Una firma di tutto riposoElogio di Max Pezzali e della poetica degli 883

La provincia, gli amici, gli amori

Metto subito in chiaro il mio conflitto di interessi: anche io sono pavese come Max Pezzali (e Mauro Repetto, l’iniziale componente degli 883). Non solo: ho solo 7 anni in meno di Pezzali, per cui molte esperienze e molti luoghi che lui racconta nelle sue canzoni le ho vissute anche io. Non mancano le distanze: ad esempio la discoteca “Celebrità” affrescata nella canzone La Regina del Celebrità alla mia epoca era stata redominata “Matisse”.

La vita di provincia

Qui vi voglio parlare in termini elogiativi della poetica di Max Pezzali e degli 883, che sintetizzerei in questo modo: Max Pezzali e gli 883 raccontano in maniera semplice la poeticità della vita di provincia. Mi direte: «Ma non tutti vivono a Pavia, che cosa c’entra Max Pezzali con noi?». Vi rispondo: ma avete idea della percentuale di italiani che vivono in un paese o una città di provincia? (Se hanno voglia, lascio agli amici di LinkTank il compito di tappezzare di dati questo pezzo…).

Qualcuno si alzerà comunque in piedi e dirà: «Ma io vivo a Milano, mica vivo in provincia!». Obiezione arguta, che tuttavia non tiene conto del fatto che pure Milano e Roma sono provincia rispetto a New York e Londra (e Shanghai): il trucchetto psicologico per non accorgersene e per non apprezzare la poetica di Max Pezzali consiste semplicemente nel non parlare mai con gli stranieri che passano dalle nostre parti.

La semplicità è un aspetto importante: a mio parere, chi scrive in maniera complicata non ha lavorato abbastanza sulla trascrizione dei concetti in parole e/o non ha abbastanza coraggio per essere semplice. Qualcuno mi accuserà di essere quasi blasfemo ma – a questo proposito – l’unico paragone sensato per le canzoni di Pezzali è con quelle di Mogol e Battisti.


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Sogno e attesa

Quali i sono i temi importanti trattati da Pezzali nelle sue canzoni? Un tema forte è quello della noia che sta dentro la vita dei ragazzi di provincia (come in Tieni il Tempo: «Non c’è storia in questa città, nessuno si diverte e mai si divertirà»). Dalla noia nasce la voglia di fuggire via, illustrata ad esempio nella malinconica – e finanziariamente accurata – Con un Deca: «Con un deca non si può andar via, non ci basta neanche in pizzeria». 

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Questo della fuga da un posto molto piccolo è un tema fiabesco che è vecchio quanto la letteratura, e il modo con cui Pezzali lo affronta mi ricorda Small Town di Lou Reed e John Cale, canzone sulla giovinezza di Andy Warhol a Pittsburgh: 

«There is only one good use for a small town: You hate it and you’ll know you have to leave» (C’è solo un buon uso per una piccola città: la odi, e sai che te ne devi andare.)

Allo stesso tempo, sotto traccia rispetto alla noia della vita di provincia, c’è quel forte e sottile senso di invidia per la vita sfavillante della metropoli. E la metropoli è sempre quella a distanza di automobile, dunque per un pavese non può che essere Milano, ieri, oggi e sempre, anche se hai vissuto cinque anni a Londra.

Per spostarsi dalla noia al sogno di una vita più sfavillante c’è il viaggio, così come narrato in Rotta per casa di Dio: durante il viaggio si sogna la serata eccezionale, grazie alle «tipe […] con il tacco alto e la gonna corta» che aspettano Max e i suoi amici. Ma ci si perde per strada e – alla maniera di Leopardi e de Il Sabato del Villaggio – il viaggio, il sogno e l’attesa valgono esistenzialmente di più della meta mai raggiunta. 

Un punto importante: questo desiderio per ciò che non si ha potrebbe sfociare nel tedio arrabbiato e inquieto di Madame Bovary, che viene mangiata viva da questo desiderio.

