IL CAIRO – Non si contano gli ordini di abbandonare le piazze occupate ai contestatori pro-Morsi. Eppure gli islamisti non si fanno intimidire: nulla si muove a Rabaa al-Adaweya, nessuno tra i Fratelli, e parte dei salafiti che li sostengono, ha lasciato gli accampamenti. «Stanotte eravamo terrorizzati, perché secondo Al Jazeera (che trasmette costantemente dalle manifestazioni di Rabaa, ndr), decine di veicoli della polizia percorrevano la strada da Alessandria verso il nostro accampamento», ci spiega Faisal che ormai da giorni vive qui. Già nella lunga notte di sabato, il blitz della polizia sembrava imminente, quando per due ore è andata via la corrente in tutto il quartiere e i Fratelli musulmani si sono affrettati ad annunciare di aver attivato generatori autonomi.
La mediazione di Al Azhar
A frenare sulla possibilità di uno sgombero sono intervenute le istituzioni ad interim. La presidenza, dopo un colloquio congiunto tra Adli Mansour e Mohammed El Baradei, ha chiesto di evitare l’irruzione negli accampamenti. «(I Fratelli, ndr) perdono consenso di giorno in giorno, lasciamoli pure continuare e saranno completamente isolati», ha dichiarato Baradei.
Ma per tentare una possibile mediazione è sceso in campo lo sheykh di al Azhar, Ahmed Tayeb che ha lanciato per questa settimana il dialogo con esponenti di tutte le forze politiche.
Abbiamo visitato nell’antico quartiere di Helmeya la moschea di Al Azhar. Il centro dell’Islam sunnita sta giocando un ruolo centrale nella gestione della resistenza islamista, soprattutto quando sembrava che militari e polizia avessero in mente di procedere allo sgombero dei sit-in della Fratellanza.
E un negoziato qui sembra ancora possibile. «Sarà un incontro per la riconciliazione e la stabilizzazione del paese. Ci saranno esponenti del Fronte di salvezza nazionale (le opposizioni ora al governo, ndr) e di tutti i partiti», assicura a Linkiesta l’anziano sheykh di Al Azhar, Abdallah Taier. Gli chiediamo se saranno presenti anche esponenti dei Fratelli musulmani che ufficialmente hanno detto di non riconoscere la mediazione di Al Azhar. «Sì, verranno anche loro, non so chi, ma verranno. Non solo, hanno confermato la loro presenza, rappresentanti delle chiese cristiane», prosegue lo sheykh.
La guida di Al Azhar, Ahmed Tayeb, insieme al papa copto Tawadros II, aveva dato il suo appoggio al colpo di stato militare che ha deposto Morsi. Tuttavia, in un’intervista rilasciataci nel 2009, il leader islamista Essam El Arian parlava di un legame strettissimo tra Fratellanza e Al Azhar, in riferimento al dilemma sugli effetti di un’eventuale partecipazione politica del movimento islamista. Ma poi tra Al Azhar e Fratellanza qualcosa è andato storto. Questa rottura ha messo in crisi non poco la leadership dei Fratelli musulmani, impegnata costantemente nel trovare legittimità politica nella difesa del discorso islamista.
E così lo scorso luglio Gehad Al Haddad definiva «ripugnante» la decisione dell’imam di Al Azhar, colpevole di essersi prestato ad una «strumentalizzazione politica» dell’esercito durante il colpo di stato. Haddad ha anche criticato la leadership della massima autorità sunnita, secondo lui, connivente con il dissolto Partito nazionale democratico dell’ex presidente Mubarak. In realtà, dopo le rivolte del 2011, i Fratelli musulmani hanno conferito ampia indipendenza a quest’istituzione nel definire i suoi regolamenti, in base alla Costituzione, approvata nel dicembre scorso e ora sospesa.
Al Azhar ha quindi acquisito un essenziale ruolo di conciliazione in questa fase e tenta così di posticipare l’intervento dell’esercito. «È proibito sgomberare persone che manifestano pacificamente. Se fossi al posto di militari e polizia li lascerei lì, anche per uno o due anni, se questo non causasse un danno al Paese, solo chi usa violenza deve essere punito», continua lo sheykh Taier. «La polizia deve intervenire solo quando si distruggono o incendiano palazzi o infrastrutture pubbliche. È chiaro che se qualcuno tenta di entrare nel palazzo del presidente, la Guardia presidenziale deve bloccarlo. La sicurezza nazionale viene prima del diritto a manifestare», ci assicura l’anziano religioso. Non solo, Taier difende la decisione di Al Azhar di schierarsi con i militari: «Non è stato un colpo di stato, altrimenti ora ci sarebbe l’esercito a governare, non un presidente e un premier. Sono sicuro che Morsi ha delle responsabilità politiche, che militari e governo conoscono benissimo, e saranno sicuramente rivelate nei prossimi giorni», conclude criptico lo sheykh.
I Fratelli, tra resistenza e nuove proteste
Contro l’iniziativa di Al Azhar si è espresso dal palco di Rabaa al Adaweya il predicatore Safwat Hegazy. Hegazy ha annunciato nuove manifestazioni, che sono partite nel pomeriggio di ieri dalla moschea Fatah in piazza Ramsis. Mentre sono tornati gli accampamenti nel pressi della Corte costituzionale per protestare contro il procuratore generale Hesham Barakat che ha deciso di prolungare di 15 giorni la permanenza dell’ex presidente Morsi in carcere. Non solo, i sostenitori della Fratellanza contestano la decisione del presidente ad interim di rimuovere 20 governatori, molti dei quali scelti da Morsi. Per questo, Hegazy ha ribadito che non è possibile dialogare con chi sostiene il golpe e impedisce il rilascio dell’ex presidente.
Nella notte di sabato, centinaia di sostenitori dei Fratelli musulmani si sono dati appuntamento nel quartiere di Maadi per protestare alle porte della residenza dell’ambasciatore di Israele in Egitto. «Il ministero degli Interni è composto da criminali»: urlavano i manifestanti. Mentre, dopo l’annuncio del fallimento delle mediazioni internazionali, secondo la stampa locale, una delegazione di esponenti della Commissione esteri del partito islamista Libertà e giustizia sarebbe in procinto di partire per Washington per colloqui diretti con il presidente degli Stati uniti Barack Obama.
Il muro contro muro continua, ma l’esercito non può permettersi un bagno di sangue. La tolleranza del sit-in islamista però potrebbe allontanare l’integrazione politica della confraternita nel dopo-Morsi e riattivare i movimenti radicali che da anni hanno abbandonato la lotta armata in nome della partecipazione politica.
Twitter: @stradedellest