colonialismo italiano visto dai due celebri videoartisti italo-svizzeri che rielaborano in viraggi e ralenti i filmati d’epoca, tra Piazzale Loreto e l’Etiopia. L’attesa era alta, la delusione è altissima. Che senso ha parlare da parte di due italiani della storia d’Italia, di un trauma etno-politico come la campagna in Africa, di una dittaura come quella fascista, se si usa la lingua francese? Solo perché i capitali sono francesi? Ma non era cinema di ricerca, che c’entra il mercato? Ci pare assurdo che le lettere alle famiglie dei soldati italiani siano lette in francese, peraltro lingua colonialista mica male. Per non dire della leggerezza argomentativa con cui si affronta il fascismo, eludendo i meccanismi del consenso che per tutto il Ventennio lo hanno segnato, anche nella iniziativa africana. Naturalmente alcuni passaggi hanno una qualche suggestione, ma dopotutto i due autori sono maestri riconosciuti dell’immagine, tuttavia “Pays barbare” è da considerarsi un passo falso.
Le proiezioni della selezione locarnese intanto continuano, al ritmo di una cinquina al giorno. Tra i filoni che abbiamo contato, va forte il film su un film (piccolo appunto: Antonioni è il nostro regista più citato nei festival, che piaccia o meno va considerato, perfino più di Fellini, più dei neorealisti, il nostro maestro maggiormente influente sugli autori contemporanei di ogni latitudine, seguito da Pasolini); diffusa, tra i film proposti, anche una certa sensibilità autoriale che diremmo clinico-ospedaliera: qui in sala (cinematografica, non operatoria) ci stiamo facendo una cultura su endoscopie, storia dei virus specie i più bastardi, problemi rettali, questioni genitali.
Diversi film interessanti, ma attendiamo fiduciosi la grande opera davvero memorabile. Arriverà?