Gioia e ricordo

E invece no. In Pezzali è sempre presente e viva la gioia per le piccole cose della vita: gli amici, gli amori, la famiglia. Alla faccia dei radical chic, in maniera proustiana questa gioia è moltiplicata dal cristallo rifrangente del ricordo.

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Sotto questo profilo spicca la canzone Gli Anni. Secondo spunto autobiografico: questa è una delle poche canzoni che mi fa venire i brividi tutte le volte che la sento, e non credo di essere il solo. Il ritornello consiste nell’elenco di oggetti ed esperienze tipiche di qualcuno che è stato teenager durante gli anni ’80. Il ricordo di tutte queste esperienze, da Happy Days ai jeans Roy Rogers, dal «motorino sempre in due» alle «immense compagnie», si chiude con il riferimento alla consolazione degli amici, che sanno sempre dirti «tranquillo, siam qui noi»: puoi anche non venire da una città di provincia, puoi avere una famiglia più o meno difficile, ma non puoi dirmi che non ti sei mai fatto consolare dagli amici per un qualche dolore della vita.

Sincerità e gratitudine

Dentro i testi di Pezzali, l’altra via di fuga dalla tentazione del bovarismo consiste nella gratitudine per le cose della vita, che è il tema centrale nella canzone Grazie Mille:

«quando vedo i miei sorridere
quando ho l’entusiasmo di fare
sento che sento che
Per ogni giorno, ogni istante, ogni attimo
che sto vivendo
Grazie Mille».

Sia detto come inciso: un papa dedito al proselitismo pop dovrebbe pensare seriamente all’ipotesi di usare questa canzone come inno.

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Credo che il senso di gratitudine sia strettamente collegato ad un atteggiamento di sincerità: come si è sinceri nel confessare la propria invidia per chi vive al centro del mondo, nella stessa maniera la consapevolezza porta alla possibilità di essere felici e grati per le cose che si hanno. E la sincerità porta a raccontare il contrasto tra il fuori e il dentro, come per gli amici in Rotta per casa di Dio che sognano di fare ballare tutta la notte le tipe «con tacco alto e gonna corta» ma nel farlo già si immaginano «con il groppo in gola e il cuore che batte». Un po’ come la bellissima Angelica Sedara ne Il Gattopardo, che fa il suo debutto scintillante ed altero a Palazzo Salina, ma che nel frattempo – racconta il narratore – nel salire le scale sta quasi per svenire per la snervante paura.

Amore e famiglia

Ci vorrebbe un altro articolo intero per illustrare in termini esaurienti il tema dell’amore nei testi di Pezzali e degli 883, che – come per la quasi totalità dei cantautori – occupa un posto centrale nella loro produzione di testi. Qui mi voglio invece concentrare su un aspetto abbastanza peculiare nella poetica di Pezzali, cioè il collegamento tra il tema generale dell’amore e quello di fare una famiglia.

Ne La Regina del Celebrità l’autore incontra dopo anni la ragazza più grande, la «ballerina che senza pietà entrava nei begli incubi di noi piccoli», a cui mai aveva avuto il coraggio di rivolgere la parola: la incontra oggi in compagnia del marito e del figlio di due o tre anni, e prova uno “strano piacere” nel vederla così, e vorrebbe raccontarle quello che rappresentava per loro negli anni mitici e lontani della discoteca.

Nella seconda strofa de Gli Anni Pezzali menziona l’incontro in un bar con una coppia più giovane di lui, amici di un tempo che dalla vera alle dita scopre sposati: questo incontro fa riflettere ancora l’autore sugli anni che passano, forse con una punta di invidia – se non nostalgia – per chi si è già fatto una famiglia.

Concludendo

Per concludere, sono ahimè sicuro che la maggior parte degli intellettuali e dei radical chic non si farà convincere da questo pezzo pur lungo ad ascoltare e apprezzare le canzoni di Pezzali e degli 883. Peccato: alla maniera di Jacopone da Todi basterebbe riflettere sul fatto che tutti quanti viviamo in provincia rispetto a qualcun altro. Anche – e soprattutto– se non ci abbiamo ancora pensato. 

Twitter: @ricpuglisi

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